38 Fiore eterno.

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La guardia di turno, quella mattina, lo aveva liberato dall'attrezzo che gli impediva di muovere la testa, ovviamente non senza dimenticarsi di deriderlo con degli schiaffi in volto.
<< Sai, vecchio, credo che tu sia nel torto.>> sorrise debolmente, << la mia donna è diversa, lei non è come nessun'altra, è una rara creatura, lei non è un angelo che può mutare, lei è di più, è più di tutto, guarda tutti noi dall'alto in basso, è ingenua e gentile, dolce e compassionevole...>> Chiuse gli occhi al ricordo di lei. Sentiva dolori ovunque ma non nel cuore, se parlava di Marinette.
<< È una donna, tentatrice del demonio.>> Disse ironico il suo interlocutore.
<< Si, sa essere anche questo.>> Non riaprí gli occhi continuando a sorridere al ricordo di come lo aveva spiazzato la prima notte insieme.
<< Come l'hai incontrata?>> Chiese davvero incuriosito l'uomo.
<< Incontrata? Lei era ovunque, per le strade, nelle cose, nel profumo dei fiori e nei colori delle stagioni. Pensa, anche in ogni persona che incrociavo nel mio cammino.>> Sospirò sognandola.
<< Parla sul serio, ragazzo.>> Sbuffò divertito l'uomo senza nome.
O meglio, un nome lo aveva, ma Adrien avrebbe finto di non saperlo.
<< L'ho rapita.>> Disse, come fosse la cosa più scontata in questo mondo.
<< Cosa?!>> Scoppiò a ridere l'altro.
<< Si, dopo mesi passati ad osservarla da lontano, ma non sapevo chi fosse.>>
Si ammutolirono di colpo sentendo dei rumori provenire dal corridoio cupo.
Adrien riaprì velocemente gli occhi, allarmato da una presenza rumorosa e, dall'aria che si stava iniziando a respirare, pareva minacciosa.
Vide la porta della sua cella venir sbattuta con violenza per fare in modo che si aprisse più velocemente possibile e un uomo, un principe, con l'aria adirata, con l'espressione di chi ha appena sentito parlare un altro uomo della sua donna, della sua promessa.
Non riuscì a trattenere un ghigno.
<< Tu...>> Si avvicinò con impazienza furente. << L'hai rapita perché ne eri innamorato, razza di verme...>> Non finì l'insulto, pensando bene che un cazzotto sullo zigomo avrebbe reso meglio l'idea.
Adrien, dopo l'urto che lo aveva costretto a voltare il capo, tornò a guardarlo con strafottenza.
<< Andiamo, principe, è il meglio che sapete fare?>> Lo sfottè con arroganza.
<< Lei non è alla tua portata, te ne rendi conto? È una principessa!>> Gli urlò contro cercando di sminuirlo, mentre lo prendeva per il collo della maglia lurida e lo alzava in piedi.
<< È una donna.>> Lo corresse il biondo.
<< È la figlia del re, sarà la tua regina, la tua sovrana, anzi, non avrai la fortuna di vederla indossare la corona, tu non varrai mai neanche quanto il suo cane da caccia.>> Lo sbatté con violenza al muro di mattoni dietro di lui.
Adrien fece una smorfia dolorante ma continuò a sorridere per provocarlo.
<< Immagino sia tu il suo cane da caccia...>> Lo scherní riferendosi a ciò che aveva fatto per ritrovarla.
<< Pezzente che non sei altro!>> Urlò scaraventandolo a terra.
<< Le hai fatto qualcosa? L'hai toccata? L'hai sporcata con le tue luride mani da feccia di strada?!>> Si avvicinò ancora e gli assestò un calcio al costato.
Al biondo mancò il fiato, tanto era il dolore.
Avrebbe voluto rispondergli per le rime, dirgli un "nulla che lei non avesse voluto", ma rischiava di metterla in pericolo, quindi decise di ingoiare il rospo.
Tanto, lo aveva già detto, che se ne faceva dell'orgoglio?
<< Potete stare tranquillo, la sua purezza è intatta, tanto era questo quello che vi premeva. Giusto, principe?>> Cercò con fatica di rimettersi dritto, non ci riuscì.
<< È quello che preme alla nazione intera, si, è quello che interessa ai sovrani e alla chiesa e si, è mio preciso dovere, da marito, preoccuparmene. >> Strinse i pugni.
<< Non siete ancora il marito.>> Sussurrò a denti stretti il ragazzo a terra, con una mano si stringeva il punto dolorante in cui aveva ricevuto il calcio.
<< Che hai detto?>> Chiese minaccioso il moro.
No, Luka non era ancora il marito e per il Dio, sperava di essere già sepolto e pieno di vermi che si cibavano dei suoi resti quando sarebbe accaduto.
<< Non siete ancora il marito.>> Lo ripeté di nuovo, con disprezzo e disapprovazione, con un tono più alto, per essere udito meglio.
<< È questione di settimane.>> Disse fiero tornando diritto con la schiena.
<< È un sacco di tempo.>> Sorrise forzatamente.
<< Almeno il mio non è un sogno irrealizzabile. Lei mi apparterrà per tutta la vita, sarà la mia sposa, la mia regina e, soprattutto, la mia donna.>>
Sembrò sputare veleno.
Al poveretto ribollì il sangue.
Poteva tenersi la futura regina, con tutta la stramaledetta corona, ma Marinette non sarebbe mai stata la sua donna.
<< Non è fantastico avere un sogno in comune?>> Chiese schernendolo con il sorriso.
Il principe sorrise scuotendo la testa, si avvicinò ad Adrien, piegò le ginocchia e, afferrandolo per i capelli, lo costrinse a guardarlo in volto.
<< Sapete qual'è il bello dei sogni? Che pur essendo gratuiti, non sono alla portata di tutti.>>
Lasciò la presa sul ragazzo in manette e si diresse a passo deciso fuori dalla cella.
Adrien, sdraiato a terra, dolorante, lo guardò rivolgersi ad una guardia e chiedere di riportarlo a palazzo.
Lo vide andare via, senza nemmeno girarsi a dargli l'ultima occhiata.
<< Tutto bene, figliolo?>>
<< Tranquillo, vecchio.>>
Non ebbe più risposta da quello che aveva scoperto essere il padre. Forse stava metabolizzando la situazione, forse stava cercando di credere davvero che la donna in questione era la principessa Marinette di Francia.
Si sforzò di mettersi seduto e poggiò la schiena al muro.
Il dolore alle costole era tanto da non riuscire ancora a respirare bene.
Per non parlare del sangue che sentiva colargli sulla faccia.
Quel maledetto damerino.
Lui e i suoi stupidi sogni.
Chiuse gli occhi, distese le gambe e rilassò le braccia, si costrinse a concentrarsi sul cercare di respirare regolarmente.
Si immaginò di stare sdraiato sul l'erba, con la schiena poggiata al salice, nel suo rifugio, dopo aver mangiato in fretta per poter correre a giocare con suo figlio.
Che emozione sarebbe stata vederlo fare le cose più semplici, come giocare a palla.
Al suo fianco lei, che gli diceva piano "amore mio, ti amo".
La neve dentro di lui si sarebbe sciolta come se esposta al sole, come si era sciolta in quei pomeriggi, con i loro libri lasciati sull'erba che aspettavano di essere letti, mentre lui le insegnava a fare l'amore, a sbocciare, come fiore eterno.

