30 Un posto per loro

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<< Dobbiamo andare, principessa!>> Alya si voltò verso di lei e le afferrò il braccio per farla scendere dal letto.
<< Alya, no!>> Si dimenò liberandosi dalla presa.
La dama le si mise davanti, scura in volto e con le mani sui fianchi.
<< Non l'hai detto tu? Devi andartene di qui, non puoi restare. Lui non fa per te e la tua vita è un'altra.
Hai dei doveri, principessa e non puoi farti vedere contraria dall'essere salvata dal principe.>> Il tono duro non nascondeva la disapprovazione per il suo comportamento.
Lo sguardo rigido continuava ad essere posato su di lei e il tono infervorato aveva scosso il suo animo. Sapeva quanto la dama tenesse a lei, sapeva che doveva darle retta.
Era difficile dover abbandonare ogni speranza di non essere mai stata ingannata da quell'uomo, era difficile abbandonare i sogni e le speranze che non siano stati solo degli incubi, ma quale altra alternativa aveva una donna? Una principessa. Non poteva lottare da sola per la sua felicità e per il suo destino. Sempre e solo un uomo avrebbe lottato per lei.
Alya aveva ragione. Tutti quei discorsi sul doversi allontanare da Adrien e poi si era fatta prendere dal panico nel dirgli addio.
Sospirò rassegnata e, a testa alta, uscì dalla stanza.
Una volta davanti alla porta d'ingresso, questa si aprì e rivelò la figura del principe. La spada nella mano lasciava cadere rivoli di sangue sul pavimento, i capelli scuri erano scompigliati e si vedeva la fatica nascosta dietro la gioia e l'impeto del momento.
<< Principessa!>> Corse da lei, lei che aveva occhi solo per il giovane dietro. Adrien infatti la guardava sconsolato, preoccupato e...disperato. Perché? Si chiese Marinette. Era lui a non averla più voluta, perché la guardava così?
Lei si ritrovò stretta dalle braccia di Luka e il biondo alla porta, invece, si sentì prendere con forza le braccia, strette dietro la schiena. La sua distrazione l'aveva pagata cara.
La guardava negli occhi. Lei stava guardando lui, in ginocchio, sull'uscio di quella che avevano sognato fosse casa loro, ma si lasciava stringere da un uomo a cui era mancata, un uomo che se la sentiva sua per diritto.
Quanto era difficile spiegarsi ciò che stava provando in quel momento. Era stato catturato, aveva due uomini che lo obbligavano a stare in ginocchio, con la testa bassa e le braccia dietro la schiena. La sua spada sporca di sangue era ormai lontana da lui e si sentiva sconfitto. Su ogni fronte. Aveva anche appena perso lei. Definitivamente. Ora lo stava realmente realizzando e il dolore sembrava più forte di prima. Non trovava le parole, quindi forse era un bene che nessuno gli avrebbe dato il permesso di parlare.
Forse sarebbe stato meglio dirsi basta prima, piuttosto che aspettare l'arrivo di quel momento. Ma che ne sapeva lui, come poteva saperlo che sarebbe stato così vicino il giorno in cui non avrebbe potuto neanche più vederla, oltre che toccarla? Era accaduto tutto troppo in fretta e ora, guardandola sfuggirgli dalle braccia, avrebbe pagato oro per riavercela.
Dio se era difficile mollare la presa, ma lei distolse lo sguardo e incrociò il viso del principe. In quel preciso istante lui sentì l'ultimo frammento di cuore distruggersi. Ma infondo perché adesso? Lui aveva già deciso fosse meglio dirsi basta piuttosto che soffrire. Aveva già scacciato via le nuvole che offuscavano la sua mente e gli impedivano di portare avanti il suo operato. Lei era stato solo questo, nuvole che avevano portato un gran temporale. Ma tutto passa, anche se la tempesta sarebbe stata indelebile.
Vedendola, tra le braccia di un altro, del promesso sposo, si chiese se c'era mai stato davvero un posto per lui in quella storia. E forse no, perché sarebbe stato dimenticato, impiccato o decapitato e poi dimenticato.
Che sciocco. Si era ripromesso di scavalcare le mura di quel mondo falso che era il palazzo reale, quel mondo che non credeva fosse fatto per lei. Ma l'affetto di quel damerino nei suoi confronti non sembrava affatto falso. Che sciocco, lui aveva cercato un posto per loro. Solo loro.
Solo ora realizzava quanto difficile e lunga la strada sarebbe ancora stata per loro, anche senza l'arrivo del promesso sposo, lui non avrebbe comunque avuto le parole adatte per implorare il suo perdono.
Lei sorrise alla commozione dell'uomo che l'aveva ritrovata. Adrien si sentì morire. Come erano morti i suoi compagni quella notte. Tutto per colpa del suo stupido e cieco amore.
Ed era vero che il sole illuminava la luna per farla esaltare agli occhi di tutti, ma poi tornava sempre a riprendersi la sua scena e la sua luce era infinitamente più intensa che allucciava lo sguardo di tutti e la luna moriva oscurata. Lei non sarebbe mai stata ai livelli del sole e lui, pur amandola, glielo ricordava sempre.
