Panico.

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Febbraio 2001

"Sei al sicuro..." gli sussurrai all'orecchio con un filo di voce, accarezzandogli il morbido cipiglio castano.

Respirava a malapena, pervaso da un pianto silenzioso destinato a restare pressoché infinito. Potevo percepire il suo fiato umido sul collo, affannato, tremante, completamente in balia del panico.

Dal piano inferiore si udì la chiave girare nella serratura dell'ingresso echeggiando per l'intera casa. Quasi in concomitanza un forte rumore di passi veloci fece tremare il pavimento diretto alla camera dinnanzi la mia.

La luce filtrava dalle fessure delle ante, illuminandomi il viso a strati, all'esterno la quiete regnava, disturbata solamente da un rumore di passi provenienti dal piano terra.

Il mio respiro accompagnava il silenzio, unito ai singhiozzi di mio fratello soffocati nell'incavo del collo.

"Shhh" gli sussurrai accarezzandogli la schiena con una mano.

L'orologio ticchettava deciso, scandendo ogni secondo con arrogante precisione.

Tic.

Tac.

Tic.

Tac.

Tic.

Tac.

Quel suono interminabile mi rimbombava in testa come un eco infinitesimale. Lo scandire del tempo, tanto lento quanto veloce, mi stava facendo impazzire. Sentivo il battito cardiaco nei timpani amplificarsi di secondo in secondo.

D'un tratto, un improvviso chiasso mi riportò alla dura realtà: il piccolo sussultò fra le mie braccia.

Un individuo dal passo irregolare salì le scale biascicando parole incomprensibili. Udii il rumore di un liquido che ondeggiava, mentre un'indecente odore di alcol mi invase le narici.

"Lauren dove cazzo sei?" Chiese l'uomo in un garbuglio di lettere, trascinando i piedi sul costoso parquet.

"Sono qui!" Rispose una voce femminile.

"Al piano di sotto c'è il lavello pieno di stoviglie sporche, e il pavimento è cosparso di vino rosso, dove viviamo? In una cazzo di discarica? Lavoro tutto il giorno e tu non sei nemmeno in grado di tenere una cazzo di casa pulita! Almeno sei riuscita a stirarmi il completo per domani?"

"Pulirò domani, e no, non mi hai detto che ti serviva un completo." Rispose la donna calma, in tono annoiato.

"Cristo ti devo dire io che cosa fare? Scendi a pulire lurida puttana!" Urlò lui in un impeto di rabbia.

"Pulisci tu bastardo! Ti ricordi che abbiamo il personale che si occupa delle pulizie e dei tuoi cazzo di vestiti? Sono stanca di assecondare i tuoi svarioni da alcolista!" Disse lei allontanandosi a passi svelti.

"Vieni qui stronza!"

Un gemito di dolore riempì la stanza di amara tensione.

"Lasciami Adrian!" Gridò lei, supplicante.

"Conosci le regole Lauren, rispettale e non subirai le conseguenze. Non mi pare di chiederti molto se non un po' di rispetto."

"Ok, mi dispiace..."

Seguì un attimo di silenzio, nel quale trattenni il respiro cercando di catturare ogni minimo rumore.

Un'urlo improvviso risuonò fra le mura corrotte, fermato sul nascere da un potente schiocco. Seguì un tonfo sul pavimento.

Affondai il viso del bambino nel petto, premendo le dita sulla cute morbida e profumata.

Dei singhiozzi colmarono la quiete notturna.

"Cosa cazzo credevi di fare? Volevi ammazzarmi? Eh?" Urlò Adrian posseduto dalla rabbia.

Il corpo della donna assorbì molti colpi, accompagnati da impercettibili lamenti; potevo udirla strisciare sul legno lucido, dolorante e livida, in un disperato tentativo di fuga.

"Non andrai da nessuna parte!" Disse l'uomo, sbattendo la porta con arroganza.

I suoni ora parevano ovattati e distanti, ma nulla poté cancellare l'inquietudine che emanavano, il povero ragazzo tremava stringendomi le esili braccine attorno al busto.

Parole incomprensibili, grida, oggetti frantumati al suolo, pianti disperati, e gemiti soffocati occuparono il silenzio della notte provenienti da quella malaugurata stanza.

D'un tratto il rumore di un vetro rotto echeggiò nella casa.

"Cosa vuoi fare Adrian?!" Urlò la donna in preda al terrore.

Sentii il suo corpo spostarsi, strisciando disperatamente sul pavimento.

"Stai lontano da me!" Disse in un grido devastante "Aiuto! Qualcuno mi aiuti!"
Dei colpi pesanti riempirono il silenzio creatosi. Si chiuse una porta.

"Esci di lì puttana! Giuro che ti ammazzo!" Esclamò a gran voce Adrian.

"La mamma morirà?"

La voce flebile del bambino mi aiutò a riprendere coscienza, incontrai i suoi occhi verdi colmi di paura e tristezza e pensai che mentirgli non sarebbe servito a molto.

"Non lo so..." risposi in un sussurro, sentendo le lacrime accumularsi sul bordo della palpebra.

"Se muore lei poi fa male a noi..." Continuò con innocente egoismo. La cpsa più inquietante era che aveva ragione.

"No Valerian, io ti proteggerò, sei il mio piccolo uomo e non permetterò a nessuno di farti del male, te lo prometto." Dissi, percependo una lacrima fuggire e scivolare lentamente per una guancia.

"Adeline non mi lascerai mai, vero?"

"Per nulla al mondo tesoro." Risposi, scostandogli i capelli castani dal viso umido.

"Promesso?" Domandò guardandomi dritto negli occhi, attraversati da un tenue fascio di luce.

"Promesso"

Poco dopo si addormentò.

Quando l'inferno terminò, attesi con pazienza che Adrian collassasse, per poi sgattaiolare fuori dall'armadio e portare il piccolo a letto.

Durante il tragitto incontrai mia madre. La donna si dirigeva barcollante verso le scale. Si voltò guardandomi con occhi tristi e consumati. Delle macchie violacee le coloravano il viso, il collo, le braccia, alcune nuove ferite si aggiungevano ad esse, impregnando di sangue fresco la pelle vissuta. Proseguii noncurante per la mia strada.

Una volta lasciato il bambino nel suo lettino mi diressi alla mia stanza per poi infiltrarmi nel bagno. Lo specchio mi accolse mostrando ciò che detestavo di più al mondo: me stessa.

Il mio riflesso mi suscitava disgusto e odio. Vidi dipinto negli occhi il terrore. La mia debolezza.
Non potevo fare nulla contro quel mostro.    Sciacquai il viso con dell'acqua fredda. Alcune gocce scivolarono sulle occhiaie scure e le guance scavate.

Tutto ciò mi stava consumando.

Mi chiesi se fosse possibile morire e crescere nello stesso tempo.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now