25 Se non fosse amore

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HO LETTO I COMMENTI NEL CAPITOLO PRECEDENTE E, GIURO, VI AMO. MI AVETE FATTA COMMUOVERE.
VI RINGRAZIO DI CUORE E BUON PROSEGUIMENTO DI LETTURA ❤️

Mentre cercava di tenersi dritto sul suo destriero, non poteva far altro se non maledirsi per la sua immensa idiozia. Per tutte le ragioni che lo spingevano lontano da lei, per tutte le motivazioni che avevano per non stare insieme, ce n'era una che le sbaragliava tutte. L'amore.
Si, se la sentiva crescere nel petto la consapevolezza di appartenerle e, sempre di più, stava diventando maledettamente facile sentirla solo sua, come se fosse nata per lui, come se il cielo avesse voluto fargli dono di un angelo, dopo avergli tolto tanto. Lei era sua e lui era pronto a prenderla e a donarglisi totalmente.
Sapeva che non era così che doveva andare, sapeva che non poteva semplicemente dirle di andare via insieme, sapeva che doveva salvare la piccola Juleka, sapeva alla fine cosa avrebbe scelto, ma non era una giustificazione per quel comportamento ignobile ed egoista che aveva avuto in quella stramaledetta stanza.
Non poteva semplicemente dirle "Vieni via con me", non poteva essere le sua ali di libertà, neanche lui poteva definirsi libero.
Voleva essere l'amore per lei, il vero amore, ma non poteva e non c'era nemmeno riuscito un solo secondo. Era stato solo stupido. Le aveva parlato così tanto di nobili sentimenti e, anche se quelle parole erano state vere tutte, non aveva alcun diritto di dirgliele. Non aveva alcun diritto di prometterle le stelle perché non avrebbe potuto dargliele.
Strinse le redini e si lasciò andare ad un urlo che Plagg interpretò come un incitamento a velocizzare la corsa.
Non poteva darle ciò che sognavano. Lui aveva altri sogni, lui aveva promesse e giuramenti, affetti da mantenere in vita.
Odiava averle raccontato stronzate sul farla vivere dei suoi stessi sogni, odiava averla illusa che l'amore tra loro potesse davvero portare a qualcosa di buono.
"Sposiamoci", le aveva detto. Che assurdità.
Le era grato per non avergli risposto, si era dimostrata più matura e razionale di lui.
Voleva dirglielo, aveva bisogno di urlarglielo quanto l'amava. Quanto la desiderasse sempre, costantemente, al proprio fianco, quanto la pretendeva nel suo futuro, in una casa di campagna, vederla davanti al fuoco con un libro in mano mentre un bimbo dorme nella culla al suo fianco e lui che, tornato da lavoro, un vero e onesto lavoro, apriva la porta sorridendo a quella visione.

Però le avrebbe detto anche che non era il suo stesso futuro. Lei sarebbe si stata seduta davanti al fuoco con un libro in mano, magari con davvero un bambino nella culla, magari con uno nella pancia, ma il marito non sarebbe stato lui e non sarebbe tornato da lavoro perché sarebbe stato sempre nell'ufficio, nelle sue stanze, a trovare soluzioni per mandare avanti una nazione. E lei si sarebbe sempre sentita tremendamente sola e quel bambino non sarebbe stato mai completamente suo, poche volte avrebbe potuto far da madre, fino poi a vederlo diventare un piccolo soldato, costretto alle sue stesse ristrettezze di quando era bambina.
E lui poteva donarle qualcosa di diverso dal veder crescere suo figlio con lo sguardo spento e duro, poteva non farle vivere una vita circondata solo da dame di compagnia e a pregare il marito per un po' di attenzioni. Poteva donarle ciò che voleva, ma non lo avrebbe fatto.
L'aveva fatta volare con lui nel cielo, ma ora sarebbero caduti entrambi nella melma della consapevolezza di non potersi lasciare tutto alle spalle, di non poter vivere una vita diversa da quella che era stata imposta a lei e che si era scelto lui.

