capitolo 63

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SETH

Mi sentivo irrequieto quel giorno, ero uscito molto prima dell'orario di lavoro, nonostante avessi detto a Wes di essere in
ritardo. Non sapevo perché ma non volevo stare a casa, sentivo qualcosa di strano all'interno delle mie viscere, una sensazione scomoda e sapevo pure a chi era dovuta, Dominik. Quella forza, quell'energia con cui mi aveva rivolto quelle parole, senza paura, mi aveva colpito e mi aveva anche fatto arrabbiare. La verità era che lui non sapeva niente di me, gli piacevo ... no, gli piaceva quello che vedeva, dei capelli rossi ed un viso fanciullesco che non lasciava intravedere la sua vera età. Ma chi
ero davvero lui non lo sapeva, il casino che avevo dentro, il mio passato, la mia rabbia, lui non poteva immaginare quanto fosse oscura e quanto spesso le ombre mi trascinassero a fondo. Io ero un problema evidente e per quanto odiassi ammetterlo l'unico che era riuscito a risolverlo era Koll. Si lui mi aveva risolto, era capace di contenere la mia furia, di attenuare le mie paranoie, mi teneva sulle spine era vero, ma con un solo sguardo lui sapeva darmi pace, chi altri avrebbe
mai potuto? Non me ne ero nemmeno accorto, ma quando mi guardai intorno compresi di aver superato di molto il Pub, ero finito su
tutt'altra strada, una altrettanto familiare. Osservai attentamente il vecchio negozio di elettronica e subito notai qualcosa di strano, sembrava spoglio, non riuscivo a vedere l'interno ma era come circondato da un alone di abbandono. Portai istintivamente una mano alla porta e spinsi, era aperta, così entrai, non c'era nessuno dietro il bancone.
Non c'erano pezzi di ricambio o computer in fase di montaggio, era tutto fin troppo ordinato, diverso dalla volta in cui ero stato lì. Mi guardai intorno e mi resi conto che nessuno entrava lì da tempo, nessuno accendeva il vecchio ventilatore che adesso era pieno di polvere, nessuno apriva il mini-frigo nascosto nell'angolo, la presa era staccata. Una morsa mi braccò lo stomaco, un dolore pungente, come una lama che si insinua nella carne. Feci un passo in avanti e notai che sul
bancone c'era qualcosa appoggiato, una busta, sopra c'era il mio nome. La raccolsi tremante e poi la aprì, c'era la foto di Koll e Gregor ed un biglietto scritto di fretta.È ora che la speranza riposi in pace ragazzo, non c'è più niente qui.
Fu come un colpo di fucile, fu come se mi mancasse la terra sotto i piedi, quella frase, quelle parole, lui sapeva che stavo ancora sperando, che credevo ancora in un possibile ritorno. Ma ora non sarebbe più stato possibile, era questo che voleva dirmi, voleva svegliarmi da quell'illusione, era andato via anche lui. L'ultimo appiglio, l'ultimo collegamento di Koll con quella città era andato via per sempre, lui non sarebbe tornato, non importava quanto tempo lo avessi aspettato, con quanta convinzione mi sarei aggrappato al suo ricordo, lui non aveva più niente qui. Ed io non avevo niente che potessi usare per raggiungerlo,
non sapevo niente, sapevo solo ciò che non era: non era un informatico, non era il mio ragazzo, non era americano, persino Koll non era il suo nome probabilmente ... e non mi amava ... e non sarebbe tornato.Uscii da lì correndo, corsi, a perdifiato mentre le lacrime mi appannavano la vista, il petto mi bruciava, lo stomaco si contorceva, nessuna speranza,
nessun futuro. Avevo perso davvero adesso, perso senza la possibilità di combattere, senza la possibilità di riprendermelo. Ma d'altronde cosa mi aspettavo, come avrei potuto vincere contro un fantasma?
