Tradita.

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Il buio lentamente stava cedendo il posto alla flebile e timida luce solare, immergendo la statale in un'atmosfera quasi magica.

Le auto sfrecciavano sulle corsie opposte, pareva che il numero di esse in pochi attimi si fosse raddoppiato, così popolando la strada deserta di pocanzi.

Sentivo le palpebre pressare stanche sugli occhi, gonfi dal mancato sonno, lo stomaco implorare disperatamente cibo, e il mio intero corpo chiedere pietà e riposo.

Mi sistemai sul sedile per provare in qualche modo ad addormentarmi, appoggiando la testa al vetro del finestrino.

Socchiusi lentamente gli occhi, tentando di alleviare il fastidio delle luci e i rumori delle auto, fino ad unire le palpebre tagliando fuori ogni cosa dal mio mondo.

Marzo 2015

Quella sera pioveva a dirotto per le larghe strade, intasate dalle macchine che sollevavano una fitta nebbia di fumo nero.

Migliaia di ombrelli si incastravano fra loro lungo i marciapiedi, rallentando notevolmente il mio cammino verso casa.

Mi aggiravo goffamente fra la gente tenendomi stretta la borsa in cerca di una fine, uno sbocco, a quell'interminabile massa di persone.

Non aspettavo altro che tornare a casa e guardare la tv sotto una morbida coperta abbracciata a... Come si chiamava?

Improvvisamente una mano mi avvolse il polso stringendo la presa e trascinandomi all'interno di un negozio.

Stavo quasi per protestare indignata, quando sulla soglia di quel grosso negozio di vestiti lo vidi. Pensai che fosse una presa in giro ma lui era lì, in piedi davanti a me che mi stringeva il polso morbidamente, con un caldo e luminoso sorriso in volto, e una positività in quegli occhi scuri quasi disarmante. Era lui, me lo sentivo, ma non riuscivo ad abbinare quel viso così familiare ad un nome.

"Che ci fai qui!" Esclamai raggiante, come se il corpo fosse indipendente alla mente.

"Mi andava di venirti in contro, non riuscivo a restare ad aspettarti un minuto di più con il cane che mi leccava la faccia." Rispose sorridendo.

Risi alla scena buffa che mi si formò in mente immaginando ciò che aveva descritto.

"Povero il mio cucciolo!" Esclamai.

"Da quando è il tuo cucciolo?" Chiese il ragazzo con una punta di gelosia.

Sorrisi.

"Scemo parlavo di te" dissi colpendolo leggermente su una spalla.

"Sarà meglio"

"Dai andiamo a casa, è tardi."

"Aspetta"

Posai lo sguardo sui suoi occhi castani, facendo di lui il centro della mia attenzione. Portò un braccio dietro la mia schiena premendomi il petto contro il suo cappotto beige. Sentii il suo profumo. Era il più buono che avessi mai sentito.

Incastrò le sue dita fra le mie portando la mano verso l'alto. Fece un passo di lato, poi un altro, e un altro ancora, trasportandomi nei suoi movimenti. Cominciammo a danzare, nell'atmosfera giallastra delle luci artificiali.

L'odore della pioggia si mischiava al suo, mentre in sottofondo il rumore scrosciante dell'acqua danzava con noi.

La situazione era così assurda da sembrare normale.

Nessuno si preoccupò di due pazzi che ballavano sulla soglia di un negozio di vestiti, e noi non ci preoccupammo di sembrare folli. Perché in fin dei conti in amore ci vuole anche un po' di pazzia.

Gradualmente rallentammo fino a ritrovarci fermi ma con i corpi caldi ancora a contatto fra loro. Il sorriso che mi si materializzò sul viso contagiò il giovane, che sfoderò una sfilza di denti perfetti, contornati da un paio di labbra rosee leggermente screpolate.

"Ti amo Adeline." Disse, liberando una nuvola bianca di vapore.