Quel mondo felice di una casa calda e accogliente non gli sarebbe mai appartenuto e non bastava desiderarlo con tutte le forze, lei non avrebbe potuto farglielo in dono.
Il suo angelo non gli avrebbe messo a disposizione le sue ali per portarlo a conoscere qualcosa che nel suo mondo non c'era mai stato.
Niente amore, niente calore, niente famiglia felice.
Lui non le avrebbe mostrato una via diversa, non le avrebbe mostrato ciò che neanche lei credeva di potersi aspettare dalla sua vita. Solo un freddo matrimonio combinato.
Nessuno dei due sarebbe stato ciò che sarebbe potuto essere per l'altro.
Nessuno avrebbe salvato nessuno dal mondo crudele.
Il suo amore se lo sarebbe tenuto per se, sarebbe rimasto per sempre piantanto nel cuore come un chiodo che doleva pungente e che piano piano si sarebbe arrugginito e avrebbe infettato la sua intera vita.
Non avrebbe mai avuto nient'altro se non quello.
Il matrimonio vantaggioso della principessa avrebbe portato ricchezze alla Francia. Anche lei, a suo modo, avrebbe aiutato il popolo.
Doveva riprendere fiato.
Scese da cavallo con una mossa poco agile.
<< Bravo, bello. Regimi tu.>>
Passò al di là dell'edera e camminò tenendosi ancorato all'animale.
Aveva lo stomaco sottosopra dopo quella tremenda cavalcata, ma era deciso, determinato a portare avanti il suo proposito. Ormai la sua vita l'aveva sacrificata per il bene dei più bisognosi e non voleva levarsi quel fardello dalle spalle.
Passò davanti alla finestra e sbirciò dentro prima di entrare.
Marinette era in cucina con Alya. Sembravano divertirsi molto. Ma perché la principessa era in cucina?
Era bellissima mentre rideva così spensierata.
Seduto al tavolo c'era Nathaniel, teneva la matita in mano, come al solito e aveva il suo stupido quaderno di disegni poggiato davanti.
Aveva lo sguardo concentrato che si alternava tra il disegno e...lei. Stava disegnando la sua Marinette?
Non poteva farsi prendere dalla gelosia solamente perché il suo amico la stava disegnando. Non poteva proprio più essere geloso.
Prese un respiro profondo ed entrò, con tutta la serietà che poteva dimostrare e con la disinvoltura di chi vuole sembrare sobrio e saldo sulle proprie gambe.
Mentre ancora lei non si era accorta del suo arrivo, lui rimase fermo sulla porta a guardarla sorridere. Quando lo faceva pareva fermarsi il mondo, solo per guardarla.
<< Adrien, come mai sei tornato prima di cena?>> Chiese sorridendogli Kim.
<< Non...non avevo altro da fare e...>>
Non riusciva a parlare, lei lo guardava con occhi gioiosi e con labbra in attesa di baci nascosti.
Si avvicinò a Nathaniel per sbirciare il suo disegno, ma lui si ritrasse immediatamente, nascondendolo.
<< Perché non posso vederlo?>> Chiese contrariato.
<< Puzzi d'alcol, amico. Perché non...>> Non fece in tempo a terminare la frase che si sentì togliere di mano il quaderno.
Adrien se lo portò davanti al viso e sorrise con arroganza e strafottenza, poi girò l'oggetto in direzione degli altri per far vedere cosa stesse disegnando il roscio.
<< Avete visto? La principessa eh? Gliel' hai almeno chiesto se potevi ritrarla? È da maleducati, sai?>>
A quelle parole anche Marinette prestò più attenzione, ma non tanto per il gesto del ragazzo ormai imbarazzatissimo, quanto per il tono di scherno del biondo.
Si avvicinò ai due e levò il quaderno di mano ad Adrien.
<< Non fa niente, è bellissimo, lo apprezzo davvero molto. Siete bravo.>> Sorridendo gentile porse l'oggetto al disegnatore che ricambiò il sorriso.
<< Vi ringrazio, principessa.>>
<< Ti sei preso una cotta per la principessa?>> Iniziò a canzonarlo Kim.
<< Cosa?! No!>> Cercò di difendersi.
<< Guarda come è arrossito!>> Insistette Adrien scoppiando a ridere insieme all'altro compagno.
<< Sei tutt'uno con i capelli, non mentire!>> Continuò Kim.
<< Perché non ti dichiari? È qui davanti a te. Dille quanto è bella, forza.>> Rise Adrien.
<< Chat, stai esagerando.>> Lo avvisò il roscio.
<< Ah giusto, non i veri nomi. Che succederebbe se dicessi alla tua bella principessa come mi chiamo?>> Fece finta di rifletterci.