Raggiunsi finalmente il posto che stavo cercando, vicino la periferia, un vecchio tratto ferroviario dimesso da anni, quel posto era dannatamente triste. Era spento, vuoto, un posto che non serviva più per quello che era stato creato, nessuno ci passava, tutti lo avevano dimenticato, era un rifugio per i rifiuti, quel posto mi faceva pensare a me. Scesi lungo il terreno scalcinato fino alle rotaie arrugginite e mi distesi lungo di esse, poggiai l'orecchi nel metallo freddo e ascoltai attentamente. Era
un rumore lieve e quasi cullante, il rumore degli altri treni, la vita da qualche parte in fondo a quella scia di legno e metallo, ma non lì. Lì non c'era vita, c'era solo l'eco di qualcosa che una volta le somigliava. L'eco di una risata, la sagoma sofcata di un volto, il ricordo incerto del tocco di una mano, era questo quello che mi era rimasto, solo ricordi, solo memorie. Avrei voluto entrare in quei sogni, accucciarmi nei ricordi e non riemergere, chiusi gli occhi e davanti a me apparve quel viso, sarebbe bello addormentarmi e non svegliarmi mi dissi, sarebbe bello fare di quei giorni passati la mia realtà.
La ricordavo come se fosse accaduta appena un attimo prima la nostra prima notte inseme, ricordavo ogni odore, ogni sensazione, ogni parola. Non gli avevo mai dato l'appuntamento che voleva, io non avevo intenzione di concedere nulla a quello sconosciuto, ma lui era comunque riuscito ad ottenere tutto. Sera dopo sera, parola dopo parola, mi era entrato in testa, il suo modo di fare mi attraeva senza che me ne accorgessi. Finii per andare in moto con lui, per passare insieme tutta la notte fino all'alba a girare per la città completamente deserta. Finimmo in spiaggia e faceva un freddo da morire ma eravamo così felici e presi
l'un dall'altro che non ci facevamo nemmeno caso. Facemmo il bagno in quell'acqua glaciale ed quando uscimmo eravamo stretti nel tentativo di riscaldarci. Ricordavo perfettamente il viso di Koll quella notte, mi guardava come se vedesse per la prima volta qualcosa di non terreno, nessuno mi aveva mai dedicato uno sguardo del genere, nessuno mi aveva
mai fatto sentire tanto al centro di qualcosa. Fu la notte del nostro primo bacio, proprio in quel momento, mentre i nostri corpi gelavano, le nostre anime presero fuoco, le sue labbra sulle mie, le sue mani che mi stringevano come se avesse paura che potessi dissolvermi. Ricordavo il contatto con la sabbia morbida e la superficie della mia pelle che diventava sempre più sensibile, il calore al centro del mio petto si allargava lentamente a tutto il resto e gli occhi di Koll. Quel verde
così inteso da scintillare nella notte, i suoi occhi non lasciavano i miei, ero come in trappola sotto di lui, ma non mi sentivo oppresso, sentivo finalmente che qualcuno mi aveva preso e che non avevo atteso altro in tutta la vita. Quella notte lui mi disse quello che bramavo di sentire da anni, mi disse le cose che mi servivano per tornare al mondo, quella notte lui si prese la mia anima.
- Seth ... sono uno che ha sempre a che fare con la gente – mormorò alla fine, quando giacevamo l'uno stretto all'altro – nella mia vita ho visto persone di ogni genere ed ho imparato a leggere e vedere i segni che la vita gli lascia
addosso – mi avevano fatto preoccupare quelle parole, ma poi aggiunse – io ti vedo Seth, vedo ciò che sei, la persona che sei, ogni tua mossa, ogni tuo sguardo ... voglio che tu sappia che va bene così, voglio che tu sappia che non c'è niente che non va in te. Stai con me, resta con me e non preoccuparti più del resto del mondo ... sii solo mio –
