Follia.

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Giugno 2015

Un'odore acre mi costrinse ad aprire gli occhi, riportandomi alla realtà.

Improvvisamente il dolore mi colpì alla testa, facendomi perdere per qualche attimo l'orientamento. Poi si spostò sul corpo: schiena, braccia e gambe erano pervase da un bruciore acuto e incontrollabile; non mi mossi, per paura di soffrire il doppio.

Aprii gli occhi e mi guardai intorno: il buio avvolgeva la piccola stanza di cemento, tranne che per un fascio di luce sottile, che terminava a metà del pavimento.

Tremavo dal freddo ma allo stesso tempo sudavo. Posai lo sguardo sul mio corpo: nonostante la luce non fosse forte riuscii a vedere la fonte del mio dolore. Passai delicatamente le dita sulle gambe ferite sussultando ad ogni tocco, per capire se ciò che vedevo fosse reale. Profondi tagli di ogni tipo mi ricoprivano le gambe: alcuni con la pelle stracciata, altri lineari, altri ancora sovrapposti...

Delle lacrime mi scivolarono sul viso senza permesso. Appoggiai la testa al muro, esausta e sanguinante, e portai una mano al viso per asciugarmi la fronte, ma non appena piegai il braccio sussultai: anche lì la pelle era brutalmente ferita.

Rimasi immobile qualche minuto, singhiozzante, immersa nella solitudine, finché al mio pianto si aggiunse un lamento proveniente dall'esterno.

Mi zittii per capire se ciò che avevo sentito fosse reale o solo frutto della mia immaginazione; qualche secondo di silenzio dopo, i lamenti continuarono.

"C'è... C'è qualcuno?" Chiesi con le parole che mi si strozzavano in gola.

"Ehi!" Ripetei, cercando di attirare l'attenzione.

Ma nessuno rispose, di rimando i suoni si intensificarono diventando urla strazianti.

Mi sentii osservata da ogni angolo della stanza.

Portai le mani alle orecchie raggomitolandomi su me stessa.

Il dolore non appena piegai le gambe fu immane, ma sopportabile in confronto a quel grido inarrestabile.

Cominciai ad urlare, implorando di smettere, chiedendo pietà, ma nulla funzionò. Poi improvvisamente tutto tacque. Il silenzio tornò a regnare sovrano tra le quattro mura. Avevo il fiato corto, il viso bagnato dalle lacrime e dal sudore. La gola mi bruciava e le tempie pulsavano sincronizzate al battito cardiaco.

Ormai non avevo più nemmeno la forza di disperarmi, ero vuota, senza più niente per cui vivere, senza uno scopo, un motivo da attribuire a tutta quella sofferenza.

Mi pareva così tanto un'incubo, che riuscivo quasi a convincermi lo fosse, ma non appena arrivava l'alba del giorno dopo mi risvegliavo nuovamente in quel posto, incastrata in un'interminabile circolo vizioso. Cominciai a ridere dal nulla, senza un valido motivo, forse per solitudine, forse per paura, forse per follia.

Fissai il buio davanti a me con gli occhi spalancati, mentre passavo un dito sulle ferite della gamba, impregnandolo di sangue, e pensai che dovesse esserci un motivo a quel dolore, forse me lo meritavo. Più soffrivo più mi sentivo obbediente, libera. E in quel momento, in un attimo di lucidità, realizzai: stavo perdendo il senno.

Repulisti - La ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora