Tutti i mostri sono capricciosi

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Stavo per andare giù. Gambe molli. Un gorgoglio che risale in gola, il mio lamento di stanchezza e di dolore, il mio corpo che andava in fiamme, le vecchie ferite che si riaprivano. Sentii che qualcosa colava lungo il mio polpaccio e di colpo seppi di essere già immersa nel mio stesso sangue, quello che colava dalle mia spalle, dalle vecchie ferite profonde che avevano generato cicatrici fragili, quello che presto mi avrebbe inondata quando quelle orrende fauci si sarebbero strette sulla mia gola.

La forza della mia nemica era travolgente, irresistibile, una forza che spezza le ossa e che schiaccia i muscoli.

E macchie scarlatte di fronte agli occhi, danzanti, poi puntini neri, poco sangue che arrivava alla retina, visioni intermittenti, stralci di ricordi, orrore di fronte a quella saliva che adornava il nero labbro inferiore della mia avversaria, quella saliva che scorreva come monito, per farmi ricordare che io sarei stata il suo pasto. No! No! No! Ringhiai, strinsi i denti. Ma non c'era più forza in me, e andai giù.

Cadere e morire sono una cosa sola, se sei un lupo...

Ma in quel momento vidi qualcosa che mi parve un'allucinazione, l'ultima cosa immaginata che ti si imprime sulla retina in punto di morte.

September. Vicino alla bestia. Determinato, le sopracciglia inarcate. I suoi occhi brillanti.

E le sue mani. Le sue mani erano percorse da scintille argentate, come serpenti che si dibattevano, che si insinuavano fra le dita, si attorcigliavano sulle falangi, scoppiettavano sul palmo. Quelle mani, lui le posò contro la testa della bestia dal pelo color sabbia.

Avrebbe dovuto succedere qualcosa. Ero sicura che qualcosa avrebbe dovuto accadere.

«Dannazione!» Imprecò September.

La bestia ruotò gli occhi nelle orbite e lo guardò. September ritirò le mani di scatto, e il mostro mi lasciò andare, annusandolo.

Posai le mani a terra, guardai in basso.

Sentii il sudore che mi scorreva sulla fronte, sopra le sopracciglia che proteggevano i miei occhi dall'essere punti dai sali dell'essudato. Lo percepii, che passava in mezzo ad esse, scorreva lungo la canna nasale fino a staccarsi dalla punta del naso. Inspirai a fondo, mi riempii i polmoni fino all'ultimo, minuscolo, alveo, feci in modo che quella boccata d'aria mi sarebbe potuta bastare per un'immersione di cinque minuti, poi mi rialzai, puntellando il mio peso sulle ginocchia, inarcando un po' la schiena, poi stringendo i pugni, spingendo, tirandomi su. Tutto d'un colpo.

I miei occhi faticavano ancora a mettere a fuoco come avrebbero dovuto, di fronte a loro si mostrava una sorta di cortina intermittente che prima tracciava contorni irregolari e poi li rimetteva a posto, con spettacolare ritmicità. In piedi, sapevo di potercela fare, di nuovo. E finalmente vidi September indietreggiare, le mani avvolte da scariche elettrica, e la bestia gigantesca abbassare la testa fino a premere la testa sul pavimento, invitandolo a giocare.

Come Set avesse fatto ad emettere scariche elettriche era per un mistero, ma non me ne sorpresi troppo sapendo ciò che era. Un mago.

Ma anche lui era stanco. Seppi in quel momento che poteva anche essere un ipnotizzatore, uno straordinario cantastorie, un donatore di emozioni, un ricercatore di verità e di potere magari, ma che non sapeva come combattere.

Mentre la bestia dal pelo color sabbia... oh, lei non si era fatta niente. E probabilmente nulla poteva ferirla davvero. Era roccia con il pelo, le zanne e gli artigli, un'entità superiore. Non un licantropo semplice, sempre se di licantropo si trattava.

Rialzò la testa. Diede solo un'occhiata a me, come se non gli interessassi più. Dov'era il suo odio? Volse il suo sguardo a September. Si leccò le labbra, mentre il mago barcollava all'indietro, come se fosse ubriaco, con le labbra semiaperte nel respiro affannoso. E poi fece un passo avanti, tese la zampa destra verso la sua testa. Lo avrebbe stritolato. Le sue unghie si sarebbero conficcate a fondo nella polpa tenera del cervello.

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