Quella notte dissi sì a tutto, sì a quel senso di pace, sì a quella persona che sembrava accettarmi esattamente per quello che ero, sì a qualunque difficoltà sarebbe sopraggiunta. Lui sapeva ogni cosa di me, ogni pecca, ogni paranoia e mi voleva lo stesso, mi desiderava lo stesso. Quel ricordo era ancora scolpito dentro di me, quelle parole e quelle emozioni, come poteva tutto questo essere una bugia? Come poteva aver mentito fino a quel punto? Non avrei mai avuto risposta a quelle domande, era questo che mi feriva più di ogni altra cosa, tutti gli interrogativi che, una volta colmati, mi avrebbero permesso di andare
avanti, sarebbero rimasti senza risposta. Io sarei rimasto bloccato con loro.
- SETH!!! – un urlo mi riportò bruscamente al presente.
Aprii gli occhi e mi accorsi che il cielo sopra di me era diventato buio, sbattei le palpebre per qualche istante e mi sollevai. Il volto preoccupato di Dominik mi venne incontro e mi aiutò a mettermi in piedi.
- Ma che ci fai in un posto come questo? – chiese agitato.
- Che ore sono? – mi ero fermato lì troppo tempo, non avevo fatto caso a niente, dannazione.
- Sono quasi le 11 ... praticamente hai saltato il turno al locale, Byron ti ha fatto sostituire – spiegò – ti ha chiamato per tutta la sera ma non rispondevi al cellulare, così mi ha mandato a cercarti –
Il cellulare? Dov'era? Forse lo avevo lasciato a casa, mi dissi, avevo completamente perso il senso con la realtà.
- Ma come lo sapevi che ero qui? –
- Me lo ha detto Byron ... dice che ci vieni spesso quando le cose non vanno ... - mi riferì – e se salti il lavoro le cose non vanno ... ma francamente non ho afferrato esattamente –Restai per un momento a fissarlo, ma certo, lui non sapeva, era ovvio. Per lui Seth era solo un ragazzo un po' eccentrico, un pulcino con un ala rotta che avrebbe curato, ma la realtà era ben diversa, io ero pericoloso.
- Va tutto bene – dissi lapidario.
Ero spietato.
- Ti do un passaggio allora? Magari facciamo un salto al locale prima, così ti fai vedere da Byron –
Ero autodistruttivo.
- No – ruggii – lasciami in pace, chiamerò By quando ne ho voglia, non starmi addosso. Torno a piedi.-
Mi fissò stranito – ma come? Che ti prende? –
- Mi prende che devi lasciarmi stare, te l'ho già detto, non mi serve una dannata balia, preferirei continuare a vivere senza la tua interferenza – ringhiai.
- Che vorresti dire? – adesso il suo sguardo si era acceso – vuoi respingermi di nuovo? Cos'è ti sono venuti i sensi di
colpa per aver pensato di poter andare avanti nonostante quello stronzo?
– Quelle parole mi mandarono fuori di testa – non parlare di lui come se lo conoscessi! – urlai – tutti voi dovete smetterla di
giudicare! Di giudicare me e lui! Non c'eri, non sia chi è, non sai cosa ha fatto per me! –
- So che non c'è adesso! – sbottò afferrandomi per un braccio – so cos'ha lasciato dopo il suo passaggio, che genere di
persona ne usa un'altra e poi sparisce? –
- Non è affare tuo – dissi liberandomi con violenza dalla sua presa e lasciando cadere la foto che ancora stringevo.
Lui la raccolse e la osservò brevemente prima che gliela strappassi dalle mani – è lui?-
- Non sono affari tuoi – mormorai nascondendola alla sua vista.
- Seth ... per favore, basta ... credi che ti faccia bene? Credi che vivere così sia quello che ti meriti? –
- Tu non sai niente ...- ringhiai – non sai niente di niente e pretendi di venire da me ed insegnarmi come sia giusto vivere? – lo puntai con lo sguardo – ti affanni tanto per me quando non sai nemmeno chi sono ... vuoi sapere perché lui è così importante per me? Lui mi conosceva ... sapeva ogni cosa di me, ogni pecca, ogni ammaccatura, o imperfezione del mio
