Cicatrici.

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"Hai qualcos'altro da dirmi?"

Gli chiesi, con la testa appoggiata al vetro freddo del finestrino.

Osservavo le piccole gocce di pioggia scivolare veloci verso la guarnizione, lente ed eternamente destinate a rincorrersi; il picchiettio metallico di esse sul tetto dell'auto era ritmato e rilassante.

"No" disse titubante, quasi come se temesse scoprissi qualcosa di oscuro su di lui.

Rimasi in silenzio a fissare l'esterno: figure sfuocate di case, trasparivano da dietro il vetro bagnato, e scorrevano veloci davanti ai miei occhi, unite alle luci dei lampioni che divenivano piccole stelle dai lunghi raggi brillanti.

"Sei il mio avvocato, qualcosa in più dovrai sapere" Non proferì parola svoltando in un vialetto.

Riconobbi la veranda e il piccolo giardino poco curato.

"Buona giornata Adeline." Rispose invece freddo, ignorando completamente le mie parole e tamburellando l'indice sul volante con insistenza.

"Spiegami" replicai, usufruendo dei pochi frammenti di autocontrollo che mi restavano.

"Se avessi avuto qualcos'altro da dire l'avrei fatto non credi?"

Sbuffai, sbattendo con forza la portiera. "Ciao Jason" dissi tra me e me, dirigendomi verso la porta di casa; frugai freneticamente nella borsa in cerca delle chiavi sentendo lo sguardo del ragazzo fisso su di me.

Così alzai gli occhi e lo vidi improvvisamente fingere interesse per i fiori dei vicini e per poi dedicare la sua attenzione all'andarsene.

La sua auto ripartì veloce, scomparendo nella foschia di quella giornata uggiosa.

Entrai in casa trovando finalmente le chiavi seppellite sotto strati di cianfrusaglie e resti di cibo.

Erano solo le due del pomeriggio, ma mi sentivo stravolta.

Preparai il pranzo con tutta la calma del mondo, per poi abbandonarmi nuovamente al caldo e soffice getto della doccia in un tentativo disperato di eliminare oltre che la pioggia e la sabbia, anche le sensazioni orribili che cominciavo a provare.

Sentii l'acqua accarezzarmi la pelle con il suo tocco morbido e vellutato, distendendomi i nervi, e liberandomi da tutto lo stress di quelle poche ore; appoggiata alle piastrelle fredde del muro pensavo a ciò che avevo acquisito, chiedendomi se avessi fatto bene a fidarmi di quel tipo, se le sue parole fossero state sincere oppure volesse solo abbindolarmi. Ma cosa avrebbe ricavato da una povera ragazza priva di memoria?

Una volta vestita scesi al piano di sotto per soddisfare un'improvviso ed impellente bisogno di liquidi, aprii il frigo e lo trovai completamente vuoto: dovevo assolutamente passare al supermercato a fare la spesa.

Bevvi poi il mio tanto agognato bicchiere d'acqua pensando a che giornata schifosa fosse, e per la prima volta, ricordai spontaneamente, con molta confusione, un momento della mia infanzia: stavo seduta davanti alla porta scorrevole del salotto, diverso da quello in cui mi trovavo, più spazioso e ordinato, intenta a osservare i piccoli fiocchi di neve che cadevano al suolo immaginando facessero a gara, ne sceglievo uno e tifavo per quello con un'entusiasmo che solo i bambini possiedono.

Qualcosa mi si collegò a quel ricordo: mio padre.

Immagini sfuocate mi si formavano in mente, prive di senso e di significato, parole confuse urlate, sputate con deplorevole cattiveria; poi una scena improvvisamente chiara: mio padre che mi prendeva in braccio, mi dava un bacio in fronte, mi rimetteva al mio posto sul pavimento e usciva sbattendo la porta con una grossa valigia in mano.

Rimasi confusa da quel ricordo, poiché ciò che sapevo era che l'unica figura che aveva svolto un ruolo paterno nella mia vita era il mio patrigno.

Perché avrebbero dovuto mentirmi?

Mi diressi all'ingresso per indossare l'impermeabile. Sotto di essi portavo un tailleur pantalone e una camicetta bianca senza maniche, presi dall'armadio colmo di vestiti seri ed eleganti, che mi cadeva morbidamente sui fianchi; ero così magra, esile, sembravo quasi consumata. Oltretutto, l'abbigliamento che avevo scelto metteva in mostra tutta la bella sfilza di cicatrici che avevo sulle braccia.

Mi chiesi che avrebbe pensato la gente di me.

Le persone si stavano finalmente scordando dello scandalo che aveva creato la mia comparsa sui giornali, distratta da altre notizie, e non volevo tornare ad essere sulla bocca di tutti come era stato fino a pochi giorni prima, perseguitata da giornalisti affamati di parole, dichiarazioni, notizie, senza stare a curarsi se fosseri vere o false. Ma d'altronde perché non dovevo essere me stessa per degli stupidi idioti che non sapevano fare altro che impicciarsi e infiltrarsi nella privacy delle persone?

Strinsi la fettuccia in tessuto dell'impermeabile intorno alla vita con convinzione, afferrai un ombrello e uscii.

Aveva smesso di piovere, ma l'aria era comunque umida e pesante, e del sole non c'era traccia.

Mi diressi verso il supermercato sorpresa di non aver ancora visto nessuno per strada.

Feci un respiro profondo prima di entrare, preparandomi agli sguardi delle persone su di me, alla loro curiosità dipinta negli occhi, al loro fissarti assetati di sapere il tuo passato, il perché dei segni, degli occhi stanchi, dell'eccessiva magrezza.

Entrai a testa alta; le luci del negozio mi accecarono: gli occhi si erano abituati al buio esterno; girai per i corridoi prendendo tutto ciò che potesse farmi ingrassare: non sopportavo di vedermi così tanto magra.

La gente mi passava di fianco squadrandomi, i bambini chiedevano alle madri con la loro spudorata curiosità se fossi io la donna del telegiornale, ma nei loro teneri occhietti non c'era cattiveria, o disgusto, solo tanta ignoranza.

Andai alla cassa e non mi risparmiai un'occhiata stranita da parte del commesso mentre posavo la spesa sul nastro.

Pagai e uscii con le buste, seguita da sguardi curiosi e sussurri sommessi che sembravano dire:

"È lei... La ragazza del telegiornale..."

"Oh, povera figliola..."

"Chissà che pena..."

"Non si vergogna ad andare in giro così? Che abbia un po' di dignità almeno..."

Trattenni a stento le lacrime, cercando di non apparire debole. Quella valanga di giudizi non mi avrebbe sotterrata.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now