Paura.

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Rimasi immobile, completamente sopraffatta dalle emozioni. Guardai l'estraneo rimanere vigile e attento, mentre mi stringeva i polsi con una fascetta di plastica. Ma prima che riuscisse a legarmi i piedi venne distratto da un grosso frastuono proveniente dal piano superiore: qualcuno stava rovistando fra la roba della povera vittima, scaraventando con forza degli oggetti pesanti al pavimento.

L'individuo si accigliò sollevando la testa verso il soffitto. Si assicurò che avessi le mani legate saldamente tra loro, e scomparve nell'oscurità.

Sentii le assi di legno della scala scricchiolare sotto il suo peso, l'orologio aveva fermato il suo ticchettio, e i rumori al piano superiore erano improvvisamente cessati, lasciandomi cadere nel silenzio più totale.

Gemetti dal dolore non appena accennai ad un minimo movimento. Strisciai sul pavimento verso il bordo del tavolo, incrociando lo sguardo con il cadavere che mi fissò con occhi spenti.

Avvolsi le dita di entrambe le mani attorno alla gamba di legno del mobile facendo forza con le braccia per provare a tirarmi in piedi: un calore immenso invase la ferita, accompagnato da un leggero formicolio, ma riuscii nell'intento aiutata dalla gamba sinistra. Frugai nei cassetti della cucina in cerca di un coltello, per poi incunearlo nell'inguine. Strinsi i muscoli dell'interno coscia e strofinai la lama fra i palmi.

Per mia fortuna il coltello era ben affilato e la plastica si tagliò facilmente.

Stavo sanguinando, potevo sentire la medicazione farsi pesante e bagnarmi la pelle sana, ma non potevo fermarmi.

Cominciai a zoppicare verso la porta, nonostante avessi voluto lasciarmi cadere sul pavimento per dare tregua al mio povero corpo. Ma inciampai su un'asse malmessa cadendo sul parquet in un tonfo sordo. Alcune lacrime silenziose mi scivolarono per le guance.

D'un tratto un luccichio nel buio attirò la mia attenzione, strisciai sulla schiena, tendendo gli occhi fissi su quella che si rivelò essere una pistola. Toccai il muro con la testa, segno che la mia fuga era ormai terminata, guardando terrorizzata l'aggressore. Un rumore metallico dichiarò il proiettile in canna.

"Devo concludere ciò che è stato iniziato." Affermò, mirando alla mia fronte.

Lo sparo echeggiò tra le mura di legno dell'abitazione.

Aprii gli occhi. L'intruso era a terra, un rivolo scuro di sangue gli colava dalle narici e dal foro di uscita del proiettile sulla fronte.

Rimasi ferma a fissare il corpo morto dell'uomo che solo un secondo prima stava per uccidermi, sconvolta. Un istante dopo Jason mi stava aiutando ad alzarmi, per fuggire dalla seconda scena del crimine.

Le strade erano semivuote a quell'ora di notte, a breve sarebbe uscito il sole.

Gemetti dal dolore cercando di cambiare posizione alla gamba ferita, devastata da profondi crampi.

Non parlammo per il resto del viaggio, sperando con tutta me stessa che mi stesse portando in ospedale.

Il cielo lentamente si dipingeva di un colore sempre più chiaro man mano che i secondi passavano, contornato da un'elegante luna sempre più nascosta.

Dopo tanto tempo mi ero sentita protetta, al sicuro e relativamente tranquilla, o almeno più degli ultimi giorni, considerati i recenti avvenimenti, ma poi tutto era crollato in meno di tre ore.

"Dobbiamo trovare un ospedale." Sentenziò Jason rompendo il silenzio con la sua voce roca e profonda.

"Non possiamo andare in ospedale." Ribattei io, nonostante l'avessi voluto con tutta me stessa. Ormai eravamo fottuti, dopo la fuga dalla casa di Adrian sicuramente eravamo diventati i principali sospettati, e il fatto che ci fossimo trovati sul luogo di un'altra scena del delitto dopo meno di cinque ore non era esattamente positivo.

"Lo so ma non posso lasciarti con la gamba in quelle condizioni." Continuò con lo sguardo serio fisso sulla strada e la mascella serrata.

"Non possiamo nemmeno rischiare così tanto, insomma hai ucciso Adrian e ora quest'uomo, scappando insieme sono diventata tua complice, quanto credi che ci metterebbe la polizia a trovarci se andassimo in un qualsiasi ospedale? A quest'ora ci staranno cercando ovunque!"

Lui rimase qualche secondo in silenzio, probabilmente pensando che effettivamente non fosse una cattiva idea lasciarmi in quelle condizioni se ciò gli garantiva la libertà, ma dalla sua espressione intuii stesse pensando ad altro: il suo sguardo era spaventato e assente, come se fosse preoccupato per qualcosa di più grande.

"Va bene, ma tu resisti..."

Non dissi nulla, chiedendomi fin dove ancora fosse disposto a spingersi per la sua libertà.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now