L'omicidio di Mr.Mell

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Fuori il cielo era di un grigio pallido striato d'azzurro, qualcosa di leggermente malinconico, come quando è primavera e tu stai guardando i fiori da dietro una finestra di casa tua, chiedendoti perché non sei ancora fuori.

Era mattina, io ero in piedi accanto al lavabo magico della casa magica del magico September. Del sangue colava lungo il mio dito indice ed il medio, lentamente, gocciolando sul metallo freddo. Non avevo idea di come mi fossi procurata il lungo taglio obliquo sul dorso della mano. Set mi si avvicinò saltellando

«Ma che diavolo fai?» disse, poi afferrò la mia mano e le diede un occhiata «Ti sei affettata»

«Oh» minimizzai, stringendomi nelle spalle «Guarirà subito».

Ma non osai tirare via la mano. Le dita del maghetto erano così fresche, così piccole e delicate. No, non era la mia priorità liberarmene. Mossi leggermente le falangi, stirando la pelle sul dorso della mano. Ecco, essere licantropi significava anche quello che stavo vedendo: il taglio si era mezzo rimarginato in un nonnulla. Set prese lo strofinaccio blu appeso al chiodino vicino al frigorifero, lo inumidì sotto il rubinetto e mi ripulì dal sangue

«Ma come hai fatto a tagliarti?» mi chiese ancora, teneramente, mentre con la punta del panno strofinava lo spazio fra il mio dito indice ed il medio «Tu sei sempre così... attenta. Potresti fare il chirurgo, quando non hai la testa fra le nuvole. Come hai fatto?»

«Sai una cosa? Non ne ho idea» confessai, con un po' di vergogna.

Finora avevo avuto una memoria strabiliante, a partire da quando avevo conosciuto September ricordavo con una chiarezza quasi innaturale ogni istante, ogni particolare, ogni odore e suono... stavo perdendo la memoria? Stavo di nuovo perdendo la memoria?

No. Non mi andava proprio giù di dimenticare. Mi aggrappai con forza al momento appena passato, cercando di risalire a quanto era accaduto ancora prima, quando mi ero tagliata. Non avevo coltelli in mano. Punto primo: con cosa mi ero tagliata? Ed ero stata io a tagliarmi?

D'un tratto un odore penetrante, di bruciato, risalì le mie narici. Anche Set dovette accorgersene, perché si voltò di scatto, le pupille dilatate e il nervosismo che montava.

Si, perché io e lui non vivevamo soli in quella casa: c'erano con noi dei servitori. Era così che avevo scoperto che September Aster non era solo ricco, ma molto ricco. E quei servitori dovevano avere qualche serio squilibrio mentale, perché passavano le giornate a distruggere tutto quello che gli capitava sotto tiro, più disastrosi dei personaggi di un cartone animato per bambini. Ma September non li sgridava, sembrava divertirsi con loro, se la rideva. Io li avrei ammazzati, non saprei che farmene di tizi per casa che rompono le cose solo toccandole.

Ritrassi la meno da quelle piccole e fresche di September, rimpiangendo immediatamente il gesto avventato. Stavo impudicamente per rimettere al posto la mano quando sentii un capitombolo terrificante e mi voltai. Un uomo con i capelli color nocciolina tostata e un paio di baffetti corti di colore diverso, zafferano direi, se ne stava alla base delle scale, accartocciato ed a testa in giù. Indossava una blusa color notte e un paio di pantaloni di velluto lunghi stropicciati e con ampie macchie nere stile "bruciacchiato con il lanciafiamme".

Aveva gli occhi semichiusi, lacrimanti per il dolore, e le mani, incrociate sul petto, proteggevano un piccolo vaso bianco con delicati decori floreali azzurri.

Mi avvicinai a lui e lo afferrai per la blusa, lo sollevai senza sforzo e con un paio di rapide manate gli spolverai gli abiti

«Stavi di nuovo correndo come un cretino per le scale, Michele?» gli chiesi ironicamente.

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