Una strana creatura trovata in un fosso

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Neppure la voce di September che mi chiamava, che mi implorava di attenderlo, sembrava avere effetto su di me. E d'improvviso mi ritrovai cambiata, mi ritrovai che strisciavo, sul ventre, orecchie piatte, alla ricerca della mia preda.

L'impressione era di qualcosa di superiore alla natura di tutti i giorni che era stato ferito dagli esseri umani e si era dovuto rifugiare. Non avrei saputo bene come spiegarlo... era qualcosa di diverso. Di non-puramente-animale.

Il mio istinto, la mia voglia di primeggiare in tutto, mi urlava di uccidere chiunque altro potesse essere tanto forte. La mia voglia era quella di serrare le zanne su qualcosa che fosse caldo, magari pulsante, tipo un cuore. Stritolare e succhiare. Cuscino mi fu di nuovo accanto. Sentivo l'odore familiare e muschiato della sue pelle calda confondersi con quello del sangue sconosciuto ed allettante.

E d'improvviso compresi cosa fosse. Sangue felino.

Cosa c'era di tanto grosso, cattivo, potente e insieme felino che poteva nascondersi da quelle parti? Cos'era? Caldo, ferito, palpitante. Un cuore nella penombra, nascosto in qualche recondita profondità oscura, in qualche buco dove il sole non picchia, rannicchiato, tremante.

Una pineta comparve di fronte a me, maestosa. Mi ci infilai, continuando a strisciare silenziosamente, la bocca semisocchiusa, il fiato che usciva lentamente in un sibilo leggero e regolare.

Inspirare, espirare, espandere i polmoni, contrarre i polmoni, trascinare lentamente le zampe. Seguii la scia. Sentivo ancora i passi rumorosi di due creature dietro di me. Scomparvi, mi fusi con il bosco, strisciai fra gli sterpi secchi, pressai i cuscinetti sul tappeto pungente di aghi gialli e marroni, sentii i pinoli ovaleggianti, con le estremità quasi appuntite, insinuarsi a tratti fra le dita.

La traccia era sempre più intensa, mi arrivava dritta dritta al cervello, come se dopo essere entrata nelle narici trapanasse sempre verso l'alto. Strizzai gli occhi.

La luce cadeva come a strapiombo sul mio capo, sui miei occhi, da in mezzo alle fronde, e sembrava quasi concentrata visto che tutto era così buio da aver disabituato i miei occhi. Ero praticamente in una grotta vegetale. Passai fra due alberi così stretti che mi strisciarono contro i fianchi, poi discesi cautamente lungo la parete di un fosso ricolmo di pigne e di aghi. Perfino gli occasionali tappi di bottiglia e le cartucce usate che di solito costellavano il terreno erano del tutto scomparse, come se nessun essere umano osasse metter piede in quella conca maledetta.

E finalmente individuai le prime tracce di sangue, sottoforma di macchioline scure mezze assorbite dal terreno. Gli aghi di pino secchi, in quel punto, erano stati evidentemente smossi da un piede. O una zampa. Mi fermai ad annusare, inclinando leggermente la testa per vedere contemporaneamente se qualcuno si fosse avvicinato. Cuscino stava arrivando. Non volevo che mi fosse accanto quando avessi incontrato la mia preda.

Ero sicura che fosse una preda per me, ma per un giovanissimo neo-licantropo con un dito e mezzo di grasso sotto la pelle? Cosa sarebbe accaduto a Cuscino se gli avessi permesso di incontrare, faccia a faccia, un altro... sovrannaturale? Smisi di annusare, di analizzare, e mi voltai verso mio figlio

«Va via di qui» gli dissi, tentando di sembrare gentile. Ma non si può sembrare gentile se si sta dicendo "va via" nella lingua dei lupi: non c'è modo per addolcire i ringhi.

Tuttavia Cuscino mi capì e i suoi occhi, non turbati, ma curiosi, incontrarono i miei

«Perché?»

«Troppo pericolo» mi limitai a dire, dandogli un colpetto con la spalla «Vai».

Lui mi obbedì, diligente. Sapeva che disobbedirmi non era utile né a lui, né a me. E aveva percepito anche lui quell'odore, adesso. Mi voltai a proseguire per la scia olfattiva. Giù, sempre più giù, con l'impressione di scendere nell'inferno. Di scendere nell'inferno, essendo il demonio.

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