carattere e lui lo accettava ... mi accettava ... anche se io facevo di tutto per sembrare perfetto, sapevamo entrambi che non lo ero e che non era un problema il mio carattere ... lui sapeva gestirmi, sempre –
- Perché a me non puoi parlami di te? Perché io non posso sapere tutto? Se non mi dai una possibilità, come posso solo provarci? –
- Lui non ha mai avuto bisogno di parole ... lui mi ha sempre letto dentro ...-
- Mi dispiace – disse davvero desolato – io questo non so farlo ... non so leggere le persone, ma questo non toglie il fatto che non ho intenzione di rinunciare –
Provai ad oltrepassarlo per tornare sulla strada ma ancora una volta lui mi fermò, mi prese la mano stringendola forte.
- Lasciami andare .... – mormorai – non sono l'uomo per te ... dico sul serio. Sei un bravo ragazzo, accanto ad uno come me ti rovineresti –
- Uno come te? Perché cosa credi di essere Seth? Sei una brava persona anche tu ... non credere di meritare solo storie sbagliate, perché tu ti credi sbagliato –
Quella frase mi mandò ancora una volta sui nervi, non voleva lasciarmi, non voleva mollare, non voleva ascoltarmi. Allora
era davvero arrivato il momento di farglielo vedere, di fargli dare un occhiata al vero Seth, di scorgere il terremoto che si annidava dentro di me, l'abisso di macerie che Koll aveva accudito per anni. Mi voltai e con un strattone violento mi liberai dalla sua mano, poi serrai le dita e gli rifilai un sonoro pugno sul labbro che lo fece crollare al suolo.
- Vuoi sapere chi sono?! – urlai – vuoi sapere in cosa ti stai immischiando? Eccolo! Ecco cosa sono ... sono un dannato pazzo! Sono una persona rabbiosa e violenta, sono aggressivo, possessivo e paranoico. Sono capace di dare ogni cosa e ho costantemente paura di perdere, perché sono uno che perde facilmente, perde se stesso, la razionalità ed il controllo – lui mi fissava senza espressione, con un rivolo di sangue che gli tingeva la bocca – vivo in un oscurità che mi divora giorno e notte, posso essere in un istante triste e nell'altro felice, posso fare del male agli altri sfruttando le paure che vedo in loro solo per divertirmi, solo per sentirmi meno triste – si stava mettendo in piedi – ho tentato di uccidermi ... più di una volta ...e mi fa schifo ogni
cosa di questo mondo ... e credevo di aver trovato il mio equilibrio – stavo piangendo – credevo di aver trovato la mia persona ... e ora se n'è andata per sempre ... e non tornerà da me. – presi l'ultimo respiro – questo sono! Hai voglia di prenderti carico di un eredità del genere? Vuoi davvero averci a che fare? Accomodati, stupido coglione! –
Lui non disse niente per un lungo istante, poi fece un passo e si posizionò davanti a me, lo sguardo era serio e profondo. Mi afferrò per le spalle improvvisamente e con un gesto rapido avvicinò i nostri corpi, mi baciò. Sentii le sue labbra sulle mie e la cosa mi sconvolse, per un attimo rimasi imbambolato, come se corpo e mente si staccassero. Sentii l'umidità della sua lingua ed il sapore della sua saliva che si mischiava alle mie lacrime, sentii un sentimento forte provenire dalla
sua stretta. Quando si staccò da me eravamo entrambi frastornati da quel gesto, era come se nemmeno lui si aspettasse di averlo compiuto, poi mi asciugò le lacrime con le dita.
- Grazie di avermi parlato di te Seth ... - disse in un sussurro avvicinandosi nuovamente a me e
parlando al mio orecchio – mi prenderò cura io di quello che è rimasto.... –
Eccolo di nuovo, qualcun altro che voleva provare a mettermi in trappola.


