Cambiamenti

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L'ennesimo viaggio era cominciato, non sapevo cosa potesse aspettarmi alla meta ma non mi sarei stupita di nulla, ormai avevo vissuto ogni genere di sventura.

Osservai la luna piena che splendeva con raffinata eleganza nella notte buia e tenebrosa, mentre il vento soffiava forte raggelando il sangue con il suo fischio fastidioso.

Lungo la strada si alternavano momenti di luce e di buio determinati dai lampioni, che tramite giallastri fasci di luce illuminavano brevemente l'abitacolo.

Non facevo che pensare ad Henry e a quello che era successo fra di noi, mi sentivo persa, pentita; avevamo avuto così tanto tempo per chiarire le questioni in sospeso ma non l'avevamo sfruttato. 

Potevo percepire l'insopportabile peso del rimorso gravarmi sul petto.

Sapevo che non mi sarei mai perdonata per averlo abbandonato in quel modo, come non mi ero ancora perdonata per essere scappata da lui la volta prima.

Appena incontrato, dopo la perdita della memoria, non riuscivo ad immaginare come fosse stato per lui perdermi, ma quella notte, lo capivo. Capivo cosa volesse dire essere distanti, sapere di non poter cambiare il fato, chiedersi se l'altro stia bene oppure no, sentire la mancanza del calore del suo corpo.

Capivo cosa significasse sacrificarsi per qualcuno che si ama, essere terrorizzati davanti all'inevitabilità. Provavo un dolore indescrivibile. Ero destinata a rimanere prigioniera di un terribile circolo vizioso che mi donava la libertà negandomela poco dopo. Non potevo continuare in quel modo, dovevo fare qualcosa per uscirne.

Avevo bisogno di una distrazione, perciò improvvisai.

"Sheeba potresti fermarti un momento?" Chiesi con il fiato corto, premendomi una mano sul petto.

"Mi dispiace ma non abbiamo tempo, dobbiamo proseguire. Tieni, vomita qui se devi" rispose, porgendomi un sacchetto di plastica.

"Oddio mi gira la testa..." La donna non rispose continuando a guidare.

"Ti prego, fermati due minuti..." la implorai, ma l'auto rimase diligentemente in carreggiata ignorando le mie suppliche.

Al ché mi preparai mentalmente all'idea di prendere una bella testata.

Feci finta che mi mancasse il respiro crollando a peso morto sul cruscotto, apparentemente priva di sensi. Ottenni così la sua attenzione. Provò a svegliarmi, ma continuai la farsa, finché non accostò al lato della strada con qualche imprecazione.

La mia intenzione era di aggredirla mentre chiamava i soccorsi, ma rividi il piano quando mi resi conto che non era un'operatore la persona con cui parlava al cellulare.

"Abbiamo un problema" la sentii affermare visibilmente seccata "Ha avuto un malore ed ora è priva di sensi"

"No, credo sia viva" disse poi avvicinandosi e posandomi due dita sulla giugulare. Mentre cercavo di indentificare l'interlocutore, mi procurai un'arma spingendo il pulsante dell'accendi sigari e lasciandolo scaldare.

"Sì, sarà fatto, in caso si riprenda procediamo con il piano originario?" Domandò quindi con impazienza.

In quell'esatto istante notai un foglio che spuntava da sotto il mio sedile. Lanciai uno sguardo fuori dall'auto: Sheeba era ancora impegnata al cellulare, così allungai un braccio per poter prendere il documento: un invito a nozze. Alle mie nozze. Non appena l'ebbi davanti ai miei occhi rabbrividii.

Non la stavo aiutando ad incastrare Sharon, ma ad incastrare me.

Fu allora che vidi la donna tornare indietro, quindi riposi frettolosamente l'oggetto dove l'avevo trovato e recitai la mia parte.

Ero stata ingannata, mi avrebbe consegnata a Sharon, non potevo credere di essere stata così ingenua. Così decisi fosse il momento di reagire. Quando si avvicinò per esaminarmi meglio, la colpii forte sul viso con la feroce rabbia che ha solo chi viene tradito. La donna cadde a terra intontita sollevando una spessa coltre di polvere.

Quell'invito era la prova che Sharon aveva pianificato tutto sin dall'inizio, e che in ogni caso sarei dovuta morire.

Sheeba non ebbe nemmeno il tempo di rialzarsi che l'attaccai nuovamente con l'accendi sigari dell'auto. Le bruciai brutalmente il palmo di una mano che protese in sua difesa, seguita dall'altro, ferito quasi in concomitanza. La pelle sfrigolò come una bistecca sulla brace. La donna urlò dal dolore ma non si arrese: mi gettai sulla faccia mirando agli occhi, ma lei fu più veloce e ribaltó la situazione: sentii le sue dita stringere man mano sempre più forte intorno alla trachea. Con le braccia cercai in tutti i modi di allontanarla, spingendola via, schiaffeggiandola, ma non servì a nulla, la sua posizione le permetteva di controllarmi.

Era finita, e realizzai solo allora quanto fosse stata insignificante la mia vita. Vidi il mio corpo senza vita che veniva analizzato dalla polizia scientifica qualche ora più tardi, e il medico legale che annunciava le cause della morte. Gli occhi gonfi, il viso violaceo, la gola livida. Sarebbe rimasto di me solamente uno spirito solitario e colmo di rancori che abbandonava il proprio guscio mortale, ed è così che avrei lasciato definitivamente Henry per l'ultima volta, senza nemmeno un addio.

Non potevo permettere che ciò accadesse.

Raccolsi tutta la forza che mi rimaneva in corpo e colpii la donna nell'inguine con il ginocchio, lei allentò la presa e attaccai nuovamente con una potente testata.

Sheeba crollò a terra dolorante, e io colsi l'occasione per prendere la sua pistola dai sedili posteriori dell'auto mirando alla sua testa: un colpo ben assestato l'avrebbe uccisa all'istate.

Caricai l'arma ma esitai, pervasa dalla paura di uccidere, dandole così modo di aggredirmi nuovamente, la donna provò in tutti i modi a togliermi l'oggetto dalle mani ma ero determinata a non dargliela vinta, lottammo parecchio finché uno sparo non riportò l'ordine, gelando il sangue ad entrambe.

Il suono echeggiò colpevole nella notte, ponendo fine al conflitto.

Guardai terrorizzata l'arma che stringevo fra le dita, mentre Sheeba si accasciava su un fianco reggendosi alla mia spalla destra, scivolò poi lungo il braccio collassando a terra.

Il sangue spillava dalla ferita come acqua fresca di montagna inzuppando il terriccio sotto il suo corpo.

Senza pensarci due volte presi l'auto lasciando la pistola insanguinata sul sedile davanti e fuggii.

Il sapore della libertà era semplicemente divino: sentivo l'adrenalina scorrere veloce, lo stomaco riempirsi di farfalle scalpitanti e l'entusiasmo, misto alla paura prendere il controllo del mio corpo. Un largo sorriso mi si formò sul viso stanco: in quel momento capii che non avrei più permesso a nessuno di fermarmi.

Quello dell'omicidio invece, era un miscuglio di sensi di colpa ed euforia, un fuoco che lentamente riduceva il cuore in cenere. Riuscii a sentire la follia sorgere dagli angoli più oscuri della mente. Ma nonostante le emozioni contrastanti, la ragione prevalse: avevo superato un punto di non ritorno.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now