Il gabinetto pensatoio

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Quella notte uscii. Non litigai con nessuno e non presi nessuno alle spalle, neppure guardai gli esseri umani.

Non era quella la mia vita. Sentii rizzarmi i peli sulle braccia, ma era solo un brivido di freddo sugli avambracci nudi, le maniche della felpa sollevate.

Un grosso ratto grigio strisciò vicino ai miei piedi e ricordai che dovevo ritornare a prendere le mie scarpe, le avevo messe dietro un cassonetto. Le trovai e me le rimisi, poi camminai fino ad una vecchia costruzione abbandonata. Entrai. Le pareti grigie erano quasi nere nella notte, ma si notavano benissimo i mediocri graffiti rosso rubino e verdolini delle varie tifoserie calcistiche e qualche dichiarazione d'amore.

Non sapevo perché ero entrata lì dentro, forse... volevo solo vedere qualcosa di nuovo. Avevo sempre visto solo da fuori quel vecchio posto cadente e senza porte, dall'aria aria malsana. Ovviamente dentro non c'era nessuno, neppure quelli che di notte si drogavano o facevano altre cosettine malsane nei posti abbandonati.

C'era un bagno piastrellato di bianco, piuttosto lurido, le pareti segnate da scritte con il pennarello e numeri di telefono. Il water era pieno di melma marrone-verdastra, probabilmente pullulante di alghe per via della luce che filtrava dal tetto, da un buco irregolare largo quasi sessanta centimetri e che irrorava l'acqua piovana raccolta nella tazza. Parecchie ragnatele infestavano le pareti e ampie porzioni del tetto.

C'era un pennarello indelebile con il tappo, buttato per terra. Lo raccolsi e lo stappai, poi lo provai sulle piastrelle e fui sorpresa di vedere che funzionava ancora.

Scrissi a grandi lettere, in mezzo al sudiciume incrostato, "Questa non è la vita che voglio". Indietreggiai di un passo. Quasi non si vedeva, la scritta, e poi mi faceva abbastanza schifo perciò voltai le spalle e scrissi sulla parete opposta, in caratteri poco più piccoli di quelli dalla prima frase "Sono stata qui. Ho pensato qui. Non ho ancora capito la soluzione".

Anche quella frase era stupida. Ma un po' migliore della prima, non suonava come un lamento, ma neppure come una soluzione.

Avevo ancora due pareti quasi libere, ma quando poggiai il pennarello sulle terza, per scrivere ancora, l'inchiostro iniziò a diventare sempre più sbiadito. Per non consumarlo troppo, dovetti scrivere in caratteri molto più piccoli "La soluzione dell'engima è di un passo più vicina". Poi mi diressi verso l'ultima parete libera e poggiai la punta del pennarello di lato a una breve sequenza di numeri.

L'ultima frase era la più difficile. La soluzione dell'enigma.

Questa non è la vita che voglio.

Sono stata qui. Ho pensato qui. Non ho ancora capito la soluzione.

La soluzione dell'engima è di un passo più vicina.

September quasi non mi parlava più. Per paura di farlo arrabbiare ancora, io non uscivo la notte e non litigavo con nessuno, ma la situazione non migliorava affatto. L'enigma era lì e non capivo in che modo risolverlo, non ero una diamine di analista, la mia psicologia si limitava sempre a questioni notevolmente più superficiali. perché mi sforzavo tanto? Non avrei saputo davvero come affrontare una cosa così delicata e terribile come la morale di un uomo buono.

La soluzione dell'enigma è di un passo più vicina.

Iniziai a scrivere.

È così semplice seguire i nostri desideri.

Uscii in fretta da lì, lasciando il pennarello quasi completamente consumato sopra la vaschetta del water. Poi andai a picchiare un paio di persone.

Urban LegendsWhere stories live. Discover now