37 Insegnamento

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Si sentiva la testa esplodere, il dolore lancinante che aveva provato era nulla in confronto alla goccia che, ormai da tutta la notte, gli cadeva in testa. Sembrava quasi scavargli un buco nel cranio. Si chiese se fosse come piangere dentro, con il cervello che faceva il bagno nelle lacrime e nel fango della sua storia.
Voleva sparire, si sentiva fiacco e triste. Voleva che finisse tutto e i modi, lo sapeva, erano due, o parlare o morire.
Era da quella notte, da quando l'aveva vista in casa con Luka, che voleva sparire, ma erano questi i momenti in cui si capisce chi è il campione, chi è l'eroe che esce fuori dopo aver subito dei colpi e lui ormai non contava più le volte in cui aveva parlato alla morte chiedendogli un bacio in fronte e fanculo a tutti quei damerini che vorrebbero vederlo impiccato, pieni di gioielli per valere qualcosa almeno esteriormente, lui non ne aveva bisogno, i suoi gioielli erano i volti di chi sorrideva quando veniva aiutato.
E fanculo anche al principe Luka, che gli stava tra i piedi. Si perché si era decretato custode dell'unica cosa che voleva davvero. Almeno lui, al contrario suo, Marinette l'aveva fatta donna.
Prima di lei c'erano stati altri desideri e sogni che non aveva potuto realizzare, cose che non aveva potuto avere, ecco forse perché aveva preso tutto il resto per gli altri come lui e ora, ogni riccone che passava, era una sua preda.
Viveva nei drammi ma se ne era fatto una ragione, ormai non gli importava più se la gente viveva o moriva nei suoi assalti, tanto ciò che era lui fu ucciso senza pudore e i suoi amici che se ne erano andati, sicuramente, stavano meglio di lui.
Possano riposare in pace.
Ma quale pace? Non esiste un solo posto nell'universo in cui stare in pace, nemmeno vicino al Cristo quelli come loro l'avrebbero trovata.
Era incatenato al suolo, senza il suo calore sembrava essere un fiore al freddo avvolto di brina.
Avrebbe pianto per ore e giorni interi promettendole di essere migliore, per farsi perdonare.
Si sentiva vuoto, ora più che mai avrebbe scommesso che aprendosi il petto non avrebbe trovato nulla.

E voleva tornare nella sua stanza a leggere le rime a cui era affezionato, voleva tornare a quando era libero di farsi di oppio senza preoccuparsi poi di trovarsi compagnia e finire nel suo letto, letto che nascondeva una lapide perché era lì che moriva ogni volta, tra paranoie e bugie raccontate a sé stesso. Per questo andava in giro con lo sguardo spento, lasciava il suo odio riversarsi sui ventri delle fanciulle soddisfatte, colmava il vuoto, una voce gli sussurrava all'orecchio che era depresso ma non ci credeva lui, assumeva droghe e alcool e si vomitava un po' di anima in giro per le strade di Parigi mentre si ripeteva che non poteva stare in questo male per sempre.
Poi era arrivata lei in quella piazza stracolma di gente, lei che gli aveva fatto sognare una casa nel verde della Provenza, una casa vista mare, con il vento che soffiava tra i suoi capelli e lei, che sulla scogliera, lo aspettava che tornasse dalla pesca.
Era come una pietra preziosa che brillava in un fondale marino.
Era svanita insieme a lei quella fantasia.
Che idiota era stato. Seguire un miraggio in un deserto arido. Cosa gli era saltato in mente?
Ecco l'amore a cosa lo aveva portato.
Urlò con quanto fiato aveva in gola, finché la voce non gli si fece roca, urlò disperato e sconfitto. Magari si sarebbe svuotato un po' di più dentro, magari avrebbe sentito meno dolore.
<<Che hai combinato per stare così?>>
Si ridestò sentendo la voce di un uomo che pareva quasi deriderlo.
<< A te che importa?>> Rispose senza dargli il beneficio di una parola gentile in un posto schifoso come quello.
<< Penso solo che faccia bene parlarne.>> La voce sembrò non deriderlo più dall'altra parte del muro.
Non rispose per almeno due minuti. Poi sospirò.

<< Te perché sei qui?>>
<< Ho ucciso un uomo di cui, a quanto pare, importava qualcosa a qualcuno, ma era solo feccia.>>
Sembrò amareggiato.
<< Di solito scegli quelli che non hanno affetti?>> Temeva la risposta ma si era posto in modo spavaldo e strafottente, quasi a sfotterlo.
