Intrappolata dalla magia

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Sottili spire di fumo avanzarono verso di me, provenienti da quelle pallide mani sollevate.

Indietreggiai di mezzo passo, scoprendo i denti in un ringhio che mi uscì muto dalle labbra.

Il fumo, nero cinerino e traslucido come un liquido, si avvinghiò alle dita della mia zampa anteriore destra, racchiudendomi gli artigli in un guscio di gelo, poi risalì lungo il dorso della mano verso il polso e l'avambraccio. Dapprima guardai con curiosità lo strano fenomeno, come se mi avesse ammaliato, poi mi resi conto che quello era un attacco e incominciai a lottare contro il fumo, tentando di strapparlo via con gli artigli della zampa libera, ma il fumo non si dissipava: era tenace, resistente come un metallo e liscio come un panno di seta. Non era fumo, anche se lo sembrava: piuttosto la classificai come energia.

Tentai di azzannarla, ma con scarsi risultati.

La fredda materia nera risalì spiraleggiante fino alla mia spalla destra e la cinse con dita di gelo sottile che s'insinuarono sotto la mia pelle spessa fino a paralizzarla. Era come se anestetizzasse al contatto, quella cosa lì... lottai ancora per muovere il braccio che mi si era bloccato e riuscii persino a sollevarlo da terra, ma il fumo d'acciaio iniziò ad avvinghiarsi anche al mio torso e in brevissimo mi compresse il petto, poi scese fino alle gambe e le circondò facendomi accapponare la pelle poco prima di renderla insensibile e fredda come ghiaccio. Anche il mio fianco destro e il braccio rimanente furono paralizzati, mentre il fumo saliva verso la mia testa ed io ringhiavo sommessamente, rabbiosa, irata con me stessa per non aver saputo come fermare quell'orribile sortilegio. Un bozzolo di nero e di freddo mi rinchiuse, premendo sui miei occhi come una benda pesante e umida. Non potevo più lottare fisicamente, ogni muscolo del mio corpo era congelato, le fibre non si contraevano, solo il cuore pulsava ancora in tutto quel gelo, con i suoi ultimi residui di forza e di calore che servivano per tenermi in vita. Il silenzio mi avvolgeva. Intorno a me tutto taceva di morte. Persi conoscenza poco dopo essere riuscita ad aprire la bocca, entrando in apnea. Il bozzolo di fumo non mi aveva permesso di respirare e non seppi cosa accadde dopo.

Una scossa elettrica mi trafisse il cervello e mi fece urlare. Ogni pelo del mio corpo si rizzò in seguito alla scarica e i miei tendini ebbero spasimi dolorosi.

Mi piegai in avanti e ruggii.

Poi udii una voce rabbiosa e bassa

«Allontanatevi! Allontanatevi!».

Tentai di rialzarmi, ma i miei muscoli sembravano essersi sciolti e le ginocchia non reggevano il peso del mio corpo come avrebbero dovuto.

Strinsi i denti, che stridettero gli uni contro gli altri in maniera tanto fastidiosa da farmi prudere le carni.

Lo stregone si era avvicinato, mi toccò sulla testa, sentivo le sue dita fredde e pallide che si poggiavano sula mia pelle e mi trattenevano i pensieri, vedevo con la coda dell'occhio le sue vesti nere e lunghe.

Poi vidi lei, dietro di lui.

Lilith, mi guardava beffarda, con un sorriso lieve sulle sue labbra rosse come corallo. Normalmente le sue labbra non erano così colorate. O almeno non me le ricordavo così. Il suo corpo, le sue forme sensuali, erano coperte da una sorta di grande velo cinereo, da cui traspariva la biancheria intima di pizzo bianco.

La vampira si avvicinò a me, che ero ormai con il mento a terra e tutto il corpo teso contro il pavimento, le zampe puntellate con gli artigli infissi nel marmo.

Mi guardò come si guarda un bambino cattivo ed emise un "ooh!" di sorpresa poco convincente.

