44 Lila

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Arrivarono nella stanza, in silenzio, la donna si buttò sul letto con la bottiglia di rum piena in mano, guardò il ragazzo e picchiettò il posto vicino al suo fianco per invitarlo a raggiungerla. Adrien eseguì.
<< Come si pareggia una guerra?>> Chiese stappando la bottiglia.
Entrambi erano distesi con la gambe sul materasso ma la schiena era dritta e poggiava al muro.
<< Non si pareggia, si perde rimanendo in vita, con il vincitore che ti cede la grazia, secondo il suo stupido parere, di considerarti fortunato.>> Prese dalle mani dell'amica la bottiglia e ne bevve il contenuto.
<< Avresti voluto essere un perdente morto?>> Lo guardò alzando le sopracciglia.
<< Avrei voluto non sentirmi preso per il culo. Pareggiare significa che entrambe le parti hanno vinto qualcosa. Guardami, ho l'espressione di uno che ha vinto qualcosa?>> Fece un altro sorso prima di passare la bottiglia alla donna.
<< Essere libero non è una vittoria?>> Chiese curiosa prima di bere.
<< Libero? Non posso neanche rimanere a Parigi.>> Sorrise amaramente.
<< E dove andrai?>>
<< Da nessuna parte. Non lo accetto il pareggio.>> Fece un sorso più lungo degli altri.
<< I tuoi amici che dicono?>> Chiese ancora.
<< Non lo so, non c'ho parlato ancora.>> Alzò le spalle.
Rimasero in silenzio per molti secondi. L'unico rumore era lo svuotarsi della bottiglia e lo schiocco che si faceva staccando le labbra umide dal vetro.
Lila aveva notato che, per tutto il tempo, Adrien aveva tenuto stretta in un pugno la mano con quello strano ornamento giallo e l'aveva fissato sempre. Distoglieva lo sguardo da lì solo per bere.
<< Una guerra non è una guerra se non si investe tutto quanto, se non sacrifichi tutto te stesso. Se senti di avere ancora qualcosa da dare, se ti resta ancora la vita, se davvero è finita con una grazia, non può essere stata la fine della guerra, magari era solo una battaglia. >> Disse Lila in un sussurro pensieroso.
<< Sarebbe bello pensarla così. Se il mio nemico fosse diverso...>>
Il suo nemico, chi era il suo nemico? Marinette, forse? O lei era stata solo la moneta di scambio?
<< Un nemico è un nemico. Una persona, un sentimento che va abbattuto, non qualcosa che si deve accettare per vivere meglio. Tu sei consapevole del tuo nemico?>>
Adrien era rimasto spiazzato da quella domanda e dalla risoluzione di quella donna.
Un nemico era un qualcosa che andava sconfitto...non accettato.
Quindi l'amore che provava non era il nemico, il dolore non era nemico, il rimpianto, il rimorso, il senso di vuoto e di perdita...no quelle erano emozioni che andavano solo accettate e messe da parte, non erano guerre da intraprendere, non aveva senso sprecarci tempo e forze, avrebbe perso sempre, sarebbe stato come prendere a pugni il vento. Inutile.
Il nemico non era nemmeno Marinette o il suo sacrificio.
Il nemico era lui, la sua arrendevolezza, la sua paura di rischiare ancora, di pensare a sé stesso prima che agli altri. Il nemico era la voce che gli ripeteva all'orecchio che tanto più di così, uno come lui, non poteva fare niente.
Il nemico era la parte di sé che aveva pensato alla Provenza.
Il nemico era Luka, ma non il fatto che esistesse, il fatto che gli desse così fastidio la sua esistenza. Non poteva accettarlo al fianco della sua donna.
Non poteva accettate il fatto che avrebbe messo degli eredi nel suo grembo.
Non poteva accettate di andarsene e di lasciarla sola in un posto freddo e senza amore.
Il nastro bruciava sempre di più.
Non poteva accettare quelle condizioni.
Ed era assurdo che a farcelo arrivare era stata proprio Lila.
Tutto ciò che non si poteva accettare, andava sconfitto.
E come si sconfigge una paura? Come si batte una consapevolezza amara che ti stringe la gola? Come si vince su un sentimento?
Affrontandolo a testa alta. Tirare il petto in fuori e scontrarcisi fino a perdere quasi le speranze e poi provarci di nuovo.