<< Di solito non uccido. Te? Perché ti trattano così? >> Sembrò volersi sbrigare a cambiare argomento. Per qualche motivo non voleva essere lui quello esaminato.
<< Perché ho amato.>>
Chiuse gli occhi e una goccia gli cadde di nuovo sul cranio, con la stessa frequenza ormai da ore. Stava diventando un fastidio assordante nella testa. Ne sarebbe uscito matto.
<< Brutta colpa l'amore. Ti meriteresti di peggio.>>
<< Che fai, sfotti?>> Sbuffò Adrien.
<< Mi chiedevo chi diamine tu abbia amato per ridurti così.>> dalla voce traspariva curiosità e compassione.
<<Che ne sai come sto ridotto? Non puoi vedermi.>>
<< Ti ho sentito imprecare nella stanza delle torture, insultare addirittura un certo principe Luka e per aver fatto abbassare un principe a venire qui...gli hai fottuto la mammina?>> Ridacchiò lo sconosciuto.
<< Credo peggio, ma non voglio parlarne. >> Se solo avesse potuto avrebbe tanto voluto abbassare la testa, ma non poteva nemmeno voltarsi verso la finestra, il capo era tenuto fermo da un attrezzo rozzo per impedirgli di sfuggire alle gocce.
<< Che ti importa? Tanto stiamo per morire.>> disse con estrema non curanza delle sue stesse tristi parole.
Adrien lo aveva immaginato alzare le spalle con un sorriso amaro in volto.
Tutti i torti non li aveva, ma faceva terribilmente male parlarne. Rendeva la sua sconfitta più reale. Lei, davvero, c'era stata, era esistita, l'aveva avuta...e poi? Come aveva fatto a perderla con così tanta facilità?
<< Abitavo in un quartieraccio, ma poco importava perché tornavo a casa solo per dormire, non ho mai voluto avere un'istruzione perché odiavo quelli che l'avevano, mi piaceva andare in giro con la mia combriccola, combinavamo guai, facevamo a pugni, un disperato praticamente, ozziavo e buttavo il mio tempo. >> Lo sentì sospirare.
<< Perché me lo stai raccontando?>> Chiese Adrien.
<< Zitto e ascolta, sento dalla voce che sei un ragazzo, magari prima di morire posso insegnare qualcosa di utile a qualcuno.>>
<< Tu quanti anni hai?>> Chiese il biondo, ormai incuriosito.
<< Troppi, per non aver vissuto davvero, troppi pochi per poter morire.>> Ghignò, sperando di averlo confuso.
<< Non credo sia mai troppo tardi per vivere.>>
<<Abbiamo un animo romantico?>> Lo prese in giro.
<<Non dovevi insegnarmi qualcosa? Tanto qui di dormire non se ne parla.>> Disse stufo di essere deriso.
Passarono alcuni secondi di silenzio in cui, l'uomo aldilà del muro, cercò di prendere tutta la forza che aveva in corpo per iniziare il suo racconto.
<< Dicevo, ero un disgraziato senza futuro, poi, quasi come una manna dal cielo, un miracolo voluto da Dio solamente per me, arrivò lei. Una donna dalle sembianze di un angelo. Non era perfetta, ma lo era per me. Era bella, bionda, occhi verdi colore smeraldo, esile, con il viso spigoloso ma il carattere più dolce che abbia mai conosciuto. Me ne ero innamorato ancor prima di conoscere il suo profumo. Non so come ne perché ma lei ricambiava i miei sentimenti. Ci amammo, alla follia. Quell'amore mi consumò.
Scoprii che era promessa ad un nobiluomo ma che lei non lo avrebbe mai voluto sposare, amava me, voleva me. Puoi immaginare la gioia nel capire che lei preferiva un poveraccio come me ad un riccone?
Scappammo, ci nascondemmo per anni, abbiamo messo su famiglia ma...>> Si bloccò di colpo.
Adrien si domandò il perché, ma forse la risposta era nella voce rotta dell'uomo.
Anche se poco, si rivedeva in quella storia e non poteva fare a meno di notare che la fine era stata la stessa. L'angelo, il miracolo, tutte queste cose non potevano esistere per due come loro. In cosa avevano creduto? La speranza fa brutti scherzi.
<< Scusami, è difficile da qui in poi.>> Si giustificò.
