Capitolo 34 - IL RITORNO -

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Guardavo la costa scorrere oltre il finestrino del treno, i primi raggi di sole specchiarsi sulla superficie cristallina del mare, non vedevo l'ora di arrivare per respirarne l'aria. Ero partita la domenica sera da Milano, Luisa e Francesco mi avevano accompagnato alla stazione. Oggi era già lunedì, ma non ci sarebbe stata la Sirmioni e Associati,  né Giulio, né Matteo. Dopo queste settimane così cariche avevo bisogno di restare con me stessa e avevo preso due settimane di ferie.

Da quando papà se ne era andato, avevo venduto la casa, non avevo parenti e mi recai al solo affittacamere del paese. Per fortuna aveva cambiato gestione e il proprietario che mi accolse era uno sconosciuto. Volevo stare da sola e non volevo dare voce alla gente del paese.

"Benvenuta signorina Petrelli, è un piacere ospitarla,  la colazione la serviremo dalle sette alle nove e mezza. Posso chiederle come mai è in questo paese assolato di duemila anime?"

Era una domanda che non mi aspettavo, lui continuò a fissarmi in attesa della risposta che io inventai sul momento. "Sto scrivendo un libro e avevo bisogno di un posto come questo, mi è stato consigliato da un'amica originaria del paese alle spalle della collina".

Lo vidi sorprendersi e gioire "che bella cosa!per quanto tempo resterà? "

"Un paio di settimane"

"Bene, la accompagno alla sua camera!"

La camera era piccola ma arredata con cura, al centro c'erano un grande letto bianco a baldacchino con delle tende leggerissime, un tavolino tondo a mo' di comodino con una lampada di terracotta bianca, una poltroncina e le lenzuola colorate. Dalla finestra si vedeva la spiaggia. Era ancora presto e scesi per una passeggiata. Camminai a piedi scalzi sul bagnasciuga e tanti ricordi felici di infanzia mi affollarono la mente, mi rattristai pensando che non avevo nessuno con cui condividerli. L'acqua era fredda ma avrei voluto buttarmici con tutti i vestiti per sentirne il brivido.

Tornai in camera e mi preparai per andare al cimitero. Mi incammina a piedi, era poco fuori dal paese e durante il tragitto raccolsi dei fiori di campo. Il cimitero aveva aperto da pochissimo ed era deserto, varcai il cancello, attraversai il viale e mi diressi verso i corridoi semibui, costruiti di loculi. Lì davanti a lui c'era sempre quella  vecchia panca logora. Mi sedetti, c'erano dei fiori ormai secchi, la foto che mostrava il sorriso e lo sguardo sereno, la mia dedica 'ti amerò sempre, tua figlia Claudia'. Una lacrima mi solcò la guancia, mi alzai, spolverai la lapide e sistemai i fiori. Poi mi risedetti e iniziai il mio dialogo sussurrato. Gli parlai della mia vita a Milano, degli amici che avevo e del mio equilibrio ritrovato. Gli parlai dei fratelli Sirmioni che mi avevano sconvolto la vita e tra i quali dovevo scegliere e al momento ero nel pallone. Poi tornai in camera e mi preparai per il mare. Il proprietario mi diede un ombrellone e una sdraio. Così passavo metà della mia giornata in spiaggia e l'altra metà al cimitero, passeggiavo per i campi o me ne stavo in camera. Passai così anche i giorni seguenti. 

Il quarto giorno, giovedì, successe una cosa strana. Mentre ero davanti alla tomba di papà, non so come e non so perché,  decisi di andare a vedere la tomba di mia madre. Ci mancavo da anni. Da piccola ci andavo con mio padre e conoscevo la strada a memoria ma quando ero cresciuta ed erano iniziate a circolare quello voci, avevo smesso di andarci. Ritornai sul viale, lo percorsi tutto fino alla chiesetta e girai a destra, presi il secondo vialetto e contai  le file delle lapidi < uno, due, tre, quattro, cinque> ; me lo ricordavo ancora, perché mi girai e mi trovai faccia a faccia con la foto di mia madre. I capelli castani, mossi sulle spalle, gli occhi grandi e le labbra socchiuse in un sorriso leggero. Sospirai pesantemente, avevo cercato di dimenticare il suo viso ma era più nitido che mai. Girai la testa e vidi che dal vaso sbucava un piccolo girasole, vero, fresco. Com'era possibile che quel fiore fosse lì, non aveva parenti, i suoi l'avevano praticamente disconosciuta quando era rimasta incinta di me, il suo pseudo amante era morto e non ricordavo avesse amiche. Osservai gli altri vasi, magari era un fiore avanzato perché un altro vaso era pieno. Ma niente, non c'era nessun fiore che gli somigliasse. Continuai a fissare la foto e il girasole ininterrottamente per qualche minuto, cercando una risposta, che non arrivò. 

Tornai in camera, mi feci una doccia e mi stesi. In questi giorni avevo pensato spesso a Giulio, a Matteo, alle nostre settimane insieme ed entrambi erano sempre  onnipresenti nella mia mente. Ma quella mattina quando chiusi gli occhi l'immagine di uno solo di loro mi riempì la mente. I suoi occhi, il suo sorriso e la voglia tremenda che mi stringesse tra le braccia. Ripensandoci mi addormentai.

Mi svegliai che era già ora di pranzo, andai a mangiare e poi mentre stavo per tornare un baleno mi si accese in testa. Non avevo mai dimenticato il nome dell'uomo che mio padre aveva ucciso, il presunto amante di mia madre, tutti i giornali locali ne avevano scritto; e pensai che forse sulla sua tomba avrei trovato qualche risposta. Era primo pomeriggio e tutti riposavano, avrei potuto girare indisturbata per il cimitero. Quindi vi andai, cercai il suo nome in base al periodo di morte. Dopo un quarto d'ora lo trovai: la data corrispondeva, il nome pure, era lui. Guardai la foto: aveva i capelli ricci scuri, gli occhi scuri e grandi e le labbra carnose, completamente l'opposto di mio padre. Nessun fiore nel vaso a destra, nemmeno uno secco, nulla. Quando lessi l'iscrizione ebbi quasi un tracollo: 'Antonio Cavata - Sarai sempre nel mio cuore, tuo figlio Fabio'. Era simile alla mia per mio padre e come la mia era solo da parte di suo figlio. Le lacrime iniziarono a scendere dagli occhi e corsi via finché non fui a metà strada dal cimitero. Quindi mi fermai per riprendere fiato mentre non riuscivo a controllare le lacrime. 

Vivi e Ama ©  #Wattys2019.Where stories live. Discover now