Quanto la capiva adesso, lei si prendeva tutto ciò che poteva nelle notti, perché poi il sole tutto le avrebbe tolto, facendola di nuovo tornare nulla. Gli sguardi stanchi dalla luce del sole non avrebbero guardato mai la luna, persone, animali, avrebbero dormito, avrebbero riposato gli occhi. Lei non aveva tutte quelle attenzioni e lei non aveva niente da dare, se non la sua stessa presenza. Senza contare che la notte spaventava, incuteva timore e risvegliava paure e bestie indesiderate. Ogni più infimo essere si muoveva con il favore della notte. Che smacco enorme per la luna.
E lui? Avrebbe sopportato di nuovo tutto pur di riprovare a riaverla con se? Avrebbe sopportato di nuovo l'essere calpestato al buio dai suoi passi incerti? Avrebbe sopportato il suo cuore riparato per poi essere di nuovo rotto? No, forse neanche lui sarebbe stato tanto masochista. Era meglio finirla che continuare a soffrire. Era meglio distogliere lo sguardo dalla scena pietosa di lei che si lasciava stringere felice di tornare a casa. Come se lui la stesse davvero salvando.
Lei era stata il fulmine che aveva illuminato la sua vita, che aveva dato inizio al temporale, non era il temporale stesso, no, non era le nuvole che lo avevano portato. Lei era luce, una luce veloce che avrebbe portato distruzione. Strano, se c'era lei tutto era futile intorno a lui, ora intorno a lui non c'era più niente.
<< Vi riporto a casa, Marinette. >> Sussurrò dolcemente Luka sulla guancia della giovane donna.
<<Le tue braccia sono più casa di quanto non siano mai state quelle mura, Adrien.>>
Questa era una stilettata al cuore. I ricordi dei loro discorsi facevano male perché gli rivelavano la verità.
Lei stava di nuovo per essere rinchiusa da gente che non sapeva di star firmando la sua condanna a morte.
Quel mondo non le avrebbe mai dato nulla di ciò che lei voleva.
Erano condannati entrambi. Soli e ormai morti. Loro che cercavano solo un posto nel mondo.
<< Andiamo, ratto schifoso.>> Una delle guardie lo strattonò per il colletto e lo obbligò a mettersi in piedi. Non si ribellò, ne tanto meno si indignò per quell'appellativo.
Infondo lui ora non era proprio più niente.
Si vide passare davanti la donna amata, sul fianco, a cingerlo, il braccio di un altro uomo che cercava di rassicurarla e di tranquillizzarla, dicendole che tutto sarebbe stato migliore, che ora andavano a casa e sarebbe stata bene, sarebbe stata salva.
Era questo che voleva sentirsi dire?
Era quelle mani che voleva addosso?
Non lo aveva neanche degnato di uno sguardo.
<< Occupatevi di Alya, aiutatela, sarà scossa anche lei.>> Si rivolse Luka ad un ennesimo soldato.
<< Adrien...siete ferito.>> La dama cercò di avvicinarglisi ma venne scostata dagli uomini reali.
<< Stategli lontana.>> Le intimarono.
<< Sta perdendo molto sangue.>> Cercò di sfuggire alla loro presa.
<< Alya, lascia stare.>> Sussurrò il biondo che ormai si lasciava quasi trascinare.
Non voleva che Alya si mostrasse compassionevole nei suoi confronti davanti a quegli uomini. Avrebbe potuto insospettirli e indurli a pensare che tra loro ci potesse essere un qualche legame e allora sarebbero stati guai anche per la donna.
Si guardò intorno e li vide. I corpi morti dei suoi compagni. Dei suoi amici.
Ivan e Marc.
Strinse gli occhi.
Li aveva condotti alla morte.
Pensò alle loro famiglie, ai loro affetti e alle loro speranze.
Ivan non si sarebbe mai potuto dichiarare alla donna che amava.
Marc non avrebbe mai avuto l'occasione di vedere suo figlio crescere. Chi avrebbe aiutato la moglie che aveva appena partorito?
Ricordò quando diede la notizia al gruppo. Era così felice, aveva gridato a tutta la locanda che il bambino era nato, era in salute, come la madre e che era maschio, grazie a Dio.
Ne era valsa la pena? Sacrificare tutto questo? Sacrificare i suoi amici e le loro vite? E per cosa poi? Per una principessa che non sarebbe mai potuta essere sua. E ora lei camminava davanti a lui, la schiena dritta sotto il tocco delicato ma protettivo di quel damerino, i neri capelli che tanto aveva accarezzato in quei giorni ora sfioravano, per via del vento, le vesti di un altro, la veste da notte che poco lasciava all'immaginazione era stata coperta da un mantello pesante. Ma per coprirla da chi se lui l'aveva avuta nuda distesa sopra e sotto di lui?
Sputò un grumo di sangue a terra, quasi fosse veleno.
Si ricordò che nel sentirla gridare quel "no" si era distratto verso la finestra e Luka gli aveva dato un forte colpo con il manico della spada sulla guancia. Per questo era vacillato quasi a terra.
Poi era Luka quello che si era distratto, troppo voglioso di aprire la porta e ritrovarla, gli aveva dato le spalle, era il momento opportuno per attaccare. Solo che quando la porta si era aperta lei era già lì, pronta ad andarsene, ad essere trovata.
Li lui aveva perso. Li lui si era ritrovato in ginocchio. Sconfitto.

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