Nasconditi.

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Non appena aprii la porta d'ingresso il ragazzo entrò come una furia, quasi spintonandomi.

"Adeline, che diavolo è successo?" Sbraitò passandosi le dita fra i capelli. Era sudato, come se fosse arrivato di corsa, aveva la camicia stropicciata e la giacca del completo in mano. Si allentò la cravatta sbuffando, per poi sedersi sul divano.

Provai a rispondere alla sua domanda, ma mi interruppe.

"Pensavo fossi in ospedale, al sicuro..."

"Al sicuro da che?" Chiesi, non era il primo ad avere un comportamento strano, sia mia madre che il maggiordomo sembravano preoccupati e l'aggiungersi di Jason alla lista fece preoccupare anche me, dandomi conferma ci fosse qualcosa che dovevo sapere.

"Non importa, stai bene? Cosa è successo?" perché nessuno voleva darmi delle risposte?

"Sì, sto bene..." evitai il suo sguardo camminando verso il lato opposto della stanza.

"Adeline perché sei qui? " la sua domanda mi investì come una gelida valanga di neve. Non sapevo nemmeno io perché fossi lì, era semplicemente il primo posto a cui avevo pensato. Il mio appartamento era troppo lontano e non avevo nessun altro se non la mia famiglia e Jason. Ma la sua domanda mi fece riflettere: non entravo in quella casa da mesi, e, tempo addietro, non c'ero mai rimasta per la notte, nemmeno dopo essere stata dimessa dall'ospedale. Mia madre aveva insistito che tornassi nel mio appartamento. Diceva che mi avrebbe aiutato tornare alla mia routine. In quel momento però, osservando l'espressione di Jason, cominciai a chiedermi se ci fosse qualcos'altro che avrei dovuto sapere.

"Non lo so Jason, mi sembrava l'unica opzione..." il ragazzo annuì delicatamente con la testa poggiando i gomiti sulle ginocchia.

"Va bene "Sospirò.

"Ho avuto un episodio" Affermai, osservando la servitù sistemare alcuni vasi nel cortile. Gli avrei chiesto spiegazioni in seguito.

"Intendi che hai ricordato qualcosa?"

"Non sono sicura che siano veri e propri ricordi, il mio psichiatra dice che potrebbero essere anche delle memorie inventate, come se il mio cervello volesse colmare il vuoto, dare delle giustificazioni."

Il ragazzo si alzò avvolgendomi in un abbraccio.

Vedrai che torneranno, è solo questione di tempo

"Sembrava così reale..." sussurrai nell'incavo della sua spalla.

"A volte ciò che non è reale sembra talmente vero che supera addirittura la realtà stessa... " Rispose in tono rassicurante.

Nel bel mezzo di quel gesto spontaneo lo sguardo mi si posò sulla soglia della cucina, e qualcosa catturò la mia attenzione. Intravidi la divisa nera di Claude e la punta di uno dei tacchi vertiginosi di mia madre spuntare da dietro la parete bianca. La donna gesticolava violentemente con in mano un bicchiere di Champagne mentre l'altro cercava di tranquillizzarla. Non riuscii a sentire cosa si stessero dicendo ma immaginai nulla di positivo. Era il momento di chiedere spiegazioni a Jason. Così mi liberai dalla stretta per dirigermi al divano e crollare a peso morto sul cuscino in pelle.

"Jason ho bisogno che tu mi dica la verità" affermai, seguendolo con lo sguardo mentre si sedeva al mio fianco.

"Lo so, ma non credo che sia il momento adatto"

"Comincio a pensare che non ci sia un momento adatto"

"Ascolta, ci sono tante cose che dovresti sapere ma non posso parlarti di tutto, il tuo psichiatra ha detto..."

"Non mi interessa cos'ha detto! Ho il diritto di sapere per quale motivo vi stiate tutti comportando in modo strano, non ti sto mica chiedendo di raccontarmi per filo e per segno come fosse la mia vita, ma solo perché sei preoccupato che io sia qui."

Jason tacque per qualche istante, in cui riuscii a udire solamente il ticchettio dell'orologio da muro posto subito sopra il camino.

"Va bene" disse in un sospiro "Ti dirò il motivo, ma devi promettermi di non farti prendere dal panico" lo vidi talmente serio che mi venne la pelle doca. Cosa poteva esserci di così sconvolgente?

"Te lo prometto" ovviamente mentii, volevo solo sapere la verità, ma non immaginavo che potesse realmente distruggermi.

Jason prese fiato sul punto di parlare, finché un rumore catturò la sua attenzione: un'auto scura entrò nel vialetto parcheggiando sulla ghiaia dell'ingresso .

"È tardi." Affermò così il ragazzo con lo sguardo puntato sull'automobile.

"È solo Adrian" protestai, mentre mi trascinava verso le scale che portavano al piano superiore. Ma lui non rispose continuando la fuga, rischiando di inciampare sugli scalini.

"Dove stiamo andando?"

La domanda rimase nuovamente senza replica, galleggiante nell'aria come un palloncino gonfiato ad elio.

"Lauren!" una voce maschile echeggiò nell'atrio, ero sicura fosse Adrian, ma perché stavamo scappando?

"Lauren dobbiamo parlare!" Disse avviandosi per la scalinata.

"Vieni" sussurrò Jason portandomi con sé nella mia stanza.

"Maledizione Lauren sei lì?" Chiese udendo la porta chiudersi "Dobbiamo parlare di Sharon, giuro che le strappo quelle maledette extention una ad una!"

Jason mi mise una mano sulla bocca; fece segno di stare in silenzio e mi scortò verso lo specchio. Rimasi confusa, non sarebbe stato più semplice uscire dalla finestra?

"Lauren!" Urlò nuovamente Adrian fermandosi davanti alla porta della mia stanza.

Nel mentre Il ragazzo sollevò lo specchio da un sostegno e mi fece cenno di entrare nel muro.
Mi inoltrai nell'intercapedine e e lo guardai chiudere il varco con delicatezza.

"Lauren sei qui?" Chiese l'uomo bussando rumorosamente alla porta.

Il ragazzo mi posò una mano sulla bocca. Rimasi immobile provando a dare un senso a ciò che stava succedendo. Il silenzio cadde nella stanza, e per qualche secondo sentii la paura scorrermi nelle vene, ma poi Adrian si allontanò con passi decisi e in uno sbuffo ripresi a respirare normalmente.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now