TYLER


- Giocate parecchio duro in quella palestra ... - commentò mio padre dopo avermi gettato addosso un'altra delle sue occhiate penetranti – ce la fai a riprendere gli allenamenti domani? -
Fortunatamente ogni cosa ruotava intorno a quello per Luis Bradbury, un pestaggio non era nulla di preoccupante, ciò che contava più di ogni altra cosa era l'arruolamento. Fece finta di credere alla mia versione dei fatti, nonostante Rachel e mia madre continuassero a fissarmi con espressione preoccupata sul volto.

- Sì, sto bene. Posso farcela. - dissi continuando a mangiare. Nessuno parlava molto, alla fine dopo aver
concluso il secondo mia madre si alzò dal tavolo ed iniziò a sparecchiare aiutata da Rachel.

- Tra poco dovremo andare ... la cerimonia inizierà tra trenta minuti – ci ricordò mia madre adesso con
gli occhi lucidi – Ty, i tuoi vestiti sono sul letto. - La cerimonia per Caleb ovviamente, quella era una delle tradizioni radicate a casa Bradbury. Ventiquattro luglio ... mio fratello avrebbe compiuto
venticinque anni se fosse stato ancora in vita. Serrai i pugni, non potei fare a meno di osservare il volto inflessibile di mio padre che beveva il suo caffè come se niente fosse. Salii in stanza a cambiarmi in vista della cerimonia, non riuscivo a smettere di pensare alle ultime parole che mi aveva detto prima di infilarsi in auto e schiantarsi contro quel dannato albero.

Era in giardino a fumare una sigaretta, cosa alquanto rara dal momento che non lo avevo mai visto fumare prima di allora. Ricordo che mi avvicinai a lui, attirato da quella strana aura di autodistruzione che sembrava emanare, non potevo capirlo ... non a tredici anni, eppure sapevo che c'era qualcosa di sbagliato in lui.
Caleb aveva riso appena, mi aveva fatto segno di venire più vicino, passandomi la mano tra i capelli.

- Sei cresciuto un sacco, Ty ... sei davvero diventato un ometto adesso – quel suo tono non aveva niente di allegro però, era una costatazione amara, qualcosa che usciva a fatica dalle sue labbra – dovrai essere forte, non sei più un bambino, lo sai, vero? Dovrai farti crescere una bella corazza, Ty. Altrimenti ... altrimenti non ... - aveva taciuto improvvisamente, troppo perso nei suoi pensieri per poter continuare.

Non avevo capito cosa stesse cercando di dirmi, come avrei potuto dopotutto? Ero soltanto un bambino. Adesso era diverso, riuscivo a trovare un senso a quelle parole stentate. Caleb aveva cercato di mettermi in guardia, voleva prepararmi al futuro ... all'eventualità che ciò che era toccato a lui toccasse più avanti anche a me.Ci aveva preso ovviamente, Caleb doveva conoscere Luis molto bene ...


- Ty, tutto ok? Che hai fatto alla faccia? - Rachel mi prese alla sprovvista, mi voltai verso la porta e la trovai lì, già vestita di tutto punto e rassegnata a quella nuova circostanza.

- Ho fatto boxe ... - dissi con un tono sbrigativo, poi mi abbottonai la camicia bianca, scoprendo di aver già caldo.

- Perché menti anche a me? Credevo che noi due non avessimo segreti ... - iniziò lei con quell'espressione sul volto che detestavo da impazzire.
Eccome se avevo segreti, non ne avevamo mai mantenuti così tanti, pensai, mentre il viso di Wayright tornava prepotentemente a tormentarmi, come un fantasma che non era mai stato scacciato a dovere da una vecchia casa in rovina.