"Ti amo anche io." Risposi. Lo dissi come se fosse la cosa più naturale del mondo, e quella volta non fu solo iniziativa del mio corpo, ma anche della mia mente.

Fissavo quegli occhi scuri in cerca di risposte, senza però trovarle.

Il ricordo continuò: infilai le dita nel cipiglio castano del ragazzo, che lentamente si avvicinò posando le sue labbra piene sulle mie.

Uno sciame di farfalle si risvegliò frenetico nel mio stomaco. Avrei dato qualsiasi cosa per tornare a quel preciso istante.

18 gennaio 2016

Un'accecante luce mi riscosse dal sonno. Qualcosa di viscido e liquido mi bagnava la pelle in piccole aree del viso e sugli arti superiori.

Aprii gli occhi frastornata mettendo a fuoco dopo qualche secondo la scena terrorizzante riflessa nello specchietto retrovisore: un grosso ed incontrollato incendio bruciava fuori dalla macchina, a pochi metri, avvicinandosi con velocità allarmante al retro dell'auto, un incidente sicuramente premeditato.

Jason era di fianco a me privo di sensi. Le mie urla lo destarono in pochi minuti.

Le cinture erano bloccate, e le portiere pure. L'auto sembrava non dare nessun segno di vita e per nostra grande fortuna i cellulari non prendevano.

Le fiamme avanzarono, sempre più vicine all'automobile, le potevo scorgere dallo specchietto laterale: il loro cammino era preciso.

Stavo sudando. Fu allora, che notai una figura umana vestita di nero, che osservava a distanza ciò che stava per accadere. Chi diavolo era? Armeggiai con la portiera. Dovevo assolutamente scendere, tutta quella storia cominciava a diventare insostenibile.

Come se non bastasse, quando realizzai che lo sportello non si sarebbe aperto mi voltai verso Jason per chiedergli una mano o almeno cosa avesse intenzione di fare, trovando al suo posto il sedile vuoto e la portiera spalancata.

Non potevo credere che mi avesse abbandonata.

Cominciai a frugare in ogni cassetto, fessura, scomparto, in cerca di un utensile da usare per tagliare la cintura di sicurezza. Rimanevano dieci secondi scarsi. Se volevo vivere dovevo farmi venire un'idea, e in fretta. D'un tratto riportai lo sguardo sul sedile notando l'accendisigari. "A mali estremi..." Sussurrai "Speriamo che funzioni"

Estrassi il piccolo oggetto rovente, ringraziando il cielo che Jason avesse il vizio di fumare, e lo appoggiai sulla fettuccia della cintura, che dopo pochi secondi si strappò.

Una volta libera riposi l'oggetto al suo posto e mi gettai a peso morto sulla leva del cambio con il busto, cercando di strisciare il più velocemente possibile fuori da quell'inferno.

Non fu facile sopportare il dolore alla gamba, ma mi sembrò impossibile quando le caviglie strisciarono finalmente sull'asfalto freddo.

Mi voltai in direzione del bagagliaio vedendolo prendere improvvisamente fuoco.

In pochi attimi l'auto esplose, schegge e lamiere in fiamme schizzarono via. Mi rannicchiai su me stessa urlando.

Un fischio assordante mi invase i timpani, coprendo qualsiasi altro rumore.

Gridai dal dolore implorando aiuto, con l'incendio che divampava a pochi passi. Avevo i vestiti in parte bruciati, la fasciatura intrisa dal sangue e il tutore rovente. Sudavo in modo copioso, le tempie cominciarono a pulsare e mi sentii esausta. Lasciai che il corpo si stendesse sull'asfalto, chiudendo gli occhi.

Sprazzi sfocati mi liberarono a momenti dallo stato di incoscienza.

Un'ultima frase si fece largo nella mia mente in un sussurro soffocato, come un vago ricordo che cercava di riemergere:

"Sei il mio piccolo uomo, e non permetterò mai a nessuno di farti del male."

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now