LYDIA

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«Lydia, sbrigati dobbiamo partire o perderemo l'aereo!» la voce di mamma, squillante, mi fece risvegliare dal mio stato di trans.

Il naso schiacciato contro la finestra, mentre i miei occhi inseguivano le figure passeggiare lungo il vialottolo di casa.
Tirai un sospiro e il vetro si appannò subito dopo.
Quando mi staccai mi sembrò di precipitare.

Avevo avuto così poco tempo per realizzare che sembrava ancora di camminare sulla corda di un incubo senza fine.

«Arrivo» la mia voce fu così flebile che a stento aveva raggiunto il piano terra.

Lanciai uno sguardo alla camera, mi misi in spalla lo zaino e presi l'enorme valigia azzurra.
Quando fermai allo stipite della porta quasi non mi sembrava vero.

La camera era il mio rifugio sicuro, un riparo dai miei demoni interiori, conservava le cicatrici di una vita e inoltre sarebbe stata occupata da una bambina di nove anni che sembrava impossessata dal demonio, avrebbe trasformato quella stanza in un cantiere. La mia bellissima stanza.

Presi un respiro profondo riempiendo i polmoni nella loro capacità massima e con nonchalance trascinai la valigia giù per le scale. Gradino dopo gradino, mentre le rotelle provocavano un suono stridulo al limite del sopportabile.

Se solo avessi avuto la forza, avrei urlato.
Se solo avessi avuto la forza.

La parte più dolorosa, nonché la più difficile fu Sharon. La mia piccola e bellissima Sharon.
La mia migliore amica. La mia confidente.
La mia boccata d'aria fresca.
Doverle dire addio fu come una coltellata al petto.
Avevo una spada a perforarmi la schiena e un cuore che a stento batteva ancora.

Che rumore fa un cuore che batte?
È un grande o un piccolo rumore?
Uno dei più complessi mai esistiti.

Arrivata alla base delle scale, con il maglione a grattarmi la schiena, vidi mia madre aggrottare la fronte. Mi stava esaminando e non impiegò troppo prima di raggiungermi e adocchiarmi in quel suo modo.

Quel suo modo tanto comprensivo quanto lancinante.
Quel suo modo così suo.

Sapevo cosa stesse per dire. Oh...lo sapevo eccome. Mi limitai solo ad ascoltarla.
D'altronde quali parole sarebbero state all'altezza di quella situazione?

<<Amore...guardami>> mi posò l'indice sotto il mento portandomi ad alzare la testa fino a far incontrare i nostri occhi color nocciola.

<<So che è estenuante per te dover lasciare tutto ciò, ma sai anche tu il motivo per cui tale scelta è irreversibile.

Sarà difficile, come tutto ciò che si presenta davanti al nostro cammino ma insieme riusciremo a superare i peggiori ostacoli>>

Un senso di vuoto mi sopraffece ma dai miei occhi non trapelò neanche una lacrima salata.
Ostacoli?
La sola idea mi fece accapponare la pelle.

Ho sempre fatto un'estrema fatica a esternare i miei sentimenti a chiunque, non perché non ne provassi, ma c'era qualcosa dentro di me che impediva alla mia parte emotiva di passare totalmente, come una sorta di barriera invisibile posta in prossimità del cuore.

Quando sentivo l'esigenza di piangere trattenevo tutto dentro, non volevo mostrarmi debole agli occhi della gente, anche se infondo era così.

Non mi sono mai impegnata a nascondere ciò, forse è proprio questo a rendermi pura e genuina.

Caricammo le valigie in macchina, dopodiché mio fratello ed io ci sedemmo nei sedili posteriori con fare pigro, abbandonando ogni ricordo vissuto.

Si chiama Luke, siamo gemelli, anche se all'apparenza lui dimostra più anni di me, è sempre stato alto, fin da piccolo, e paragonato ad una spranga la quale ero, sicuramente la differenza era a dir poco notevole.

until the last breath-fino all'ultimo respiro Where stories live. Discover now