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23 gennaio 2016

Il tragitto in auto fino a casa di mia madre fu infinito. Fissavo il mio riflesso nello specchietto retrovisore ricordando ciò che era accaduto fra quelle mura solo qualche giorno prima, e chiedendomi se fossi pronta ad affrontarlo.

Quella mattina non riuscivo a decidere quale fosse la cosa più assurda e imbarazzante che fosse successa: l'essermi svegliata accanto ad Henry, il fatto che vedendomi allo specchio in bagno non mi fossi riconosciuta, l'aver sognato la terribile scena che Henry mi aveva descritto la sera precedente riguardo Madison, oppure il fatto che stessi ripercorrendo i miei passi al contrario tornando dove tutto, o quasi, aveva avuto origine.

Avevo paura: paura che tutti i miei sforzi fossero stati vani, che non avremmo trovato niente di utile, e che tutto sarebbe andato terribilmente a rotoli.

L'auto si fermò davanti al cancello che delimitava la proprietà, il giardiniere era intento a potare le piante mentre gli innaffiatoi automatici bagnavano il prato.

Henry mi guardava, indeciso su cosa dire o fare, con la consapevolezza che stessimo per entrare nella tana dell'orso e che io fossi sul punto di crollare. Si limitò a guardarmi con il peso dell'indecisione sullo stomaco: pensava che parlando avrebbe potuto peggiorare le cose. In una circostanza normale, mi avrebbe rassicurata con un abbraccio e qualche bacio in fronte, ma considerato il fatto che ancora non avevo proferito parola dopo essermi svegliata quella mattina, preferì tacere.

In effetti mi sentivo a disagio: non tanto per il fatto che avessimo passato la notte insieme, ma perché avevamo superato un limite importante, eravamo andati oltre la semplice complicità e non sapevo cosa fare.

Fummo davanti alla proprietà dieci minuti prima di mezzogiorno, nello stesso istante in cui William comunicò ad Henry di essere entrato nella casa discografica con Valerian.

Uscendo dall'auto sentii la temperatura diminuire notevolmente: il freddo invernale cercò di infiltrarsi sotto i vestiti, con l'obiettivo di fare delle mie ossa fragili sculture di ghiaccio. Mi strinsi nel lungo cappotto che indossavo guadagnando un minimo di tepore in più.

Il tempo era cambiato in fretta: una volta cessata la pioggia dei giorni precedenti eravamo caduti in un freddo polare che avrebbe sicuramente portato lunghe nevicate.

Una volta davanti al grande cancello, Henry suonò il campanello. Rispose una voce roca chiedendo chi fosse, il ragazzo replicò dicendo che eravamo i fotografi che aveva assunto la Signora Caster.

Ci fu così confermato l'ingresso.

Secondo le informazioni dateci da Valerian nostra madre aveva intenzione di vendere la casa, che omise però al figlio il patto stretto con la famiglia Edwards, dicendo che non avrebbe badato a spese pur di ottenere il massimo prezzo di vendita. Per questo, da quanto gli aveva riferito, aveva assunto dei fotografi per scattare delle foto impeccabili alla casa, che poi sarebbero andate all'agenzia immobiliare.

Così, sotto forma di quest'ultimi, camminavamo sul sentiero di ghiaia che conduceva alla porta intenti a carpirne ogni minimo dettaglio.

Una volta giunti all'ingresso Claude, il maggiordomo, un ometto basso e robusto con indosso un completo, ci fece entrare studiandoci da capo a piedi con i suoi piccoli occhi. Ebbi un sussulto vedendo il salone estendersi davanti a me: non ero pronta ad affrontare il passato una seconda volta, ma non avevo altra scelta.

Distolsi lo sguardo dal divano che mi ricordava l'orribile abuso subito, provando a concentrarmi sul perché fossimo lì.

Henry cominciò a scattare le foto, dopo essersi presentato a Claude e risposto alle sue domande; il flash illuminò per un secondo il salone, in cui vidi un breve istante il corpo di Adrian disteso sul pavimento in un lago di sangue scuro.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now