«E così sei venuta. Dritta in casa mia... sei così... così terribilmente...» ridacchiò come avrebbe fatto una bambinetta «... Infantile. Proprio come Vlad, no? Te lo avevo detto, che eravate uguali... ma tu mi hai voluta credere? No, ovviamente, no...».

Si voltò a prendere qualcosa da un tavolo posto dietro di lei. Era un pugnale, proprio nel suo stile, tutto pieno di decorazioni floreali ed arabeschi che a mio avviso erano fuori luogo posto su qualunque arma.

Si avvicinò a me. Sbuffando e sudando, cercai di liberarmi dalle spire nere che mi tenevano imprigionata, ma era impossibile. Ebbi un curioso flashback di una cosa pressoché identica che era accaduta in una mia vita precedente.

Lilith praticò rapidamente un taglio sotto il mio labbro inferiore, usando la punta del pugnale. Non sentivo dolore, ma mi sentii ugualmente offesa all'idea che un vampiro mi stesse tenendo sotto controllo e mi torturasse in quel modo. Poi Lilith si inginocchiò e la sua lingua scarlatta uscì lentamente dalle labbra, scivolando fuori come una cosa viscida. Capii cosa voleva fare ed inizia a fare schioccare i denti, cercando di morderla, ma ero troppo immobilizzata per riuscirci.

Mefisto, compiaciuto, rideva.

Così dovetti rimanere immobile, mentre quell'orrore leccava lentamente il sangue che gocciolava da sotto il mio labbro. Era indelicata e mi faceva ribollire di rabbia e di vergogna. Dal profondo del mio ventre veniva un suono che era un incrocio fra un uggiolio e un ringhio basso, somigliava alle fusa che fanno i gatti, ma l'intento comunicativo era completamente diverso.

Lilith si rialzò in piedi. Il mio sangue aveva macchiato il suo mento, in contrasto con la pelle ma perfettamente intonato con le labbra scarlatte. Gettò il pugnale per terra, come se fosse spazzatura.

Proprio non la capivo, non sarei mai riuscita a capirla... e comunque ci sarebbe stato da preoccuparsi se fossi riuscita ad entrare nella mente distorta di un vampiro.

«Ora ti dirò» Mormorò la non morta, prendendo sottobraccio una vecchia sedia in vimini intrecciato e appoggiandocisi sopra con una mollezza che da lei non mi aspettavo «Ho aspettato per lungo tempo questo momento. Il momento di averti qui, ai miei piedi. Di nuovo. Però non posso aspettare molto, né parlare molto... la storia ci insegna. Sai che brutta fine che hanno fatto tutti i cattivi che nel momento finale si lanciano in monologhi appassionati sulla loro abilità, intelligenza, eccetera eccetera? Beh, hanno parlato troppo e sono morti. Perciò non ti dirò che la potenza dell'amore non esiste, né che tu sei una schiappa cosmica al mio cospetto. No, sono cose che ti farebbero arrabbiare di più e che ti darebbero la forza per liberarti, o cose del genere... credimi, ormai so che tutto è possibile. Perciò mi limiterò a scaricarti una raffica di proiettili placcati in argento nel bel mezzo della tua bella fronte pellicciosa. Con una uzi».

Si allontanò per qualche istante, mentre io cercavo ancora di liberarmi tendendo allo spasimo i muscoli del dorso. Tornò con un'arma che somigliava ad una mitragliatrice, ma più piccola, nera e lucida. Sembrava proprio un'elaborata pistola mitragliatrice, in effetti, con la canna che nella parte finale si assottigliava.

Sapevo cosa sarebbe successo, se me l'avesse scaricata dritta in testa, ovvero avrei perso conoscenza e non mi sarei risvegliata mai più. Immaginai il mio sangue sparso sul pavimento e i brandelli di cervello che scivolavano dalla parte posteriore del cranio. Immaginai il mio corpo che smetteva di fare forza contro le strisce nere e si accasciava del tutto contro il pavimento gelido di marmo.

Non volevo morire. Ruggii, aprendo la bocca per quanto me lo permisero i nastri neri che continuavano a strisciare sul mio corpo, opprimendomi.

Lilith rise e il suo dito iniziò a piegarsi sul grilletto.

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