Solo un sogno in carne ed ossa

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«LILITH!».

Il nome della vampira, quella parola blasfema e antica, riecheggiò sparata nelle tenebre come una lancia di ghiaccio che distrugge un pannello di legno. La voce che la aveva pronunciata mi risultò piacevolmente conosciuta, era potente, profonda, con un graffiare roco alla fine, e nel suo fondo riverberava il rumore delle spade che strisciano l'una contro l'altra. Il rumore delle battaglie, una meravigliosa sinfonia...

I tentacoli di nebbia nera si sciolsero intorno a me, smisero di pressare contro la pelle, e gli aghi gelati si ritirarono. Caddi per terra, ma per mia fortuna madre natura aveva disposto in quella zona un morbido cuscinetto d'erba, seppure adesso fosse inaridito a causa del potere blasfemo di Lilith. Cuscino iniziò a leccarmi la parte destra della faccia con foga.

«Sto bene, sto bene!» Lo rassicurai, sentendo chiaramente la sua preoccupazione.

Poi lo spostai delicatamente da un lato, al mio fianco, e lo strinsi a me, mettendomi a sedere in una posizione più comoda e con la schiena eretta, in modo da poter osservare meglio qualunque cosa stesse succedendo.

Lilith non mi stava guardando più, i suoi occhi rossi e infernali erano puntati da qualche parte alla mia destra, o per meglio dire la sua sinistra.

Sembrava sorpresa, un sentimento che sul suo volto non ci stava proprio benissimo.

Poi udii un ululato tanto potente da sembrare in grado di squarciare la notte, un verso che somigliava ad un urlo amplificato di decine e decine di volte, con decine e decine di laceranti decibel, che si spense in un aspro singhiozzo e in un ringhio, come un pianto, ma che nelle sue note oscure esprimeva molte più cose di quante se ne potessero pensare in un colpo solo. Rabbia, ce n'era tantissima, e aveva miliardi di sfumature. Minaccia, anche quella era presente, ed era la nota prevalente.

«Ciao Lilith...» La voce profonda che sapevo di guerra parlò di nuovo.

Seguii lo sguardo di Lilith, fino ad incontrare una figura deliziosamente familiare, esattamente come lo era la sua voce. Messo lì, con le mani nelle tasche, c'era l'uomo che avevo incontrato nel cimitero di Santo Stefano, con tanto di vestito elegante, guarnito questa volta di un cilindro rosso scuro messo un po' sbilenco e dai cui sfuggivano, in prossimità della fronte, morbidi ciuffi neri come la cascata di capelli che gli ricadeva sulle spalle. Il desiderio di affondare dentro i suoi capelli scuri le mie dita per un attimo ebbe il sopravvento su qualunque mia preoccupazione, almeno finché non riuscii di nuovo a percepire chiaramente il calore di Cuscino e continuai la mia analisi visiva di quell'uomo che aveva appena osato salutare in maniera informale uno dei vampiri più potenti della terra.

Gli occhialini neri rotondi erano abbassati un po' a cavallo del naso affilato, in modo da lasciare vedere una parte degli occhi. All'inizio non ci credevo anch'io che quegli occhi fossero veramente...

«Ciao» salutò anche me, sorridendo. Si, anche le zanne erano indubbiamente disumane.

Mi si avvicinò con passo elegante, senza togliersi le mani dalle tasche.

I suoi occhi grandi e circondati da folte ciglia nere, erano veramente rossi. Rossi come il sangue.

Lilith sollevò il mento, mostrando la gola pallida

«Vlad...» disse «Che cosa diavolo ci fai qui?»

«Che lessico adeguato alla situazione, milady. Devo dire che sono appena tornato dall'inferno per fare quattro chiacchiere con Fenrir».

Mi sentii stranamente chiamata in causa non appena si fece il nome di Fenrir. Dopotutto anche lui era un gigantesco lupo, voglio dire, era come se io lo sostituissi in quel momento. In quel momento ero io il licantropo più adatto a rappresentare la nostra specie.

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