Accuse (II parte)

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"Cosa? Parla seriamente? Anche se fosse non sarebbe rilevante al momento, ci sono delle vite in gioco" dissi, provando disperatamente a sviare il discorso. Ogni secondo che passava era tempo in più che regalavamo a Sharon per smantellare le prove, e in meno per me, perché sapevo che presto Jason sarebbe venuto per trascinarmi via da lì prima che potessi seriamente compromettere i loro affari. Ma quella volta non ne sarei uscita indenne.

"Non è rilevante? Lei ha mentito alla polizia, occultato importanti informazioni sul caso... Non si rende conto che questo fatto la rende ancora più colpevole?" Mi rimproverò la donna perdendo la calma.

"Mi ascolti detective, delle persone moriranno se non facciamo qualcosa subito" affermai cercando in tutti i modi di convincerla ad intervenire.

"No signorina Worren, mi ascolti lei: è finita, questa sua farsa è giunta al termine.
La dichiaro in arresto per l'omicidio di Adrian Caster, Philips Edwards, Caterine Sproust e Sheeba Akter..." disse, cominciando ad elencarmi i diritti mentre due agenti mi ammanettavano e mi scortavano verso la cella.

In quei pochi attimi vidi finalmente tutta la mia vita passarmi davanti agli occhi, e per un secondo mi sentii libera, sollevata da un peso enorme. Ma presto le immagini divennero sfocate, e si persero nuovamente nel vuoto della memoria.

La cella si chiuse alle mie spalle ma non me ne curai, perché il conflitto interiore che mi affliggeva era troppo forte. La detective mi aveva aperto gli occhi: non avevo mai dimenticato, avevo solo nascosto tutto in un angolo buio in modo che non venisse più fuori, dovevo solo impegnarmi per far riaffiorare quei ricordi. Ma in quel momento c'era in ballo la vita di persone che amavo e di vittime innocenti, e forse la mia mente aveva compreso che il dolore di una perdita sarebbe stato peggiore di quello che poteva essere la consapevolezza delle violenze subite.

Erano ormai passate parecchie ore quando un vociare indistinto echeggiò fra le mura del corridoio, arrivando fino alle mie orecchie sempre più chiaro e limpido. Riconobbi subito quella voce.

Poco dopo infatti la sua figura esile mi si stagliò davanti afferrando con entrambe le mani le sbarre.

"Apra questa maledetta cella!" Urlò Henry alla guardia, in preda all'isterismo. Era completamente fuori di senno, pervaso da una potente rabbia repressa che stava riversando sul sistema giudiziario statale.

Compresi i suoi sentimenti avvicinandomi alla parete di metallo.

"Va tutto bene Henry, non ti preoccupare. Riuscirò a provare la mia innocenza..." lo rassicurai, provando allo stesso tempo di convincere anche me stessa.

"Adeline non hanno prove sufficienti contro di te, e sei un testimone chiave. Devono farti uscire." Provai a protestare ma l'ispettrice parlò al posto mio.

"È una sospettata di omicidio plurimo, non possiamo rilasciarla."

E fu in quell'attimo che mi chiesi per quale motivo Henry non fosse incarcerato come me.

Lui sembrò carpire i miei dubbi, ma decise di non risolverli.

"Detective Clarke, liberi questa donna." replicò con convinzione sfruttando le sue doti persuasive. Mi convinsi che la sua richiesta fosse impossibile, per quale ragione avrebbero dovuto consegnarmi in custodia ad un civile con le accuse che avevo? Ma la poliziotta, dopo aver esitato qualche secondo, fece cenno alla guardia di aprire la cella e togliermi le manette.

"Cosa diavolo succede?" Domandai confusa, senza ottenere risposta.

"Signor Blackwood!" Lo richiamò poi la detective mentre ci avviavamo verso l'uscita del distretto "Porga i miei saluti ai suoi amici dei piani alti." Concluse, rintanandosi poi nel suo ufficio.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now