Questo era il punto di risalita.
No, non avrebbe accettato mai quelle condizioni.
<< Se avessimo sempre parlato più che scopato forse avrei preso decisioni migliori nella mia vita.>> Disse scuotendo il capo e con un velo di vivacità.
<< Si, ma quante belle cose ci saremmo persi.>> Rise lei smettendo di bere per non strozzarsi.
Aveva ragione, ma non avrebbero comunque mai retto il confronto con ciò che provava con la sua principessa.
Solo una volta aveva potuto vacillare ed ancora doveva chiedere spiegazioni.
<< Mi spieghi come facevi a stare nello stesso letto con Chloé? Come vi siete messe d'accordo?>> La guardò alzando un sopracciglio e levandole la bottiglia di mano.
<< È una bella storia. Mi è venuta a cercare e me l'ha chiesto, diceva che ti avrebbe aiutato, che eri teso da giorni e che ti avrebbe fatto piacere. Aveva solo buone intenzioni. Non sai quanto imbarazzo aveva, poveretta.>> Disse divertita.
<< E io l'ho trattata uno schifo.>> Sospirò Adrien perdendo il sorriso che stava, con fatica, cercando di riacquistare.
<< Beh, no, non sei stato molto elegante.>> Anche Lila tornò seria, riconoscendo in lui del dispiacere sincero.
<< Nemmeno con te però, Lila. Mi dispiace veramente molto. Di tutto, in realtà. Ti ho sempre usata, senza mai chiederti se...>>
<< Fermo, fermo, fermo. Adrien, non ti azzardare.>> Gli mise il palmo della mano aperta davanti al viso per bloccarlo. << Non voglio neanche sentirti dire una sciocchezza simile.>> Tolse il gesto che le copriva la visuale sul volto del ragazzo. << Non so come stavano le cose tra te e la biondina, ma non pronunciare mai la parola "usare" se ti riferisci al nostro rapporto. Non è "usare" se entrambi le parti sono coscienti e consenzienti di ciò che si è e che si fa. Mi sminuiresti terribilmente e sminuiresti anche ciò che ci lega e che siamo o siamo stati. Non mi sono mai fatta usare da te, non devi chiedermi scusa.>> Finì il discorso e si riprese la bottiglia.
Adrien sembrava rendersi conto adesso di quanto, in realtà, Lila fosse meglio di ciò che si aspettava. Era vero, il loro era un rapporto di fiducia e di amicizia, c'era affetto, c'era attrazione, insieme facevano le scintille, ma forse proprio perché riuscivano ad essere liberi e sinceri l'uno con l'altra, forse proprio per il loro essere così complici anche senza amore.
Marinette invece...
Dio, ma perché aveva sempre in mente lei?!
Doveva farla finita di riportarla in qualsiasi pensiero o discussione.
Nei pensieri appannati dal rum lei era il nome scritto sopra, come fosse su un vetro. Gli veniva da sorridere per la situazione con Lila ma dentro si sentiva ancora perso, allora bevve un altro po', magari si sarebbe sentito meglio.
Pensò anche che sarebbe dovuto tornare dagli altri, ma ora non ne aveva proprio voglia, sapeva cosa doveva dirgli e cosa chiedere, sapeva che la vera risposta l'avrebbe trovata solamente lì con loro, ma infondo ormai si era lasciato fottere dalle situazioni e queste giornate storte.
Storte...forse giornate storte era un eufemismo.
Viveva in equilibrio tra ciò che era giusto e cosa no, tra le sue incertezze e tra l'odio che voleva provare e il sapere di non riuscire a vivere senza.
<< Chi è lei?>> Chiese seria Lila, stanca di vederlo sempre perso a guardare quella strana fasciatura.
Adrien la guardò sorpreso distraendosi dall'oggetto, finalmente, ma poi si lasciò andare con la testa contro il muro. Cominciò a fissare il soffitto.
<< Il mio angelo custode.>> Rispose.
<< Il famoso angelo?>> La donna si riferì alla conversazione al bancone.
<< Già, quello che mi ha fatto concedere la grazia.>> Sospirò nuovamente.
<< Doveva amarti molto.>>
Era così facile capirlo?
