40 Solo tenebre

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Era malconcio, ma la sofferenza più forte che provava veniva dal cuore.
Mentre raccontava la loro storia al vicino di cella, aveva sentito un vuoto scavarsi nel petto, una dolorosa sensazione di perdita che non sapeva spiegarsi. Cos'altro aveva da perdere?
Gli aveva raccontato di quando non riusciva a spiegarsi perché stesse ancora sveglio alle tre di mattina a pensarla, quando, i primi giorni, usava la sua mente come un foglio bianco da riempire con le immagini di colei che non aveva neanche un nome, la descriveva, ne decantava l'eleganza e scriveva tutti i luoghi in cui l'avrebbe voluta vedere felice, al suo fianco.
Gli disse di come non sapeva controllare il suo sorriso quando l'aveva dinnanzi, quando lei si raccontava tra quelle bancarelle, senza bisogno di parole, gli disse anche che contava i giorni prima di rivederla. Poi gli disse di quanto era stato bello averla sotto le lenzuola, i brividi sulla loro pelle che diventava una cosa sola, le sue labbra viola per il freddo in quella notte nel lago, la luna che li proteggeva e il sole che li nascondeva. Parlò delle tante promesse fatte, tante che non bastava una vita, della prima lite che aveva portato solo più amore e li avevano capito di appartenersi davvero, che erano raggi del sole, che pur allontanandosi non si sarebbero persi mai, neanche se fossero finiti in un posto sperduto, parlò di quando le aveva giurato che sarebbero andati lontano, anche se avrebbero dovuto affrontare un uragano, o la guerra stessa, non gli importava nulla delle conseguenze perché lei era la sua stella polare nel buio della notte, lei gli avrebbe sempre indicato la via.
E ancora, parlava del suo sguardo trasparente e sincero e di come ci si perdesse ogni volta, di come capiva anche le parole che non riusciva a dire, solamente guardandola in quegli occhi, che altro non erano che pezzi di cielo. Del suo cuore in gola e della sua incredulità in quello che stava accadendo nella sua vita, parlava come se fosse poetica nostalgia.
<< Avrei continuato a ripeterle per tutta la vita quanto potessi amarla e ammirarla e, sono certo, che se lei si guardasse come appare ai miei occhi, diventerebbe pazza a cercar di capire come posso provare amore per tutti quei suoi gesti e per la semplicità che vi trovo in ognuno di essi.>>
Tacquero di nuovo entrambi.
Adrien si chiese, invece, adesso cosa le avrebbe detto.
Guardò oltre le sbarre della finestra.
Cosa le avrebbe detto se avesse avuto la possibilità di dirle addio?
N

on potrò mai più dirti quanto ti amo, perché, lo sai amore, la vita è infame, è in salita e noi siamo senza forze. Non mi spiegherai mai perché sorrido sempre quanto mi sei davanti e non ti spiegherò perché continuerò a contare i giorni che ci separano, ne perché, nonostante tutto, ti sento qui con me.

<< Sono sicuro che non si dimenticherà mai di te.>>
Il biondo stava per rispondere ma il rumore di passi nel corridoio lo aveva incuriosito. Stava accadendo qualcosa di strano, tutte le guardie carcerarie erano state obbligate ad uscire, tranne una, quella che si era avvicinata alla cella del giovane innamorato.
<< Non so quale sia il tuo angelo custode, ma sta facendo un ottimo lavoro, disgraziato che non sei altro.>> Aprì la cella e si avvicinò ad Adrien che, spaesato e confuso, lo guardava cercando di capire se fosse o meno una presa in giro.
<< Cosa sta succedendo? Mi fate morire prima e più velocemente?>> Disse in tono ilare.
<< Non tirare troppo la corda ragazzino, o sono subito in tempo a dire che sei morto per le ferite ricevute nell'ultima sessione di interrogatorio.>> Lo prese per il braccio e lo trascinò fuori dalla cella.
Quando svoltarono l'angolo, Adrien si voltò verso la cella che rinchiudeva l'uomo con cui si era confidato in quei giorni.
I loro sguardi si incrociarono. Una stretta al cuore di entrambi si era fatta prepotente.
Avrebbe almeno voluto dirgli addio, anche senza fargli sapere chi fosse davvero.
<< No...Adrien...>> Sussurrò il più anziano con il tremolio del corpo che si rispecchiava nella voce.
Addio, padre.
Abbassò la testa e si lasciò portare in un' altra stanza, buia e totalmente vuota.
<< Ma che cazzo...>> Si guardò intorno.
Davvero sarebbe morto così?
<< C'è un messaggio per te, da parte del principe Luka.>> L'uomo in divisa gli passò un bigliettino piegato in più parti, ma in maniera ordinata.
Lo infastidiva anche questo.
"Te l'avevo detto che sarebbe stata mia."
La rabbia furente della gelosia lo pervase, strinse nel pugno il bigliettino, tanto da fare diventare le nocche bianche.
Come si permetteva di sfotterlo così?
<< Datti una ripulita, li c'è dell'acqua con una spugna.>> L'uomo lo trascinò al recipiente e lo fece spogliare completamente. Sbuffò notando che doveva aiutarlo per via delle manette che gli impossibilitavano molti movimenti.
Una volta pulito, lo fece rivestire con gli abiti che gli erano stati ordinati di portare. Tutto questo era ridicolo per lui. Andava bene liberarlo e concedergli la visita di una donna, ma ripulirlo così era davvero troppo.

