Un plenilunio con Cuscino

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Era passato quasi un mese, quasi una luna. Ovviamente il plenilunio non era ancora giunto, altrimenti non sarei stata così tranquilla, quel giorno. Beh, in realtà ero appena un po' nervosa, ma si sa come sono i licantropi, no?

In tutto il tempo passato insieme avevo imparato a conoscere meglio questa tigre mannara, questa Sharazad, ma insieme alla conoscenza non riuscì ad arrivare il rispetto... lei era pur sempre una specie di gatto gigante, mentre io ero una donna lupo. Più lupo che donna, a dire il vero, almeno negli ultimi tempi.

La mia pelliccia si era leggermente ispessita, e le mie zampe infangate e sporche. September aveva voluto lavarmele, ma mi rifiutai categoricamente. Non si lavano le zampe dei lupi, soprattutto se questi se le sarebbero infangate di nuovo dieci minuti dopo.

Il mio orecchio era ricresciuto quasi del tutto, come avevo pronosticato, anche se non era più lo stesso. E poi, all'attaccatura con la testa, era rimasta una striscia glabra e bianca, una cicatrice che, per la prima volta, trovavo esteticamente sgradevole. Non era bello farsi ricrescere pezzi del corpo, soprattutto se venivano fuori così male. Persino la punta era un po' sgualcita e dava l'impressione di essere stata strappata, ma forse, con il tempo, si sarebbe aggiustata.

Quel giorno la luce era forte e il cielo chiaro, molto chiaro. La primavera, quell'anno, sarebbe arrivata in anticipo se si continuava di questo passo. Non c'era animale che non fosse sveglio e pimpante con quel sole delizioso, le lucertole si prendevano il sole distese, proprio distese, con le zampe raccolte all'indietro, sopra i sassi, e gli uccelli cantavano.

Sotto le zampe, la terra era ancora umida, ma calda, e piena di vita. Anche l'odore nell'aria era cambiato.

Poteva sembrare incredibile, ma perfino qualche raggio di sole poteva riempire di vita un giorno d'inverno.

September iniziava a reggere sempre meglio la fatica, le nostre camminate erano sempre più lunghe, e le sue storie sempre più belle. Credo che mi raccontasse quel mucchio di favole non solo per divertirmi, ma anche per distrarmi dai miei propositi tigricidi. Beh, non c'è che dire, era un metodo pacifista che funzionava.

Venni così a conoscenza di storie grandiose e meravigliose, storie che non potrò scrivere né descrivere mai perché lui era il solo che le sapesse narrare così bene. E anche se mi scoprissi essere una grandissima narratrice, non oserò profanare il frutto della sua fantasia, le sue parole... parole che, dette in quei giorni, dette con quei toni, mi portarono in luoghi lontani che solo la nostra mente potrà mai toccare e solo in momenti di estasi, momenti perfetti, che torneranno poche volte nella nostra vita.

No, non vi donerò quelle storie, ci vorrebbero troppe pagine, e poi anche la mia memoria, così potente com'è, comunque sarebbe fallace su certi particolari che, se omessi, stravolgerebbero i significati.

Perciò mi limiterò a continuare a parlare di me e di quel giorno.

Ci eravamo fermati in uno spiazzo ampio e assolato, un posticino tranquillo non troppo lontano dal mare. Stavamo mangiando tranquillamente: September si era fermato in una cittadina a comprare della carne e la avevamo fatta arrosto.

Sia ben chiaro, non che dopo quel giorno io avessi smesso di cacciare per loro, ma questa volta la giornata era troppo bella per "lasciarsi stupidamente squartare sotto i raggi del sole" aveva dichiarato September, e nessuno, com'era ovvio, aveva osato contraddirlo.

Ero sdraiata su un fianco, sull'erba riscaldata, e il sole mi accarezzava la pelliccia insieme a una brezza leggera e deliziosa.

September lasciò andare la griglia su cui cuoceva le carne, cedendo il proprio posto di cuoco a Sharazad e si avvicinò a me con passo tranquillo. Si inginocchiò e mi accarezzò sul collo

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