Limiti.

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Feci fatica ad addormentarmi. Il buio creava ombre inquietanti sui muri, e un ramo picchiettava sulla finestra scosso dal vento, accompagnato dal fruscio delle foglie. Ma quando finalmente presi sonno tutto scomparve. Rimasero solo il silenzio e l'oscurità .

Poi d'un tratto, nel bel mezzo della notte, un paio di braccia mi trascinarono fuori dal letto.

Frastornata aprii gli occhi, non riuscendo a vedere nulla. Sbattei le palpebre stordita dal sonno mentre qualcuno mi sollevava dal busto impedendomi quasi di respirare.

La puzza di alcol mi riportò velocemente alla realtà, e intuii cosa stesse succedendo.

Così tirai una gomitata sul fianco al mio assalitore, che allentò la presa afflosciandosi in direzione del punto dolente, e io colsi l'opportunità per fuggire: mi dimenai scompostamente cercando di indebolire sempre di più la morsa delle sue braccia, finché in uno strattone non fui libera.

Approfittando del vantaggio corsi nel corridoio, colmando la notte con il rumore sordo dei piedi scalzi che rimbalzavano sulla moquette.

Scesi le scale di fretta, mentre Adrian mi inseguiva in una camminata barcollante.

Una volta che fui nell'ingresso abbassai la maniglia e spinsi la porta, ma la soglia rimase chiusa, riprovai più volte, senza risultato. Voltandomi vidi Adrian a pochi passi di distanza. Avrei avuto tutto il tempo di trovare un'altra uscita, ma rimasi pietrificata sul posto, inerme. La paura mi tenne ancorata saldamente al pavimento contro la mia volontà.

Quando poi a separarci fu una decina di centimetri, indietreggiai scontrando un mobiletto appoggiato al muro. D'istinto portai le mani dietro la schiena scoprendo un vecchio candelabro. L'afferrai tenendolo nascosto. Non avevo scampo, Adrian era proprio davanti a me. Quella che tenevo fra le mani era la mia unica possibilità.

L'alito putrido mi sfiorò il viso, costringendomi a trattenere il respiro. Posò la bottiglia per potermi toccare con entrambe le mani. Il suo respiro divenne sempre più veloce, le dita sempre più invadenti.

Sollevò il vestito, quanto bastava da permettergli di sfiorarmi le natiche, foderate dalle calze. Poi mi prese per i fianchi sistemandomi sul mobile. Nel mentre, un braccio si protese fin dietro la schiena, e incontrò la mia arma.

Per un'attimo rimase sorpreso, distanziandosi leggermente dal mio corpo.

Lo fissai negli occhi interdetta per poi stringere forte le dita sottili attorno all'oggetto e sferrare il colpo.

Nonostante l'ubriachezza i suoi riflessi funzionarono fin troppo bene, afferrò l'oggetto bloccandolo a mezzaria: così, presa alla sprovvista, gli tirai un potente calcio nell'inguine lasciandolo piegato in due dal dolore, e colsi l'occasione per colpirlo alla base del collo: Adrian crollò a terra in un insieme di imprecazioni lasciandomi la possibilità di scappare. Ma nel momento esatto in cui provai a correre, mi trascinò a terra per le caviglie: sbattei il viso sul pavimento, sfiorando di pochi centimetri il tavolino in vetro, e rimasi stordita per alcuni attimi, finché non mi sollevò per i capelli. Una volta che entrambi fummo in piedi mi gettò sul divano allargandomi le gambe con disgustosa arroganza e insinuandosi strisciando tra di esse.

Gemei infastidita provando ad allontanarlo, ma senza successo.

Subito dopo fu dentro di me. Così, senza curarsi dei miei lamenti, degli innumerevoli modi in cui provavo a sfuggirgli, o della mia espressione disgustata e ferita. Non gli importava, vedeva solo un corpo in cui svuotarsi. In un attimo ero diventata una vittima. Non potevo credere che fosse tutto reale, era successo così velocemente che nemmeno avevo avuto il tempo di rendermi conto che ero sola, e nessuno mi avrebbe aiutata.

"Adeline!" Urlò d'un tratto Jason dalla cima delle scale. Cosa diavolo ci faceva ancora in quella casa? Ciò che stavo subendo era solo colpa sua.

"Fermati Adrian!"

"Che c'è vuoi partecipare?"

"Voglio che la lasci in pace"

"Ah mio caro Jason..." rispose Adrian richiudendosi i pantaloni e rialzandosi. "Capisco che tu sia geloso ma ehi, mi sto solo un po' divertendo ok? Non c'è nulla di male..." disse allargando le braccia come se fosse la cosa più normale del mondo.

Una mano uscì per un'attimo dal buio sganciando senza preavviso un doloroso pugno in faccia ad Adrian, che si accasciò su un fianco.

"Chi cazzo ti credi di essere" Esclamò in collera, asciugandosi dal sangue il labbro spaccato.

"Qualcuno migliore di te" L'altro rise, e paradossalmente fui daccordo con lui.

"Tu sei come me, ragazzo."

"Non sarò mai come te. " rispose il giovane stringendo i pugni.

"Perché, dici che ti converrebbe se raccontassi tutta la verità? Sei solo un fallito Jason, non sei niente senza tua madre a proteggerti. Non potete nulla contro di me." Concluse, voltandosi poi verso di me con un sorriso sghembo sulle labbra.

Ci volle un attimo. Una manciata di secondi solo per raccogliere un pesante soprammobile, e poi il resto venne da sé. Schegge di vetro volarono ovunque, mentre Adrian crollava sul tappeto con un tonfo sordo, impregnandolo del suo sangue.

Jason rimase in piedi con ciò che rimaneva dell'arma del delitto ancora in mano, il respiro pesante ed un'espressione indecisa, come se stesse valutando se essere spaventato o soddisfatto da sè stesso. Posò i cocci che aveva ancora in mano sul tavolino e mi trascinò via spaventato.

"Dobbiamo chiamare la polizia... Sicuramente capiranno se gli spieghiamo come sono andate le cose..." sussurrai incespicando sugli scalini.

Ma lui non si pronunciò, e io mantenni il silenzio. Sapevo che non mi avrebbe ascoltata. Improvvisamente però, il suono del campanello riempì la quiete notturna. Ci fermammo al culmine delle scale. Lanciai un'occhiata preoccupata al cadavere e poi a Jason.

Chi poteva essere a quell'ora di notte?

Chiunque fosse, dopo aver bussato violentemente, sfondò la porta. Con l'adrenalina a mille scappammo, rintanandoci nella mia stanza.

"Polizia! Fermatevi!" Urlò qualcuno dal piano inferiore.

"Ok..." disse Jason tra un respiro e l'altro " abbiamo poco tempo, usciremo dalla finestra arrampicandoci sull'edera, tu comincia a scendere, io torno subito." Concluse, sparendo nel buio.

Non mi chiesi dove fosse andato, né perché lo stessi assecondando, ero talmente sconvolta che l'unica cosa che avevo in testa era fuggire da quella maledetta casa.

Uscii dalla finestra aggrappandomi al sostegno della pianta che cresceva sul muro, per poi atterrare sulla neve fresca. Le scarpe che indossavo continuavano a sfilarsi ad ogni passo che facevo, congelandomi la pianta del piede. Quando Jason mi raggiunse ci dirigemmo verso il boschetto che limitava la proprietà.

Le gambe faticavano a camminare nel manto gelido, costringendomi a fare unimmane fatica. Fu allora che mi chiesi se fosse saggio fuggire dalla polizia per un delitto che non avevo commesso.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now