Ci rivedremo in un'altra città

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E poi era di nuovo lì. Stavolta non era di spalle, era di profilo, stava parlando con una donna proprio all'angolo della strada. All'angolo, in punta, e sembrava pronto a scomparire di nuovo. Aveva in mano un sacchetto di carta bianca, probabilmente aveva comprato qualcosa in quella bottega, e la piccola donna dai capelli castani di fronte a lui sembrava molto soddisfatta. Anzi, sembrava affascinata, e lo guardava con tanto d'occhi, con le guance rosee.

Mi avvicinai in punta di piedi, lentamente. Forse quell'uomo aveva paura di me, era per questo che correva via sempre.

Vidi, nella forte luce solare, il profilo pallido del suo volto. Portava un paio di occhiali da soli rotondi dalle lenti nere, da sotto l'astina che li congiungeva spuntava un naso prominente, molto affilato, ma regolare e in qualche modo armonico con il resto del volto. E se in qualche modo ci fosse stata disarmonia, era comunque irrilevante di fronte a quella bellezza levigata e pallida. Il suo sorriso, quello che rivolgeva alla donnetta davanti al negozio, era strano e attraente, con le labbra che si tendevano su denti bianchi in una maniera impressionante. Ricordava un po' un vecchio cane, ma l'effetto che questo sorriso aveva sul suo volto giovanile era più o meno quello che un vecchio dipinto aveva in una galleria di quadri moderni. Bellezza, insomma, qualcosa che non si vede tutti i giorni. Aveva anche la barba, un pizzetto e nero come inchiostro, guarnito da un paio di baffi sottili.

Dei canini si vedevano appena le punte, ma erano affilate come rasoi, quasi inumane. Non riuscii a fare a meno di pensare che avesse gli stessi denti di un vampiro.

Lui mi guardò voltando appena la testa. Mi fermai, cercando parole adatte per spiegargli perché mi ero avvicinata a lui.

Sapevo che avrebbe compreso parole come "fato" e "necessità", lui era diverso. Ma, semplicemente, inarcò le sopracciglia e scomparve ancora dietro l'angolo.

Lo inseguii

«Aspetta, ti prego!» gridai.

E lui non c'era più, di nuovo. La rabbia mi pizzicò sgradevolmente gli occhi di fronte a quell'assoluta desolazione. Lui non c'era. Aveva davvero paura di me? Forse ero stata scortese a pedinarlo, o forse era per via dei miei occhi gialli che mi evitava. Ma c'era così tanta gente, oggi, che poteva andarsene in giro con le lenti a contatto... no, non poteva essere colpa del colore degli occhi. E nemmeno della mia statura.

Gli umani potrebbero avere paura di me, è vero, ma sentivo che lui era diverso. Gli vibrava intorno un'aura di vitalità strana, distorta avrei osato dire, eppure di una purezza d'onda che mi piaceva. Un po' come quando c'è una canzone orecchiabile, come quando si trova il ritmo giusto...

Mi accorsi di essere arrivata nel cimitero. Mi sorse un dubbio: e se fosse stato lui a condurmi fino a lì, apposta per incontrarmi in un posto tranquillo? Magari mi conosceva. Altrimenti come si sarebbe spiegato il perché di quella sua smania di fuggire, ma lasciandosi trovare appena in tempo prima di ripartire. Era come se si fosse fatto inseguire per la città, come se fosse stato tutto programmato.

Il luogo dove mi trovavo era circondato di cipressi. Mi addentrai lentamente in mezzo alle tombe dalla forma curiosa: dalla terra spuntavano delle casse rialzate di marmo di un color panna e rosato, che se si guardavano dal lato più stretto avevano la forma di un esagono che sembrava una casetta, con di sopra una croce di metallo. Erano tutte uguali, o quasi, visto che alcune erano molto più grandi. Non capii il perché di questa differenza.

Si, le tombe erano proprio come delle casette, più lontano da lì ce n'erano alcune fatte addirittura di mattoni e con il tetto rosso, come quelle della favole. Mi venne da sorridere...

Questa sarà la vostra ultima dimora. La vostra ultima casa, piccoli umani.

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