Ma la loro poesia era finita,il fiore aveva perso i petali e nessun'altra primavera sarebbe stata in grado di farlo fiorire di nuovo.
Infondo, non ce ne sarebbe mai neanche stata un'altra. Anche dopo il suo primo amore lo aveva creduto, per questo poi dalla vita aveva preso tutto quello che gli aveva dato. Solo compagnie occasionali.
Amare un'altra volta...
Neanche se l'avessero lasciato vivere.
Che poi, la sua, che vita sarebbe stata?
Passata a fare l'equilibrista, a cercare sfide sempre più alte, brividi sempre più pungenti e poi? Sarebbe morto ubriaco e fatto dentro qualche bordello nella Parigi nascosta. Magari a Montmartre.
<< La principessa eh?>> Chiese l'altro prigioniero.
<< No, Marinette.>> Sospirò.
Detestava che venisse riconosciuta solo come membro della famiglia reale. Lui non amava la principessa di Francia, non si era innamorato di lei per questo.
Lui amava Marinette, la dolce ma coraggiosa Marinette.
<< E bravo, un bell'amore impossibile. Hai mire alte.>> Scherzò l'altro.
<< Improbabile, non impossibile.>> Puntualizzò.
<< Cosa intendi dire?>> Si incuriosì tornando serio.
<< Che i sogni possono permetterseli in pochi, è vero, ma quello che ho vissuto io in quei giorni con quella donna, non potrà permetterselo nemmeno un principe.>>

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