- Non venirmi a rompere le palle anche tu, Rachel. Non potrei sopportarlo. - poi le passai oltre e velocemente mi diressi al piano di sotto. Passò qualche minuto, alla fine salimmo in auto e ci dirigemmo al cimitero di South Gate. Avevo caldo e l'ombra offerta dai cipressi non aiutava a contrastare quella terribile afa che avrei dovuto sopportare con tanto di giacca e camicia.
Vidi qualche collega di mio padre tra la massa di gente che si accalcava davanti alla tomba, tra quelli notai due cari amici di Caleb, qualche compagna di Rachel e, più in fondo, la figura magra di Chris.Distolsi lo sguardo, pur sapendo che Rachel era diretta da lui in quel preciso momento, sentii mio padre cingermi le spalle mentre il Reverendo Marier iniziava la sua accorata predica per il povero, giovanissimo e promettente Caleb Bradbury, morto in un terribile incidente autostradale.
Incidente, pensai ... l'unico incidente della nostra vita era stato quello di avere per padre un bastardo come Luis e per madre
una codarda come Samantha. Cercai di sopportare quel tocco, ma ogni attimo mi sentivo mancare sempre di più di quello precedente. Il sole picchiava forte, mia madre stava iniziando a singhiozzare ed il Reverendo continuava a riempire l'aria di cazzate e frasi fatte.Non potevo farcela, mi sentivo mancare il respiro, era terribile.

- Tyler ... dove stai andando? - mio padre mi fissava, anche gli altri. Non mi importava, scossi la testa e me ne andai, liberandomi in fretta e furia dalla giacca e dalla cravatta che premeva con violenza intorno al mio collo. Ripresi a respirare come chi prende aria dopo aver rischiato l'annegamento. Dovevo trovare il modo di salvare la sua memoria, dovevo
trovare il modo di punire mio padre, di mostrare al mondo intero il
bastardo che era. Glielo dovevo, Caleb meritava almeno questo ...

- Ehi ... - mi aveva seguito, dentro di me lo avevo perfino sperato. Chris mi venne vicino, una brezza leggera smosse appena le fronde degli alberi intorno a noi – vuoi andare via? -

Annuii disperatamente, seguendolo oltre i cancelli del cimitero, su fino alla sua auto.

- Rachel mi aveva parlato della cerimonia ... sapevo che non ce l'avresti fatta ... - lo guardai, lasciando correre il mio sguardo su quel viso sottile e increspato da un sorrisino triste appena accennato – ti senti meglio adesso? -

- No, non fino a quando quel bastardo non avrà ciò che gli spetta. - dissi a denti stretti.

- Tyler, quello che è successo a tuo fratello è stato terribile, non riesco neanche ad immaginare cosa voglia dire perdere un fratello, ma anche lui ha perso un figlio ... -

- No, no ... tu non sai niente – dissi scuotendo la testa – lui lo ha praticamente costretto, morte o gloria! Caleb non è mai stato forte abbastanza per opporsi, né per assecondarlo! Caleb non è me! - abbassai il finestrino, in cerca di aria. Non volevo coinvolgere nessuno in quello, avevo sempre tenuto i miei sospetti per me ma quella volta non ci riuscii.

- Non capisco ... stai dicendo che Caleb lo ha fatto di proposito? - chiese quello con un filo di voce.

Lo guardai, mostrandogli tutta la sicurezza che avevo – Sì, Caleb si è suicidato. Lo ha fatto per evitare di tornare in guerra, lo ha fatto perché stava male e nessuno di noi lo aveva capito. E non mi importa come ... io troverò il modo di far venire a galla la verità – dissi a denti stretti – mio padre pagherà per quello che gli ha fatto ... che ci ha fatto ... -

Ci eravamo fermati, senza rendermene conto mi ritrovai circondato dalla natura. Chris era sconvolto, lo vidi reclinare
la testa poi si voltò verso di me e mi fissò – Rachel lo sa? -

- No, nessuno sa niente, a parte me ... e te adesso. - continuavo a non capire perché lo avessi fatto, sarebbe stato molto più sensato parlarne con uno come Lex, ci ero praticamente cresciuto insieme, mentre Wayright ... beh, che cos'era Wayright per me?

