Finale di battaglia

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Barcollai verso September, che era seduto. A torso nudo, con le spalle fasciate, mi sorrideva. Aveva gli occhi socchiusi, ma brillavano.

Gli sorrisi, per quanto sapesii di avere un sorriso terribile. Era la fine dell'odissea iniziata tanto tempo fa, insieme, in un villaggio dove avevano bruciato vivo un mio simile... era la fine della sofferenza.

Sentii qualcosa in fondo al petto, come un gorgoglio gioioso. Ma non avevo un verso che avrebbe potuto esprimere quello che sentivo.

Non potevo credere a un lieto fine, non mi sentivo ancora pronta per questo... ma lo amavo, amavo come era andata a finire. Immaginai cosa avrei potuto fare, adesso, che non avevo più nulla da temere. Adesso che sapevo chi ero e sarei tornata ad essere chi ero.

Immaginai di conquistare il mondo, nel mio corpo gigantesco di Fenrir, con September sulle spalle. Immaginai che Vlad avrebbe riso di me ancora un migliaio di volte e che non me la sarei presa a male perché, in fondo, amavo la sua risata. Immaginai di rivedere Cuscino, immaginai che gli avrei insegnato a diventare un vero cacciatore di uomini e poi, quando il tempo fosse passato, tutti insieme, in riva al mare, avremmo ricordato "ah, quel tempo in cui abbiamo ucciso le vecchie leggende ...".

Avevo tutta l'eternità di fronte a me. Certo, avrei perso September un giorno, nel futuro, ma gli uomini sono fatti così e per lui desideravo una lunga vita, una vecchiaia serena ed infine un riposo in compagnia dei suoi avi.

Dio c'era, avrebbe aperto le porte del paradiso, per September. Né io né Vlad avremmo mai visto aprirsi le porte del paradiso, ma in compenso saremmo vissuti per sempre.

Proprio mentre pensavo tutte queste cose, September, senza perdere il suo sorriso ad occhi socchiusi, mi disse

«Guardati alle spalle».

E io mi girai.

Dio.

Non era ancora finita. E di questo passo non sarebbe finita mai. Era un incubo, un vero incubo, e non ne sarei uscita mai... come poteva essere sopravvissuta? Ed era lei, quella cosa?

Era enorme. E soprattutto non aveva niente di umano. Era orribile, mostruosa, deforme, così antica ed annerita che non si sarebbe neppure potuto pensare che lei era Lilith. Ma gli occhi erano gli stessi, rossi e vuoti fino in fondo, pozzi aperti su un mondo che nessuna creatura vivente ha mai esplorato.

Gli occhi della morte, incapaci di esprimere amore o pietà.

Non ho parole per descrivere efficacemente cosa fosse diventata, nessuno saprebbe farlo, ma se dovessi proprio abbozzare una descrizione inizierei dicendo che era nera. Completamente nera, dalla testa ai piedi, ricoperta da una specie di verniciatura lucida dai riflessi rossastri. Indefinitamente alta, qualcosa fra i quattro e i sei metri, stava curva sotto il peso di due gigantesche ali da rapace grigie e rossicce, con una striscia nera, che le spuntavano dalle scapole. I muscoli non avevano un assetto naturale, per niente, sembravano attaccati in posti strani, tutti alla rinfusa, il ventre era un ammasso di carne liscia, la schiena ricoperta di pelliccia rossa, da sotto la pelle spuntavano grosse spine dalle punte di un colore indefinito fra il rosso e il marrone. Insomma, era un insieme di elementi fra di loro discordanti, così tanti elementi che ne dimentico sempre qualcuno.

Desiderai che Vlad mi ordinasse di ucciderla e sentirmi in grado di obbedire al suo ordine. Ma Vlad iniziò a ridere in un modo che, lo sapeva, doveva nascondere le lacrime. Anche lui si stava esaurendo. Non aveva paura, lui era fatto così, ma gli sembrava assurdo... anche a me lo sembrava. Assolutamente assurdo, Lilith non poteva tornare, questo significava che era eterna, e se lei era eterna, allora aveva tutto il tempo di questo mondo per trovare un modo di uccidere noi.

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