La routine della donna lupo

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La notte ingoia ogni cosa, pensavo, guardando l'autobus blu che mi era sfrecciato davanti e ora si stava perdendo nel buio. Immaginai che fosse carico di ragazzini, molti dei quali addormentati, che andavano in qualche posto interessante, tipo qualche antica capitale ricca di storia. La bellezza di tutto questo, forse, non la si può capire descrivendola.

Un autobus di giovani vite che corre nella notte scura verso la gloria. Compaiono per un istante solo di fronte a chi è fermo e poi se ne vanno, inghiottiti dalla coltre densa della notte.

Le insegne brillanti dei bar bucavano le facciate degli edifici come lucciole nell'oscurità dei prati.

Annusai l'aria. L'odore della benzina e del gasolio era la prima nota, poi venivano la polvere e l'acqua, solo alla fine gli umani e l'alcool. Non entravo mai nei bar, quando uscivo di notte, stavo solo a guardarli da fuori, aspettavo che uscisse qualcuno di interessante e poi non gli parlavo mai comunque e di sicuro non per timidezza.

Il mio guaio è che September mi aveva fatto leggere libri, tanti, troppi libri. Che di per se non era neppure un guaio, ma quelle pagine mi avevano divorato la mente come un cancro. Le parole possono farti vedere la bellezza dappertutto.

Uscivo di notte, andavo in giro per le strade della città. Mi aspettavo di incontrare un angelo o un demone che mi avrebbero insegnato qualcosa che non sapevo. Avevo fame, fisica e spirituale, e volevo che questa fame venisse saziata da qualcuno o qualcosa che camminava su due piedi, confondendosi fra gli umani.

Non avevo trovato ancora niente, fino ad ora. Se dovevo essere sincera con me stessa, non desideravo incontrare un demone più di quanto desiderassi incontrare un cacciatore umano o un professore di Harvard. Non sapevo esattamente dove fosse Harvard e come mai fosse così importante, ma in tv dicevano "professore di Harvard" con un tipo di reverenza completamente diverso da quello che si riserva a demoni e dei, una sorta di glaciale contemplazione del sapere. Un professore di livello superiore.

Dalla porta del bar uscì un uomo con i capelli neri e il giubbino gonfio con il colletto di finta pelliccia bruna. Aveva in mano una busta di carta come quelle in cui si mette il pane. Non sembrava interessante, non era interessante.

Dopo di lui, una donna con il cappotto rosso lungo fino al ginocchio e poi un'altra signora con un vestito troppo leggero per il freddo che c'era.

Niente. Non avevo voglia di parlare con una donna, c'era qualcosa nel loro sguardo che mi metteva a disagio, come una specie di compassione invece che paura.

Mi guardai alle spalle perché sentivo passi veloci. C'era un uomo che correva, non verso di me, ma verso un punto lontano da qualche parte in mezzo ai vicoli, un tizio con un farfallino rosso e una giacca bruna con le toppe ai gomiti come un professore di Harvard. Dopo nove notti di posta, finalmente vidi qualcuno che mi interessava, qualcuno che correva nella notte.

Lo seguii, più silenziosamente che potevo, mentre invece le sue scarpe, una sorta di stivaletti rinforzati, battevano con furore contro l'asfalto. Che non fosse un predatore era chiaro, ma non stava correndo per scappare e a me non interessava né che fosse preda né cacciatore, ma qualcosa di diverso, magari a metà della catena alimentare, magari di un genere completamente differente dal mio, così che potesse insegnarmi qualcosa che non sapevo.

Leggere di giorno, correre di notte.

Seguii l'uomo fino a che non svoltò in un vicolo cieco. Ma lui non era più lì, eppure ero sicura, totalmente certa, che avesse girato lì. Il suo odore non era scomparso, però, era persistente, forte, sapeva di qualcosa che non avrei saputo definire in nessun altro modo se non come "polvere di stelle": esotico, a suo modo, ma anche classico e polverosamente antico. Con una punta d'aglio.

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