Lo squallore e la (gradita) separazione

145 19 3
                                    

La luce intorno a noi era bassa, soffusa. Avrei potuto dire che fosse ambrata, ma in realtà era come se fosse sporca, come se fosse filtrata da una pozzanghera fangosa, ed ebbi la sgradevole sensazione che questo effetto fosse puramente voluto, per nascondere l'interno del locale agli occhi dei passanti.

Ed eccoci lì, seduti vicini al bancone di uno squallido bar di provincia, con squallidi ubriaconi dietro di noi e uno squallido inserviente dai capelli scuri, unti al limite dello sgocciolamento e ammaccati sopra la testa, camicia bianca e gilet da cameriere portato veramente male, spiegazzato, trasandato.

L'odore che regnava nell'aria era stantio e polveroso, come di legno marcio. La mia birra era già mezza vuota, il liquido ondeggiava ancora lievemente dietro il vetro verde, il bicchiere di latte di September era ancora pieno fino all'orlo, come se lui non desiderasse affatto quella bevanda, sebbene l'avesse ordinata lui.

«Non mi piace» Mormorò, guardando il livello del latte con la testa abbassata sul bancone «Non sembra nemmeno latte»

«E che ti sembra?» chiesi, afferrando il grosso bicchiere e annusandolo.

Come sempre September non errava, se quello era latte non lo sembrava proprio. L'odore era vecchio, come quello del resto del locale, e niente affatto invitante. Posai il bicchiere sul ripiano del bancone

«Questo è stantio, buttalo e non pagarlo» consigliai, gonfiandomi un po' la voce

«Come se fosse facil ...»

«Ma lo è...» afferrai il bicchiere e lo lanciai contro la scaffalatura, infrangendolo «Visto che l'ho appena fatto?»

«Tu...» scosse la testa, mentre il cameriere mi guardava come se fossi impazzita «... Non sei assolutamente normale. Ti rendi conto di quello che stai facendo?»

«Se non me ne rendessi conto» sollevai un indice e, descrivendo un arco nell'aria, lo puntai verso l'uomo con il gilet nero «Quello lì non avrebbe più la testa attaccata al collo»

«Beh, travestito» gracchiò il cameriere, posando il bicchiere che stava pulendo malamente con un panno giallo e avvicinandosi di un passo a me «Posso sapere cos'hai contro di me?»

Gli feci notare il latte versato per terra con le punte di tutte le dita della mano aperta

«Quello» ringhiai «Non era fresco. E forse non era neanche latte. Vuoi avvelenare il mio amico, brutto figlio di...»

«Senti, cagna, non è il caso di agitarsi per così poco»

«Io sono un lupo, non un cane».

Il cameriere sgranò gli occhi. Notai che erano dello stesso colore del bancone e della luce ambientale, un marrone sporco, fangoso. Non erano belli, né intelligenti, erano trascurati, come tutto del resto.

«Come hai detto?» Chiese, incredulo

«Ho detto» allungai una mano oltre il bancone e lo afferrai per il bavero, quasi rigido al tatto «Che non sono una cagna, sono un lupo»

«Ma come si permette, signora!» esclamò, aprendo in maniera spropositata la bocca, come un personaggio dei cartoni animati quando urla.

Eppure avrei giurato che di colpo fosse diventato ben educato, più gentile. Niente parolacce, e mi dava del lei, come il bravo europeo che era. Dall'accento si capiva che non era siciliano, doveva essere bulgaro o rumeno

«Io mi permetto di fare quello che voglio» Ribattei, tranquilla, torcendo il colletto della sua camicia per strozzarlo «E tu volevi avvelenare il mio amico, brutto bastardo. Perciò adesso ci servi gratis due birre...»

Urban LegendsOn viuen les histories. Descobreix ara