<< Tranquillo, se non vuoi...>>
Una nuova goccia gli cadde sulla testa, si rese conto che, preso dal racconto, si era distratto talmente tanto da non aver pensato a quella tortura così insidiosa.
<< Almeno qualcuno deve sapere il bene che ho voluto e che voglio ancora a quei bambini. Mi sento un pezzo di sterco, ma non si può tornare indietro, avrei dovuto pensarci prima invece di rincorrere quella donna inutilmente.>>
<< Che significa rincorrerla? Non era tua moglie?>> Chiese confuso il più giovane.
<< Non ci siamo mai sposati, come potevamo da fuggitivi? >>
<< Sei qui perché vi hanno trovato?>> Adrien era sempre più incuriosito.
<< Hanno trovato lei, tornando dal mercato, l'hanno rapita, me l'hanno portata via e io non ho potuto fare nulla. Vidi la carrozza che se la portava via e la seguii, quando si fermò vidi uscire lei con due uomini, uno di questi era il promesso sposo. Mi avvicinai e lottai per lei che piangeva e mi pregava di portarla via. Fui allontanato e pestato, tenuto per quasi due anni in una cella. >>
Adrien udì un singhiozzo e gli si strinse il cuore. Si sorprese di averlo ancora.
<< I miei bambini...>>
Sembrava una lagna, una litania angosciante ripetuta tra i singhiozzi e i sussulti.
Era un uomo o un disgraziato quello oltre il muro?
Le gocce diminuivano, erano sempre più prolungate le pause tra una e l'altra e forse era per quello che il cervello aveva ricominciato a funzionare.
<< Come si chiamavano?>> Sussurrò indugiando sul voler realmente sapere la risposta.
<< Chi?>>
<< Come chi? I tuoi figli, cazzo. Come si chiamavano i tuoi figli?!>> Disse urlando spazientito e infastidito dal dover ripetere quella domanda così scomoda.
Appena lo percepì parlare chiuse gli occhi. Non sapeva cosa voleva di più. Se una conferma o una negazione. Pregava solo di non morire.
<< Il più grande si chiamava Adrien, la più piccola Rose.>> Disse senza fiato e senza indugio.
Già dal primo nome, il biondo, aveva sbarrato gli occhi.
E ora cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto?
Lui che aveva riversato odio sui suoi genitori, che li aveva cancellati dai suoi pensieri non credendoli degni.
Solo una domanda gli vorticava per la testa...
<< Dopo quei due anni cosa hai fatto? Perché non sei tornato da loro?>>
Da loro, dopo due anni erano ancora loro, Rose non era ancora morta e forse avrebbe potuto salvarsi. Se solo ci fosse stato almeno un genitore con loro.
<< Perché ho provato nuovamente a riprendermi il mio angelo, ma non era più la tessa, non mi voleva più, la vita piena di ricchezze aveva superato quella piena di amore.>> Disse amareggiato.
<< E non potevi rinunciare e tornare dai tuoi figli?!>> Chiese alterato.
<< Mi stai sgridando forse?>> Chiese perplesso.
<< Beh ti sto facendo notare che razza di pezzo di stronzo tu...>>
<< Ei! Stai esagerando ragazzino. Lo so già che merda sono stato. Ho rosicato, non c'ho visto più e ho ucciso l'uomo che me l'aveva portata via, ho cercato di scappare ma ecco com'è andata.>>
Disse sbrigativo.
<< E lei comunque non è tornata da te.>> Ha tenuto a sottolineare il ragazzo.
<< Mi ha guardato con odio.>> Abbassò il tono di voce.
Quello era il padre. Lui stava parlando con suo padre.
Doveva forse dirglielo?
Lo shock era forte, ma il rancore forse di più.
<< E cosa vorresti insegnarmi con questa storia?>> Chiese bramando ciò che un figlio dovrebbe avere sempre dal padre.
Forse quella sarebbe stata l'unica cosa che suo padre gli avrebbe lasciato nella vita.
<< Che l'amore non è la cosa più importante nella vita, la vita stessa è più importante, che annullarsi, perdere tutto, perdere se stessi, non ne vale mai la pena. Anche se credi che lei sia scesa dal cielo solo per te, anche se i suoi occhi fanno invidia alle stelle e il tuo cuore esplode per la meraviglia che vede in quel sorriso, no, non è mai così, non è mai per i poveracci. Non si campa di amore.>>
Avrebbe preferito qualcosa che gli desse più speranza di questo, soprattutto in questa notte, che sarebbe potuta essere l'ultima, vissuta senza Marinette.

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