Everybody was Kung Fu Fighting

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Poi i tre giorni passano. La mia invincibilità decade e tutto ciò che sono è semplicemente "forte". Non abbastanza da distruggere chiunque, ma abbastanza da fare paura. Quando i tre giorni passano, tutto ricomincia.

Colazione, pranzo, cena. Fuori in strada, nella notte che diventa giorno dopo giorno sempre più fredda. Finalmente, l'odore di "polvere di stelle" aveva iniziato a scemare e in un paio di giorni scomparve del tutto. Rividi ancora una volta sola l'uomo con il colletto di pelliccia e mai più le due donne.

Altri uomini, insignificanti, uscivano ed entravano dai bar notturni. Un paio di ragazzi si baciarono all'angolo della strada. Due ragazzi, non un ragazzo e una ragazza come avevo sempre visto. Ero abbastanza incuriosita, credevo di stare imparando qualcosa sulla psicologia umana, notte dopo notte, ma in realtà non stavo imparando molto.

Era una sera come le altre quando vidi due tizi picchiarsi all'angolo della strada, un ragazzo dalla pelle del colore del cuoio conciato e uno con gli occhi sottili da orientale e la pelle leggermente abbronzata. Si colpirono con metodica precisione, ma non riuscii a capire per cosa si stessero battendo. Il sangue sgorgò dalle loro labbra tagliate e dalle loro narici, uno dei due tirò fuori da dentro il giaccone un coltello e l'altro si liberò del suo cappotto per schivare i colpi. L'orientale, quello con il coltello, prese da terra il cappotto del nero e scappò via, subito inseguito dall'altro uomo che urlò

«Ehi! Ridammela! Ridammela!».

Non rividi più neanche loro, ma scoprii che vederli combattere mi aveva fatto aumentare la pressione. Avevo bisogno di combattere. Decisi che avrei ascoltato il mio istinto e così accadde quello che io chiamo "la realizzazione della mia bilancia". Da un lato i libri, la luce del giorno, i cornetti, Cuscino e September, dall'altro la notte nera, i vicoli bui, le botte.

Aspettavo di fronte al bar, con le braccia incrociate. Vedevo uscire la gente e li analizzavo, i loro odori, le loro voci. Poi, se qualcuno non mi piaceva, lo picchiavo. Non mi importava se tutto ciò non era etico o se non aveva senso, era solo un bisogno forte, di violenza, che mi possedeva tutte le sere. In realtà, non tutte le sere picchiavo qualcuno, solo quando vedevo qualcuno di particolarmente antipatico.

La prima volta, fu quando vidi un tizio completamente ubriaco brancolare fuori da un vicolo laterale, barcollando sul fianco destro e battendo una volta un ginocchio per terra. Un ragazzo, appena quindici anni e capelli biondi, si trovava a passare per la stessa strada, uno sfortunato caso immagino. L'ubriaco, grosso il doppio di lui, castano, barbuto, capelli scompigliati, afferrò il ragazzo per il bavero nonostante quello stesse passando a un metro e mezzo di distanza da lui, buttandocisi letteralmente contro.

«Ehi! Ehi!» Strillò il ragazzino, cercando di divincolarsi

«Ehi! Ehi!» lo scimmiottò l'uomo, con voce da basso resa tremula «Ciao, finocchietto...»

«Ciao» dissi io, piano, ovviamente troppo lontana perché quello mi sentisse.

Il biondino prese a divincolarsi disperatamente, ma quello gli teneva forte la stoffa della felpa e lo attirò a sé, gridandogli in un orecchio

«Hai della roba?!»
«Cosa? Cosa signore?» strillò il ragazzino, quasi più fuori di sé dalla paura di quanto l'altro lo fosse per i troppi superalcolici

«Ti ho chiesto se hai della roba, piccolo bastardo»

«No signore! No! Io non prendo quelle cose, io neanche le conosco quelle cose!».

La roba. Sapevo di cosa si trattava, era un sinonimo colloquiale di droga, e sapevo anche che nel paese in cui stavamo ce n'era pochissima, costava cifre esorbitanti ed era illegale come ammazzare una persona. Il tizio con la barba doveva essere davvero molto, molto ubriaco per parlare in quel modo "della roba" in mezzo alla strada. Mi venne in mente un termine, "pericolo per la sicurezza pubblica". Non mi piacevano quel genere di persone, erano chiassose, inutili, infettavano i vicoli, il mio territorio, con la puzza disgustosa del loro alito e con l'orribile suono delle loro parole.

Urban LegendsWhere stories live. Discover now