Fobie (I parte)

51 3 1
                                    

"Quindi sei un medico..." Affermai, con la gamba tesa sul suo grembo mentre delicatamente tagliava le bende.

"Così ho detto di essere."

"E lo sei?" Chiesi, fissandolo con occhi carichi di curiosità.

Trasalii percependo il contatto freddo della forbice contro la carne viva.

Trattenni il respiro per qualche secondo.

"Perdonami" disse, quasi in un sussurro, senza distogliere minimamente lo sguardo dalle lame in acciaio delle forbici.

Calò nuovamente la quiete, rendendo la stanza vuota.

Mi chiesi a che cosa stesse pensando, non aveva mai ignorato una mia domanda prima, cosa nascondeva?

Fu così che le paroanoie si fecero strada nella mia mente: la paura di essere ingannata di nuovo mi bucava lo stomaco. Avevo la sensazione che forse dare così tanta fiducia a Henry, nonostante mi avesse dimostrato di essere sincero, non fosse stata una buona idea. Mi ero fidata di Jason, ed ero stata investita, stuprata, ferita, e quasi morta per ben due volte... Cominciavo a ricredermi sul conto di Henry, magari ero stata troppo precipitosa nel lasciare che lui si occupasse di me, magari stavo correndo troppo.

D'altronde però, lui non era Jason, e mi convinsi che ormai avevo vissuto ogni possibile esperienza traumatica, cosa poteva essere peggio di quello che avevo passato?

Henry spostò più in alto il lembo della tuta, scoprendo leggermente la coscia.

Rimase qualche secondo a fissare la pelle sfregiata, quasi ferito, poi sollevò lo sguardo incontrando il mio. Si limitò a guardarmi negli occhi, in silenzio. Vedevo la tristezza e la sensazione di frustrante impotenza dipinta sul suo viso, percepii quanto la cosa lo torturasse. Il tutto fu fugace, quasi stesse evitando a se stesso di crollare.

All'esterno il paesaggio era dipinto di bianco, per quanto potesse rimanere di quel candore. Durante la notte la pioggia era diventata soffice neve, che però durò poco, poiché già alle cinque del mattino la strada era stata sgomberata e il morbido manto immacolato si era trasformato in orribili mucchietti di ghiaccio nero semi sciolto.

Sentii la pressione della benda sulla ferita.

Trasalii tornando alla realtà.

"Troppo stretta?" Chiese Henry fissando la fettuccia con dei gancetti di metallo.

"Eh?" Risposi riprendendo possesso del mio corpo.

"È troppo stretta?" Domandò nuovamente.

"Oh no, tranquillo."

"Vuoi del caffè?" Chiese poi, alzandosi dal letto.

"Certo..."

Provai a mettermi in piedi, ma il primo tentativo non ottenni il sostegno delle gambe, crollando così sul materasso con un gemito di dolore.

"Ti do una mano"

"No, ce la faccio..."

La seconda volta i muscoli funzionarono a dovere, tenendomi in equilibrio.

Sospirai, appoggiata al muro con una mano.

Cominciai a camminare, zoppicante, dietro Henry, giungendo in cucina.

Mi accomodai su uno degli sgabelli posando i gomiti sul ripiano in marmo.

"Come va, senti ancora tanto dolore?" S'informò lui, mentre metteva in funzione la caffettiera.

"Abbastanza, ma va molto meglio, ora finalmente riesco un minimo a camminare." Risposi reggendo il mento sul palmo di una mano.

"Ho visto, forse dovresti fare più pratica nel movimento. La ferita non ti ha colpito il ginocchio direttamente, sei stata fortunata, vedrai che con un po' di esercizio, tra un paio di settimane riuscirai a camminare come prima."

Repulisti - La ragazza senza nomeOnde histórias criam vida. Descubra agora