La guardia lo lasciò solo e lui si accasciò a terra, tremante ancora di rabbia.

Doveva finire così, quindi?
L'avevano perfino pulito per renderlo presentabile durante l'esecuzione.
Avrebbe voluto parlarle, almeno un ultima volta, dell'amore che provava per lei, chiederle scusa per averla fatta sentire piccola e insignificante, inadatta e non abbastanza. Voleva dirle ancora una volta quanto amasse quel suo modo infantile e buffo di mettere il broncio quando la prendeva in giro per il suo modo di fare, da principessina, voleva farle sapere che non c'era nulla di sbagliato nell'amare, anche se l'amore spesso truffa, anche se si diventava ridicoli, bambini incapaci di comprendere strani sentimenti, si ha bisogno di risposte ai continui perché che ci si pongono e si è certi che sarebbe inutile esporli a chi è troppo adulto per giocare.

Voleva dirle che l'amore era solo amore, nulla di più, ed era per questa semplicità che rendeva felici e confusi, che ora aveva capito com'è che funzionava, che tornasse indietro non avrebbe gettato via il cuore in lenzuola sconosciute e non si sarebbe bevuto l'anima, che ad avere il coraggio, quello che viene in punto di morte, se ne sarebbe fregato del mondo e l'avrebbe portata lontano per vederlo andare a fondo, via dalla ferocia della vita e dalla monotonia che la stava uccidendo dentro quelle mura lussuose.
Lei era la forza capace di rialzarlo dopo una cruenta lotta contro se stesso, un diamante puro, il più puro che esiste, era una guerriera straordinaria perché non si era lasciata morire in quel mondo di etichette ed eleganti facciate, era l'incantevole tramonto che spariva dietro la collina di Montmartre e che si rifletteva nelle acque correnti della Senna, una roccia che non si era mai scalfita, lei era il fiatone che gli veniva quando scappava dalle guardie nel mezzo della notte, era la sua gioia più grande.
Voleva dirle che aveva messo da parte i suoi complessi per poterla guardare e vivere, per poterla amare e poter crescere insieme.
Lei, lei che aveva raccolto i resti dei suoi pezzi, pezzi di chi aveva visto la fame dei sentimenti, di chi aveva preteso qualcosa da corpi da cui non doveva aspettarsi niente, di quando voleva tutto senza avere rimorsi perché veniva dal basso e cosa poteva importargli di sporcarsi le mani con il sangue di quei maiali.
Ora lui stava per morire da solo, in una stanza vuota, senza aver potuto dare un ultimo saluto ai suoi affetti, al suo padre ritrovato e all'uomo che lo aveva cresciuto e sfamato in quella locanda. Ma forse questa era solo la conseguenza dell'aver superato i limiti per vivere il rischio, di un esistenza nel limbo, per essere vissuto senza i consigli di un padre.

Nella vita era sempre stato cosciente del fatto che l'ombra aveva bisogno del sole per esistere e che quindi in un anima l'oscurità e la luce dovevano essere equivalenti, non si può essere solo tenebre, ma lui di luce proprio non ne aveva, così aveva cercato lei, aveva cercato le sue mani per intrecciarle alle proprie e creare un'ombra che sarebbe stata la sua stessa essenza.
Quindi è così che sarebbe finita? Senza luce, senza ombre, solo tenebre.

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