- Hai pensato a come fare? Vuoi costringerlo a dire la verità? -

- Non lo farebbe mai di sua spontanea volontà. Ha fatto di tutto per insabbiare il suo suicido, di certo non mi permetterà di rovinare tutto così – dissi, con la frustrazione più nera che si faceva spazio dentro
di me – devo metterlo di fronte a dei fatti che non possano essere confutati. -

Chris annuii, potevo quasi sentire il rumore della sua mente che lavorava, alla fine mi guardò – mio padre deve sapere
qualcosa. Non era il legale del tuo? -

- Lo era, ma guarda caso dopo l'incidente di Caleb ha chiuso ogni rapporto con lui. Pensi di poterci parlare? Forse sarebbe meglio non farlo in modo troppo evidente ... -

- Posso ficcanasare tra i suoi documenti - mi assicurò lui – il suo studio è quasi sempre aperto, non dovrebbe essere un problema. Potrebbe saltare fuori qualcosa, ma se dovesse essere così ... non posso
permettere che ci vada di mezzo anche mio padre. -

- Lo capisco. - uno come Norman non meritava casini, dopotutto era di gran lunga un uomo migliore di Luis. Per un attimo mi domandai che sensazione si provasse a voler bene al proprio padre ... non riuscivo neppure ad immaginarla. Senza rendermene conto Chris stava smontando dall'auto, seppure con una certa confusione lo feci anch'io.

Lo seguii, immergendomi nell'erba alta scossa dalla brezza dell'altura, puntai i miei occhi sul suo corpo, quel dannato corpo affusolato e muscoloso che sembrava adeguarsi in un'armonia perfetta al mio. Lo vidi allargare le braccia per sfiorare l'erba secca intorno a noi, poi si lasciò semplicemente cadere nel bel mezzo di quel tripudio di verde e marroncino.


- Questo è il paradiso, dovresti vederlo anche tu, Tyler ... - mi disse mentre mi afferrava la mano e mi spingeva in
basso, ad osservare il cielo blu, così terso e privo di nuvole almeno quanto la mia vita, invece, era incasinata e funestata di eventi spaventosamente orribili. Sentivo il suo sguardo sul mio viso, come un raggio di sole più caldo degli altri che passava in rassegna il mio profilo – credo che tu sia la mia nuova droga, Tyler. - disse poi con estrema serietà.

- Di che cazzo stai parlando? -

- Sì, sei stato messo al mondo per far perdere la testa alla gente ... - continuò quello ridendo piano – e non te ne accorgi neanche, ecco cosa ti rende ancora più interessante. -

- Ah, no? So di essere un figo da paura – commentai, facendolo ridere ancora di più. Che cazzo di idiota, pensai, Dio, ma perché ero finito proprio con Wayright?

- Puoi dirlo forte ... è come se i miei pensieri fossero fermi soltanto su di te ... ti assicuro che è irritante. -

Non riuscivo a guardarlo adesso, quel modo che aveva di dirmi quelle cose ... come se fosse normale quello che stava dicendo. Come se quello che avevamo non fosse un fottuto casino di merda.

- Adesso mi dirai che è finita ... che continuo a non capirlo, che quello che è successo tra di noi è stato un errore ... -

- Mi sono rotto il cazzo invece. Non dirò più niente. - lo guardai male, facendolo ridere ancora di più – per quanto vale ... ad ogni modo a quanto pare finiamo sempre a letto insieme. - dovetti ammettere, seppure con enorme disappunto.
- Magari finissimo su un letto davvero. A proposito, i miei mi hanno trovato una stanza tutta per me dopo un mese
di litigi con PsychoSeth. E' il soppalco del garage ... il materasso è comodo e si sta bene però... - butto lì, quasi con aria casuale.

