Alleati.

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Aprii lentamente gli occhi. Qualche luce occasionale si disturbava ad illuminare l'abitacolo per poi svanire, come trascinata via dal vento. Ero sdraiata su un tessuto morbido, un sedile, e dal tremolio capii di essere a bordo di un'auto.

Provai a sollevare la schiena per mettermi seduta, ma un lancinante dolore alla gamba destra me lo impedì.

"È sdraiata sui sedili posteriori" la voce di Jason irruppe distrattamente, scacciando il silenzio. "No, non c'è foro duscita" continuò, parlando al telefono.

Osservai le grosse gocce di pioggia scorrere sul vetro freddo, appannato dai nostri respiri. Mi girava la testa e avevo la nausea.

"È ancora viva..." affermò come se avesse voluto continuare la frase "Saremo lì fra poco" concluse, terminando la chiamata.

"Dove stiamo andando?" Chiesi, cercando di restare il più lucida possibile.

"Da una persona che può curarti, io non ho niente per medicarti o per levare il proiettile."

Per un attimo rimasi persa in quella visione: la pioggia, l'auto, lui... E una sensazione di dejavù mi occupò la mente, ma Jason stonava in quel ricordo, come se stesse occupando un posto non suo.

Il ticchettio della freccia mi distolse dai miei pensieri, Jason imboccò l'uscita della tangenziale, ma non riuscii a leggere il cartello affisso all'entrata di essa a causa della pioggia scrosciante.

I tergicristalli andavano avanti e indietro così in fretta, che temetti si staccassero da un momento all'altro.

Notai il cambiamento di paesaggio: dei grossi pini, alti e robusti costeggiavano la stradina che stavamo percorrendo, il buio li rendeva ancora più cupi e imponenti avvolgendoli di un'aura misteriosa. Forse voleva semplicemente liberarsi di me: mi avrebbe scavato una fossa e buttata dentro, seppellendomi viva.

Jason svoltò di nuovo, sta volta però imboccando una strada ancora più piccola, nascosta fra le fronde degli alberi.

I fari illuminavano la piccola stradina sconnessa, che faceva scrollare la macchina in continuazione. Ad un certo punto, in lontananza, scorsi un'abitazione: le luci accese, e il fumo che fuoriusciva dal camino mi rassicurarono dal pensiero che fosse disabitata.

Una lunga e dolorosa fitta alla ferita mi piegò in due quando Jason inchiodò improvvisamente, sbattendomi con forza contro i sedili anteriori.

Strinsi le mani intorno al ginocchio paralizzata dalla sofferenza.

"Scusami" disse "È passato qualcosa davanti all'auto d'improvviso."

"Tranquillo, sarà stato solo un animale."

Poco più avanti giungemmo davanti alla casa. Jason fermò il veicolo e si affrettò ad aiutarmi a scendere.

"Ci sei?"

"Sì... Sì ci sono" non sarei stata in grado di tenermi in piedi da sola. Probabilmente se non ci fosse stato lui, nemmeno sarei riuscita a strisciare fino alla porta.

Sotto la luce flebile che usciva dalla finestra accanto all'entrata, notai che Jason aveva le mani, i vestiti, e persino il viso, incrostati dal sangue.

Il ragazzo bussò, e poco dopo un uomo anziano spalancò il varco per farci entrare.

"È lei la ragazza?" Domandò con voce profonda e un'espressione preoccupata.

"Sì, è lei." Il medico si tolse gli occhiali con mano tremante e si strofinò gli occhi visibilmente turbato.

"Perfetto." Disse mascherando l'agitazione "Portala in questa stanza e falla sdraiare sul letto, io arrivo subito." Affermò, per poi voltarsi e scomparire dietro un'angolo buio.

Dall'esterno la casa pareva totalmente illuminata, ma in realtà era molto buia, e forse persino più cupa della foresta.

Sospirai zoppicante verso la soglia, infilai la mano nell'oscurità, tastando il muro gelido in cerca di un'interruttore. Una volta illuminata, la stanza uscì allo scoperto esibendo un grande letto matrimoniale sulla sinistra, e un'imponente armadio di legno sulla destra. Le lenzuola del letto erano candide e lisce, come appena messe. Mi ci avvicinai zoppicante, sempre con l'aiuto di Jason, e mi sedetti sul materasso.

"Jason dove siamo...?"

"Tranquilla, va tutto bene. È un buon medico, ti ha curato altre volte..." un velo di tristezza gli attraversò il viso.

"Va bene." Sussurrai. Lui fece un sorriso colpevole.

In quel momento l'uomo comparve sulla soglia della porta con un grossa borsa in mano.

"Mia cara, preferisci che ti faccia l'anestesia?" chiese.

Non seppi se fosse meglio soffrire mentre scavava nella mia giovane carne, oppure vivendo ciò che il mio corpo voleva dimenticare. Scelsi di affrontare i miei demoni, accettando l'anestetico.

Repulisti - La ragazza senza nomeWhere stories live. Discover now