Il Natale anormale

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Faceva un po' caldo per essere Natale, quindi decidemmo di cenare fuori, allestendo la tavolata in giardino.

Il dottor Franco invitò un paio dei suoi amici via telefono, mentre Blacky si collegava ad internet e iniziava a inviare e-mail di auguri a tutto il mondo da lui conosciuto. Ripensandoci oggi, era un fatto assai curioso che un nato lupo sapesse usare il computer.

Io, Michele e Cuscino ci prodigammo per la cena. Non capita tutti i giorni di avere una quantità di conigli selvatici da produzione industriale per preparare un pasto da re, giusto? I conigli li avevo procurati io: mi ero presentata con fierezza di fronte al nostro maggiordomo, portandoglieli in dono, e lui si era messo a saltellare felice. Mi chiedo se sapesse fare perfino un tipo di frittelle con la carne di coniglio. Beh, questo era probabile, ma optò per degli arrosti e si fece aiutare da Cuscino.

Adesso, per qualche motivo che rimaneva a me ignoto, era sparita ogni traccia di rivalità fra loro due. Beh, ne ero felice.

September, invece, si dileguò per tutto il pomeriggio. Lo cercai spesso in tutti gli angoli, ma non era da nessuna parte. Controllai sotto il letto, dentro la vasca da bagno, dietro ogni vaso abbastanza grande da nasconderlo ed anche nelle due entrate segrete per il sotterraneo, ma niente, sembrava essersi volatilizzato. Pensai che forse non farsi trovare era la sua volontà, ma che sarebbe riapparso comunque all'ora di mangiare. Se era un animale come tutti gli altri, l'odore del cibo lo avrebbe attratto abbastanza da farlo uscire allo scoperto, no?

A un certo punto, circa alle sette di sera, percepii il rumore di un motore di automobile sconosciuta, insieme ad un odore che, invece, mi era abbastanza familiare. Mi piazzai davanti alla porta, a braccia conserte, aspettando il primo degli ospiti, e d'improvviso capii perché l'odore mi fosse familiare. Era quel profumo che avevo sentito alla festa, quello che quasi tutti gli ospiti donne emanavano. L'automobile che parcheggiò nello spiazzo di fronte a casa nostra era un'elegantissima berlina nera con rifiniture in argento, lunga, molto pulita e con i vetri posteriori oscurati.

Lo sportello anteriore si aprì con un click e vidi una scarpa con tacco alto più o meno sette centimetri che si poggiava sull'erbetta gialla. Collant scuri, gambe perfettamente rasate sotto lo strato delle calze, ben formate, ma con un leggero accumulo di grasso sui polpacci.

La donna che scese dall'automobile aveva lunghi capelli scuri, lisci, e zigomi abbastanza pronunciati. La donna che scese dall'automobile, la riconobbi, era una cacciatrice di licantropi, e si chiamava Lucrezia. Lei, la bastardella nanerottola!

Era sera, ma indossava occhiali scuri. Se li tolse con un gesto ampio, scosse la chioma come una star del cinema e volse il suo sguardo verso la porta. Rimase come inchiodata, gli occhi spalancati. Sul mio volto affiorò un sorriso, lo sentivo modellarsi in modo da sembrare più truce possibile, mettere in mostra i canini.

Lei aggrottò le sopracciglia

«Levati da davanti la porta» mi ringhiò, con voce straordinariamente acuta

«Perché, cosa mi fai se non lo faccio?» ribattei io, se devo pensarci adesso, direi in maniera un bel po' infantile sia nel tono che nelle intenzioni

«Ah... dimenticavo» la sua voce tremava di nervosismo, cercava di essere ironica, ma non faceva altro che rivelarmi ancora la sua paura «Con voi animali non si può ragionare»

«Animali, eh?» ridacchiai, imitando quasi il suono di un motore, quando mi sentii toccare la spalla da qualcosa di grande e caldo.

Non ci fu neppure bisogno di voltarmi per sapere che era la mano del dottore Staretti.

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