Mack e Jack

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September suonò e dopo nemmeno una decina di secondo qualcuno aprì. L'uomo dietro la porta era il gemello identico del primo, era spiccicato identico, eccetto la cicatrice sulla guancia. Anche gli occhi erano uguali, anche quelli erano abbastanza lucidi, di un castano penetrante. E il suo sorriso era ugualmente largo e dava la stessa impressione di totale, desolante idiozia.

Pensavo che fosse colpa dell'alcool, e invece c'era quello, il gemello, che non puzzava di alcool e sembrava lo stesso un cretino. Magari le apparenze ingannano...

«Buon giorno... oh» vide suo fratello «Mi avete riportato Jack. Sapete, lui si perde sempre...»

«Dovresti stare attento» gli dissi «Tuo fratello era arrivato solo al bar qui vicino e non trovava la strada di casa, deve aver bevuto troppo davvero, questo volta...»

«Gli capita, gli capita...» anche la voce del gemello era biascicata «... Comunque volete entrare? Ci facciamo un caffè se volete. Io sono Mack Bonfiglio e quello, anche se non ve lo ha detto è ...»

«Jack» dissi, a voce alta

«Wow, hai indovinato!».

Si, era sicuramente scemo, visto che era stato lui a dirmi che suo fratello si chiamava Jack.

Entrammo nella casa dei gemelli. Mack se ne andava a testa alta in mezzo a un disordine di quello che si può vedere solo nello studio di un mago. Intorno a noi c'era di tutto, ma principalmente robaccia inutile ed un grandissimo numero di mattoni grigi di tutte le dimensioni. Mi chiesi cosa ci facessero tutti quei mattoni dentro casa. Poi vidi i camini, ed erano almeno una decina, rozzi ed artigianali, diffusi in tutte le stanze. Mi venne da ridere. Ma in quale dimora di idioti abitudinari eravamo capitati?

September mi venne vicino e sghignazzò alle mie spalle

«Incredibile, hai visto che disordine ...»

«Ho visto si»

«Che ci fanno quelle mutande sopra il divano?»

«Che saranno mai un paio di...» voltai la testa per guardare il punto a cui probabilmente September si riferiva, quello dove era presente l'unico divano, e scoprii che intere confezioni di mutande bianche erano state vuotate sopra il sofà rosso e lacero. Che roba strana...

Mack ci fece vedere un tavolo. Avevano dodici sedie, ma loro erano solo in due. Non riuscii a capire se erano pazzi o erano soltanto stupidi, ma mi facevano venire da ridere quei due fratelli.

Si sedettero vicini, con le teste vicinissime e le spalle che si toccavano. Erano due gocce d'acqua, indossavano persino la stessa tuta da manovale verdolina, l'unica differenza stava nelle macchie chiare di calce sul petto, che uno aveva dal lato sinistro e l'altro dal lato destro.

«Allora» disse uno, con interesse

«Che cosa facciamo Jack?» riprese l'altro

«Prepariamo un caffè Mack»

«D'accordo Jack. Ci pensi tu, Jack?»

«Va bene Mack» Jack si alzò e si diresse verso la cucina senza neppure chiederci come volevamo il caffè.

Mack si appoggiò allo schienale della sedia e ci guardò a turno tutti e tre, prima me, poi September, poi Cuscino, prima me, poi September, poi Cuscino, ed ero fermamente convinta che se non l'avessimo fermato, in un qualunque modo, quel matto sarebbe andato avanti ad infinitum, senza spiccicare una sola parola.

Era buffo, i suoi occhi che andavano da destra a sinistra, il collo che si muoveva poco, ma a scatti... iniziai a ridere, ma era più che naturale. Lui smise di fare saettare lo sguardo e storse un po' il naso e la bocca, con disappunto, dandosi un'espressione demenziale e idiota di cui sembrava del tutto inconscio. E proprio quando siamo inconsci di ciò che facciamo che ci rendiamo ridicoli.

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