<< Ho sanguinato per lei.>> Si ritrovò a dire, forse più a sé stesso.
<< E lei ti ha detto di andare via?>>
<< No, cioè si...posso vivere ma non devono vedermi più nei paraggi a quanto pare.>>
<< Ha senso.>> Rifletté Lila
<< Ti ci metti anche te?>> Bevve spazientito.
<< Lontano dagli occhi...>>
<< Non mi starà mai lontano dal cuore e so che io non uscirò mai dal suo.>> La interruppe lui.
<< Tutto può accadere nella vita...guardaci! Siamo su un letto, brilli, a chiacchierare del tuo amore perduto.>>
<< Già, roba da pazzi.>> Scosse la testa sorridente.
Più ne parlava e più sentiva come se fosse qualcosa di ormai perso da tempo. Perché?
Ma soprattutto, perché per lei era stato così facile "vendersi"? Lui non avrebbe accettato mai...
Si sentì ghiacciare al pensiero che si, per salvarle la vita, avrebbe accettato qualsiasi cosa. Forse poteva capirla.
Ma non poteva essere quella l'unica soluzione. Morire ghigliottinato o morire dentro.
Bevve di nuovo. Lila si era accesa una sigaretta e, sensuale anche senza volerlo, aspirava il fumo denso.

<< Te lo perdonerai mai?>> Chiese di punto in bianco.
<< Cosa?>>
<< Di averla persa.>> Lo guardò con la coda dell'occhio.
Ci pensò per qualche secondo.
No.
<< Neanche se mi inginocchiassi ai miei stessi piedi.>> Rispose.
<< E allora perché ne stiamo ancora parlando? Come puoi vivere una vita se la passi a chiederti un perdono che non ti darai?>>
<< È più complicata di così. Lei ha un altro uomo, i genitori...lei deve sposarlo.>>
<< Adrien non ti riconosco più. Qualunque cosa volessi la prendevi. Ora? Sei diventato un senza palle?>> Lo scherní.
<< Non posso Lila. Non posso.>> Disse ormai quasi del tutto nervoso.
<< Ma ti senti? "Non posso". Quando mai lo hai detto? Cos'è che tu non puoi fare? Almeno provaci!>> Gli diede una spallata e gli levò la bottiglia dalla bocca.
<< Lasciamo stare, non puoi capire.>>
<< Capisco eccome. Hai paura.>> Disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<< Non ho paura.>> Ribatté risentito.
<< Oh sì invece, te la stai facendo sotto! Temi il rifiuto.>>
<< Sono certo di ricevere un rifiuto, ecco perché non ci perdo tempo.>>
Si stava spazientendo. Cosa ne poteva sapere lei? E come poteva spiegarle tutto se non poteva dirle la sua donna chi era?
Lila capì di dover lasciare andare il discorso. Non avrebbe risolto nulla, ora voleva solo farlo stare tranquillo. Se lo meritava.
No, niente sesso, voleva che il suo amico portasse rispetto per i sentimenti che lo struggevano così, non voleva più vederlo nascondersi e fare finta di nulla, non voleva più aiutarlo a fuggire dai problemi.
Erano cresciuti, erano migliorati. Ora le emozioni le avrebbero vissute a pieno e veramente. Senza alcun timore.
<< Tornerai all'orfanotrofio?>> Chiese spengendo la sigaretta contro il piattino in argento.
<< Domani. Vieni con me?>> La guardò con gentilezza, grato per aver cambiato discorso.
<< Si può fare.>>
Parlarono per altro tempo, forse per ore, lei cercava di tirargli su il morale raccontadogli strane vicissitudini del lavoro e lui ascoltava cercando di non distrarsi ogni volta per qualcosa che potesse riportarlo a Marinette.
Parlarono anche dei giorni di detenzione, delle torture per farlo parlare e le botte, parlò anche dell'uomo al suo fianco che aveva scoperto essere il padre, le raccontò della madre e che, finalmente, sapeva cosa era accaduto ai suoi.
Parlarono per ore, poi si addormentarono, Lila lo stringeva al proprio petto, come una mamma stringe il figlio per proteggerlo dagli incubi, lui a volte sussultava, mugugnava e tremava, ma non lasciava mai la stretta sul suo vestito.
La bottiglia vuota a terra, a fianco al letto.

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