- Ah, sì? Stai provando a rimorchiarmi? Wow, un garage tutto per noi, mio Dio, che proposta allettante! - mi ritrovai a ridere anch'io, Chris aveva cercato di piantarmi un pugno sullo stomaco, soltanto un attimo dopo si era reso conto di quanto fossi ancora dolorante per il pestaggio – sei un idiota, Wayright. -

- Lascia perdere, tanto ti ho già rimorchiato. - lo guardai malissimo, ma a lui non sembrò importare, anzi mi fece l'occhiolino e si avvicinò ancora un po' di più a me.

- Quei baci dell'altra sera ... - iniziò con tono malizioso

- Sì, ho dimenticato di dirti che non ti ci dovresti abituare. - lo stroncai subito, stavolta fu il suo turno di mettere il broncio. Era davvero un idiota, ma fanculo, pensai. Era stato bello baciarlo e Dio solo sapeva se avevo bisogno di qualcosa che non facesse schifo nella mia vita. Lo attirai a me e in un baleno gli piazzai un bacio a stampo sulle labbra, lo guardai sgranare gli occhi dalla sorpresa e ansimare appena. Chris partì alla carica, ma le mie mani lo fermarono, bloccai il suo viso tra i miei palmi e lo guardai, ci guardammo per un lungo momento, ed era tutto così fottutamente sbagliato. Il grande Tyler
Bradbury che cercava la compagnia di un ragazzo ...
- Hai ragione però. Non potrò mai accettarlo. - dissi ad un centimetro dalle sue labbra, prima di lasciarlo scivolare via dalle mie mani.

- Lo so ... questo è il motivo per cui finiremo male probabilmente. - rincarò la dose lui, fissando il cielo oltre le dita della sua mano aperta e puntata verso il sole in calata.

- Io sto bene. Posso andare avanti comunque, Wayright, lo sai. -

Annuì ancora una volta – Sì, so che niente è abbastanza da smuoverti, Tyler. So che tu sei uno di quelli che non ha davvero un cuore, so che non conto molto ... ma ho capito qual è il problema. A noi Wayright piace la sofferenza – rimasi profondamente colpito da quelle parole – tutti noi non abbiamo fatto altro che rincorrerla, ci siamo sempre lasciati
ossessionare dai tipi sbagliati, i peggiori che avessimo mai potuto trovare. Forse la sofferenza ci ricorda che siamo ancora vivi ... ma c'è una cosa che so – i suoi occhi erano fissi nei miei adesso – so che per te è lo stesso. -

Rimasi immobile, a fare i conti con quanto aveva detto. La sicurezza con cui aveva pronunciato quelle parole era disarmante, non so per quanto tempo ancora lo fissai, completamente incurante del resto.

- Forse non sarai mai capace di amare un altro essere umano, ma tu sei profondamente innamorato della sofferenza – i suoi occhi erano profondi come abissi – ed io posso dartela. -

NOTE DELLE AUTRICI: Salve a tutti ^^ dopo una giornata massacrante eccoci qui ad aggiornare!

Questo è un capitolo parecchio forte, ma in fin dei conti quando si parla dei nostri due darkettoni che cosa ci si può aspettare?

Tuttavia nonostante il pessimismo cosmico di questo capitolo c'è anche qualcosa di positivo all'orizzonte ...

qualche tenerezza qui e lì tra queste coppiette incasinate *-*

Speriamo che possiate apprezzare e godere di questi momenti (chissà quando torneranno!) xD

Ci teniamo a ringraziarvi per il vostro enorme sostegno :) speriamo di sentirvi numerose!

Grazie di tutto e alla prossima!

BLACKSTEEL

OU4ʹ[�DE?

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