Morti viventi.

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La suoneria di un cellulare colmò il silenzio. Era il mio, e rimasi stupita del fatto che ancora funzionasse.

"Chi è?" Chiesi, mentre Henry lo recuperava da un cassetto.

"Un numero sconosciuto." Affermò lui turbato, non capivo il motivo della sua preoccupazione, pensai che fosse soltanto una di quelle pubblicità telefoniche.

Mi alzai dal letto e zoppicante mi diressi verso il ragazzo prendendo il telefono fra le mani.

"Pronto?"

"Adeline Worren?" Chiese una voce profonda.

"Sì, sono io" replicai.

Seguirono interminabili attimi di silenzio nei quali nessuno dei due parlò ma si sentirono solo sbuffi e parole farfugliate in un sussurro.

"Ciao Adeline..." disse poi l'interlocutore.

"Con chi sto parlando?

"Richard...Richard Worren, tuo padre."

Sentii il cuore fermarsi improvvisamente per qualche secondo, persi l'equilibrio indietreggiando in cerca di un appoggio. Non risposi. Così Henry afferrò il cellulare.

"Richard! Eravamo d'accordo che non l'avresti contattata! Che diavolo ti passa per la testa!"

Le rotelle del mio cervello cominciarono a girare incastrandosi l'una con l'altra in un complicato sistema di ingranaggi simile a quello di un orologio, portandomi in un flashback confuso.

Marzo 2015

Il sole pareva un lontano ricordo quella mattina poiché una fitta e spessa coperta di nuvole copriva il bel cielo azzurro del mattino.

Minacciava di piovere a momenti ma non potevo rallentare, ero già abbastanza in ritardo, il mio superiore avrebbe preso un provvedimento disciplinare se non avessi avuto una buona giustificazione, e ahimè non l'avevo.

Camminavo frettolosamente sul pavimento bagnato rischiando di scivolare ogni volta che il sottile tacco a spillo entrava in contatto con il suolo.

Il rumore dei miei passi era l'unico suono presente quella mattina, fra le larghe strade insolitamente deserte, e c'era una strana elettricità nell'aria. Sembrava quasi si potesse creare una scintilla dal nulla in uno schiocco di dita.

Finalmente svoltai l'angolo e arrivai alla meta.

Entrando dalle fragili porte di vetro cercai di confondermi nel viavai di persone, finchè una voce di donna mi richiamò. Imprecai mentalmente tirando gli occhi al cielo per poi voltarmi e trovare la mia segretaria guardarmi con disinvoltura.

"C'è una persona per lei." Disse la donna, con un leggero fiatone. Quella povera ragazza era scesa nella hall a cercarmi per una persona che voleva parlarmi? Ce n'erano a milioni che ogni giorno aspettavano delle ore fuori dal mio ufficio in attesa di colloquio, che aveva costui o costei di tanto speciale?

"Falla accomodare fuori dal mio ufficio" le ordinai continuando a camminare.

La ragazza mi venne dietro frettolosa.

"No signorina Worren, non mi sono spiegata bene, questa persona vuole parlarle ora..."

"La faccia accomodare fuori aspetterà il suo turno." Le risposi bruscamente.

"Ma signorina..." supplicò lei.

"No, la regola vale per tutti Jane, ti prego porgi le mie scuse ma dovrà attendere il suo turno." Risposi avviandomi all'ascensore.

"Dice di essere suo padre..."

"Impossibile mio padre è morto tempo fa." affermai convinta, entrando nell'ascensore, e lasciando la povera ragazza fuori dall'abitacolo con un'espressione sconfitta in volto.

Una volta arrivata al piano un dolce profumo di vaniglia mi ivestì. Sorpassai qualche ufficio vuoto per poi arrivare al mio, subito seguito dal bancone della segreteria, davanti al quale su una fila di sedie erano in attesa almeno dieci persone.

Dopo aver posato borsa e cappotto mi accomodai sulla poltrona di pelle nera davanti alla scrivania di vetro.

Svolsi qualche pratica e approvai un numero limitato di disegni per poi far entrare un paio di persone in attesa.

Solitamente chi accoglievo erano giornalisti di gossip, di moda, azionisti, fotografi, modelli e gente dello spettacolo.

Ma quella mattina era diversa, sentivo che c'era qualcosa di strano.

Parlai con qualche scrittrice della rivista per approvare alcuni articoli, e accolsi due o tre manager di modelle emergenti per mandarli via come al solito a mani vuote perchè non rispettavano gli standard.

Mancavano pochi minuti alla pausa pranzo e già mi sentivo esausta, pensai fosse colpa del tempo, che aveva deciso di bagnare la città con una pioggia fitta.

Improvvisamente poi, qualcuno entrò nell'ufficio.

Un'impermeabile scuro avvolgeva l'estraneo coprendone il viso con il cappuccio bagnato, puzzava di sigarette e di acqua piovana.

L'uomo si accomodò sulla sedia dinnanzi la scrivania per poi abbassare il cappuccio e rivelare un volto vissuto incorniciato da una leggera barba sale e pepe.

Dopo qualche attimo di silenzio gli chiesi cosa ci facesse lì.

"In cosa posso aiutarla?"

La mia domanda rimase in sospeso accompagnata da un fruscio di vestiti.

"Ciao Adeline..." disse poi l'uomo con una voce profonda e roca.

"Salve" risposi cercando di sorvolare la mancanza di rispetto. "Mi dica, di che ha bisogno?"

"Ho bisogno di parlarti." Replicò.

"Ma certo sono qui per ascoltare le sue esigenze, mi dica. Innanzi tutto il suo nome sarebbe?" Domandai provando a rendere la conversazione quasi normale.

"Richard Worren."

"Che curiosa coincidenza! Esclamai con finto entusiasmo. Anche mio padre, quando era in vita, si chiamava così!"

"Già... È per questo che sono qui. Basta con le menzogne." All'udire quelle parole i brividi mi percorsero la schiena. Non poteva essere reale tutto ciò, stava sicuramente bluffando.

"Senta, se è qui per raccontarmi delle stronzate vada pure via, non sarà nè il primo nè l'ultimo che mi fa perdere tempo sta mattina e sinceramente ho ben altro a cui pensare."

"Io sono tuo padre Adeline." Affermò l'uomo, e dal tono in cui furono pronunciate quelle parole pensai dentro di me che forse non stava mentendo, c'era un che di familiare in quella voce, in quei lineamenti, in quegli occhi, che mi diceva che le sue parole potevano essere vere.

Il fiume dei ricordi fu interrotto dalla mano di Henry che sfiorava la mia.

"Vedrai che prima o poi tutto avrà un senso."

Lo speravo davvero, perché il pensiero di vivere senza sapere a chi appartenesse il corpo che occupavo, mi stava facendo diventare matta. Non avrei chiesto altro che mettere a tacere tutte le voci che mi giravano in testa, ansiose di rivelare un passato che non riuscivo a decifrare.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now