Quiete.

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18 gennaio 2016

Mi persi a fissare il buio, con la bocca asciutta e la mente colma di pensieri.

Navigavo in mezzo a quel mare in burrasca tentando di rimanere a galla il più a lungo possibile: abbandonandomi ai sogni, ai dubbi, alle paure, i timori.

C'era così tanto movimento all'interno che la testa cominciò ad esprimere la sua pienezza straripante di riflessioni, ormai divenuta insostenibile, attraverso un leggero dolore alla tempia sinistra.

Chissà perché però, non mi impedì di smettere.

Mi chiesi per quale arcano motivo la notte portasse così tante domande e dubbi, così tanti dilemmi che durante il giorno sembravano risolti.

Il buio creava angoscia, portando ad immaginare un complicato disegno astratto e terrificante di ciò che poteva nascondersi nell'oscurità. Il silenzio invece, lasciava girare le rotelle della mente con più scorrevolezza. E la solitudine: oscura e infida, ti avvolgeva con il suo tetro mantello costringendoti sempre di più a trovare una compagnia, fino ad arrivare a cercarla dentro te stesso. Ed è allora che risorgono i dubbi e le paure.

Ciò che non si conosce spaventa a morte, e io non sapevo dare una definizione precisa a quello che mi stava capitando, per questo ero terrorizzata.

Immaginai che il rumore dei miei pensieri si sentisse anche da fuori, occupando il silenzio inquietante della notte.

Sospirai raggomitolandomi sotto le lenzuola.

La gamba ferita rimase distesa, mentre l'altra la piegai verso l'esterno.

Un'aria pungente entrava dallo spiraglio della porta, insieme ad una luce flebile comparsa sul momento.

Incuriosita da quel barlume, misi da parte i grattacapi, dedicandomi all'ascolto dell'oscurità.

In quel momento l'unico suono che udivo era il battito del mio cuore, sempre più veloce man mano che la pace persisteva.

Il lume era ancora presente, ma non ci fu traccia di segni di vita.

Poi dei passi ruppero la quiete: svelti e decisi, percorsero il salotto dinnanzi la porta, in direzione della cucina.

Il rumore di un getto d'acqua riempì il successivo silenzio creatosi.

Qualcosa venne posato con forza sul ripiano di legno del tavolo da pranzo.

La quiete calò nuovamente, per le successive due decine di minuti, quando ad un tratto un gemito strozzato arrivò appena alle mie orecchie, seguito da un tonfo sordo.

Poi niente.

La luce rimase accesa, nessun'ombra l'oscurò passandoci davanti.

Sentii il cuore salirmi in gola dalla paura, stringendo con una forza inusuale le coperte fra le dita. Quella pace mi stava consumando.

Dopo una mezz'ora passata a pregare che qualcosa accadesse decisi di svegliare Jason, che dormiva su un materasso gonfiabile ai piedi del letto.

"Jason" sussurrai "Jason" ripetei sempre sottovoce, scuotendolo leggermente per una spalla.

Dei lamenti sommessi mi motivarono a continuare.

"Jason svegliati" lo chiamai. Il ragazzo sembrò socchiudere gli occhi. "Jason" ripetei, finché non li aprì, e in un grosso sbadiglio mi chiese spiegazioni.

"Ho sentito dei rumori in cucina..." ammisi spaventata.

"Sei solo stanca Adeline, riposa un po'."

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now