<< Ti farei ricercare per tutta la Francia e ti farei giustiziare.>> Intervenne lei, solenne, interrompendo le risate. Il ragazzo con la maschera nera posò i suoi occhi verdi su di lei, tornando immediatamente serio.
<< Se mai tornerete a palazzo.>> Sembrò quasi una minaccia.
Marinette non poteva crederci. Ma chi era quello che aveva davanti?
Non era il suo Adrien.
<< Ora basta. Stai decisamente delirando. Hai bevuto troppo.>> Nathaniel si alzò dalla sedia e si mise tra lui e la principessa, come a volerle fare da scudo.
<< Non ho bevuto troppo e non fare l'eroe. Sei ridicolo, tanto non te la fai.>> Lo spintonò per sorpassarlo ma venne fermato dalla voce di Kim. Ora lui e il roscio erano spalla contro spalla e davanti a sé c'era la principessa, sconvolta e infuriata.
<< Che hai? Non hai trovato Chloé e Lila oggi?>> Disse ridendo.
<< Si sono fatte trovare. Tutte e due.>> Disse non distogliendo gli occhi da quelli di lei.
Marinette fu colpita in pieno petto. Un dolore lancinante l'aveva afferrata con artigli cattivi e minacciava di stritolarle il cuore, ma non voleva mostrarsi debole. Non poteva.
Pensò che forse aveva frainteso, che l'oro c'erano ma lui non le aveva neanche guardate. Cercò di farsi coraggio.
<< È pronta la cena!>> Alya comparve con un pentolone in mano ed interruppe l'atmosfera tesa che si era creata.
Si sedettero e iniziarono a mangiare. Il silenzio era tombale.
<< Com'è andata all'orfanotrofio?>> Kim ruppe il muro di mutismo.
<< Bene. >> Disse impassibile il biondo.
<< Con quella faccia?>> Insistette.
<< È la mia.>>
<< Di solito è migliore.>> Il ragazzo più muscoloso alzò le spalle.
<< Scusa se non sorrido dicendo che...>> Stava per perdere il controllo.
Diamine, doveva contenersi. Niente emozioni. << Mi è passato l'appetito.>> Si alzò veloce da tavola e si avviò fuori, camminò velocemente per arrivare vicino al salice e ci si poggiò con una spalla. Incrociò le braccia e sospirò. Ma che stava facendo?
Perché era così incredibilmente stupido?
Quando lei lo guardava si sentiva giudicato come quando entrava in chiesa.
Era stato male in passato, ma il solo pensiero di doverle dire addio...era un dolore nuovo, non aveva mai provato nulla di simile. Non sapeva dire se fosse meno o più intenso di altri, ma era comunque imparagonabile. Era del tutto diverso.
Le stesse parole che quella mattina il suo cuore si ripeteva per farlo stare meglio, ora tagliavano più a fondo di un coltello. Aveva bisogno di respirare, di tornare a vivere come quelle mattine al mercato, solo guardandola negli occhi, solo sperando ed aspettando un suo gesto.
Stava andando in crisi. Sapeva di dover rinunciare a lei, ma non voleva. Diavolo, se non voleva.
Ma sarebbe sopravvissuto ad una vita senza di lei? Forse se smetteva di pronunciare il suo nome. Forse se lei non lo avesse più chiamato.
Forse pensando non fosse mai stato amore, sarebbe andato avanti.
Si sentiva soffocare. Come poteva davvero credere che quello non fosse amore?
Il cuore sanguinava nell'infliggersi la rinuncia. Lei l'aveva capito, guardandolo, cosa stava accadendo?
Tremò al pensiero di non poterla più avere sua, solo sua.
Avrebbe vissuto una vita in ginocchio.
Senza i suoi baci. Insicuri, inesperti, dolci baci.

Preso a calci dai sentimenti, pieno di lividi e graffi, avrebbe fatto tutto tremendamente male e lei non sarebbe mai andata in suo aiuto, lui non glielo avrebbe mai nemmeno chiesto.
Era stato uno sciocco, per tutta la vita si era sentito come una falena attratta dalla luce, sembrava che i problemi lo attirassero e lei era stata solo un ennesimo inganno, andava avanti e non si preoccupava del dolore.
Probabilmente a spingerlo così oltre era stato il calore, la promessa di un fuoco che gli avrebbe riscaldato il cuore dal freddo pungente.
Sospirò di nuovo nel sentire dei passi nell'erba. Era lei. Sentiva anche il fruscio del vestito.
Non voleva voltarsi. Aveva paura di raccogliere ciò che aveva seminato.
<< A cosa stai pensando?>> chiese la donna. Il tono era duro, ma forse gli occhi celavano della confusa tristezza.

<< Che se smetto di chiamarvi amore, forse, posso sopravvivere. >> Alzò la testa per scorgere il cielo attraverso i rami intrecciati.

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