La casa del mago

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Tutto, tutto mi sarei immaginata tranne che trovarlo lì, nella tana del mostro.

Era cambiato, la sua faccia paffuta si era fatta più magra, i capelli rossi erano più corti, solo la frangia era ancora abbastanza lunga da nascondere parzialmente il tatuaggio a forma di croce celtica. Aloni scuri gli solcavano la pelle poco sotto gli occhi e la sua carnagione chiarissima risultava scottata sulle guance, come se avesse vagato sotto il sole per mesi. Si era sciupato, ecco cosa gli era successo, si era consumato come la copertina di un vecchio libro.

Ma gli occhi erano gli stessi, verdi, e luminosi. No, non ricordavo che fossero tanto brillanti, quando si sollevarono verso di me, mi sembrò di guardare dentro due luci.

Mi sarei morsa la lingua per punirmi, non avrei dovuto lasciarlo solo, ma poi la lingua mi avrebbe fatto troppo male anche solo per dire una parola ed io non potevo permettermi di non parlargli dopo tutto questo tempo... non potevo!

Lui batté due volte le palpebre, esterrefatto. Le sue labbra iniziarono a tremare terribilmente, poi tutto il suo corpo fu scosso da un brivido

«Fu... Fu... Furiadoro?» esalò, come chi si trova di fronte ad uno spettro.

Io annuii, felice di sentire quel nome che lui mi aveva dato

«Si, sono io».

La voce che mi uscì sembrava quella del mostro cattivo che viene da un altro pianeta, rimbombò fra le pareti della sua casa e vibrò. September tremò ancora, socchiuse le palpebre e scrutò il mio volto dalle fessure rimaste

«Quanto ti ho cercata... quanto?» chiese, a se stesso, abbassando per un istante la testa verso le proprie mani «Tanto» si rispose, dolcemente, risollevando lo sguardo verso di me «Sei davvero qui?»

«Mi sembra di si» scherzai, guardandomi intorno.

Poi un sapore amaro mi riempì la bocca

«Perché sei qui?» ringhiai «Loro... catturano i lupi»

«Lo so» mi rispose, con un sorriso adorabile.

Oh, aveva ancora le stesse fossette, e i suoi occhi brillavano. Come facevo ad incolparlo di qualcosa?

Eppure serrai le labbra e lo guardai con disappunto. Che stupidaggine, un paio di fossette non l'avrebbero salvato.

Lui non si lasciò intimidire, piuttosto si sollevò sulla punta dei piedi e mi abbracciò

«Mi sei mancata, pazza di una licantropa» mormorò.

Mi ero sbagliata sul suo aspetto fisico, non era solo sciupato... era magro, molto più magro. Lo afferrai per il colletto della giacca, dietro la nuca, e lo allontanai da me

«Perché stai con loro?» gli chiesi, fermamente.

I suoi occhi brillarono, ma stavolta in maniera diversa: con un che di compiaciuto ed insieme diabolico, come il figlio di un ladro che racconta al padre di essere riuscito a rubare per la prima volta qualcosa di davvero grosso.

«Sono io che li pago» Mi spiegò «Sono io che gli do il lavoro».

No. Non era possibile. La mia mano sinistra si chiuse di nuovo troppo forte, la mia destra, invece, si serrò sulla spalla ossuta di September

«Piccolo bastardo» sibilai «Perché lo fai?»

«Per trovare te»

«Co... come?» riuscii soltanto a balbettare.

Forse stavo sperimentando quello che chiamano "panico".

September mi accarezzò il dorso della mano, quasi non gli stessi facendo male con quella stretta

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