Vampiri pazzi

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Girò la testa per sorridermi, in una maniera innaturale, quasi a centoottanta gradi

«Allora, che te ne pare?»

«Io...» borbottai, senza che mi venisse niente di intelligente da dire

«E ancora non hai visto niente...» si voltò di nuovo e avanzò di altri due passi.

L'animaletto attaccato al suo polpaccio si staccò e venne a nascondersi dietro di me, impaurito, ma troppo curioso per lasciare il campo di battaglia. September rimase lontano, saggiamente. Un po', a dire il vero, invidiavo la sua capacità di staccarsi dall'azione per mettersi in salvo, mentre io ero praticamente obbligata alla prima linea di qualunque combattimento, anche se i nemici non erano altro che pezzi di carne putrida. Vlad aveva fatto bene ad offrirsi di mostrarmi i suoi poteri, non avrei voluto toccare quegli orrori marcescenti che adesso guardavano con occhi ottusi e offuscati il loro capo caduto, balbettando sillabe.

Blacky si rialzò con una spinta della schiena ed un salto, in modo da atterrare direttamente in piedi, in una mossa da breakdancer. Sembrava piuttosto indolenzito, almeno da come il suo volto si era contratto e da come all'improvviso si era piegato in avanti, quasi i muscoli delle spalle gli fossero ceduti.

«Sei pronto a darmi la tua anima?» Chiese Vlad, beffardo

«Non così facilmente, conte» ruggì Blacky, indietreggiando in mezzo alla sua armata e indicando tutti noi, a turno.

Gli zombie ricominciarono ad avanzare, ma urlando. Tutta la grotta risuonò dei loro versi, dei loro gemiti discordanti ed alti, del tutto desincronizzati e senza nessun motivo conduttore. Le loro labbra putrefatte e livide si piegavano, si corrugavano, si slargavano in smorfie che un normale volto umano non sarebbe probabilmente stato in grado di fare, non intenzionalmente perlomeno, e i denti gialli, sporchi di macchie marroni, si mostravano in gengive grigiastre e ritratte, essiccate in un certo senso, e rugose, come le lingue che ormai sembravano solo pezzi di carne morta che cadevano a pezzi.

Vlad non retrocedette, ma per un istante sembrò volerlo fare, perché si guardò i talloni e le sue gambe si piegarono brevemente. Si permise solo un cauto «Bleah!» di disgusto, guardando ancora una volta lo spettacolo raccapricciante davanti a se, prima di rimboccarsi le maniche con fare elegante. Evidentemente voleva affrontare l'esercito di zombie a mani nude e sicuramente rimpiangeva di non essersi portato la spada.

Uno di quei mostri caracollò ottusamente più avanti degli altri, piegando un istante il busto a quasi novanta gradi, poi tornò ritto. Le sue sembianze mi parvero in qualche lontano modo familiari, come se fosse stato un passante che avevo osservato a lungo. Aveva i capelli scuri, marroni ed arruffati, e la fronte bassa, i suoi occhi sbiaditi erano quasi sorcini, e la piega delle labbra e del naso non mi erano affatto nuove, così come quella barba spolverata su guance che un tempo dovevano essere state sode, ma che ora davano un'impressione vividissima di decomposizione, tale da farmi pensare che se avessi premuto un dito contro la sua pelle, avrei potuto forarla. Mi ci volle qualche istante, prima di riconoscere quel viso: era il contadino americano che, per la prima volta in assoluto, aveva dato da mangiare a me ed a September. Mi chiesi cosa diavolo ci facesse nel sud dell'Arabia, ovunque fossimo, comunque troppo lontano da casa...

Le mie domande si dissiparono come fumo al vento quando vidi uno spettacolo raro. Mi era capitato già di vedere la cortina di ombre che si sollevava, come nebbia, dalla pelle di Vlad, ma c'era qualcosa di diverso questa volta. Un rumore basso, di sfrigolio, quasi il corpo del vampiro, adesso, stesse andando a fuoco...

E poi il rosso di luci che danzavano. Intorno a lui, decine e decine di piccole luci, come minuscoli obbiettivi di telecamere, davano l'impressione di poter vedere tutto, come decine e decine di occhi aggiuntivi. Le lucine si sparpagliarono insieme alla nebbia, in circoli sempre più ampi, concentrici, che partivano dal corpo del vampiro, un'aura nera e tremolante che cresceva, che si gonfiava, che si nutriva e ingrassava.

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