26 Paradiso e inferno

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<< Ma cosa stai dicendo? Perché ti stai comportando così? È da quando sei arrivato che...>> poggiò la mano sulla sua spalla, ma lui si ritrasse, come se avesse preso la scossa e quel gesto fece interrompere il discorso della dama, rimasta senza parole.

<< Non siamo fatti per stare insieme.>> Si lasciò sfuggire.
<< Adrien...>>
<< Finiremo per farci male entrambi. Io ci lascerò la pelle e non solo io, voi perdereste anche di più e poi io non vi merito.>> Si voltò velocemente verso di lei, non sapeva le fosse così vicino da farle perdere l'equilibrio, riuscì comunque ad afferrarle il braccio per non farla indietreggiare.
Si guardarono negli occhi, quelli confusi e spauriti di lei erano difficili da guardare, avrebbe voluto le si illuminassero di gioia, sempre.
Per la principessa, quelli risoluti di lui, erano anche peggio. Le stava dicendo addio.
<< Cos'è successo oggi in città?>> Chiese seriamente lei.
Lo aveva capito che c'era qualcosa di molto peggio sotto. Solo a guardarlo. Lui non poteva nasconderle nulla.
<< Juleka sta peggiorando e quello che faccio non basta. Non basta mai!>> Si scostò da Marinette e, nell'impeto della disperazione, diede un cazzotto al tronco.
<< È la bambina di cui mi hai parlato, vero?>> Cercò di avvicinarsi ancora.
<< Si. Devo fare di più e...>> Aveva lo sguardo basso mentre digrignava i denti.
<< Non potete farlo se io sono qui, siete più a rischio, tutti voi. Poi siete impegnati con i turni di guardia.>> Sussurrò lei, capendo la situazione.
<< Già.>> Disse rassegnato.
Era grato che fosse riuscita a capire, lui non sarebbe riuscito a dirglielo chiaramente.
<< È per questo che ti sei ubriacato prima di tornare? Che hai trattato così quel ragazzo? Sei stato un vero...stronzo.>>
Sorrise beffardo e un poco divertito, ma sempre a testa bassa e con il pugno ancora assestato all'albero.
<< Che parole sono, principessa?>>
<< Rispondimi.>>
<< Kim ha una brutta influenza su di voi.>> Usò un tono più arrogante.
<< Rispondimi!>> Gridò spazientita.
Adrien si fece pietra davanti a tutta quella determinazione.
<< Si. No, ero solo geloso e non mi sentivo in diritto di esserlo. È frustrante.>> Disse serio.
<< Perché non ne sei in diritto?>>
<< Sul serio me lo state chiedendo?>> Si voltò a guardarla, con il sopracciglio alzato e il solito sorriso che gli alzava solo un angolo della bocca. Un sorriso di scherno che usava l'arroganza come scudo. Si staccò dal tronco.
<< Si.>>
<< Non dovreste. Vi sto dicendo che vi riporterò a palazzo prima che finisca la settimana, che sto per lasciarvi nelle mani di un altro uomo, che vi era già stato promesso, quindi voi non siete mai stata mia, nemmeno una volta, e mai lo sarete. Come potete chiedermi perché non mi sento in diritto di provare gelosia? >> incrociò le braccia al petto.
<< C'è altro, non è vero?>> La voce stava iniziando a tremare. Temeva che quel "si sono fatte trovare", fosse qualcosa di più.
Ma come faceva lei a leggergli dentro?
Abbassò nuovamente lo sguardo, colpevole. Fu quel gesto a riempire di lacrime gli occhi di lei e di angoscia il cuore.
<< Dimmelo!>> urlò, la voce ancora più forzatamente sicura.
<< Quando sono arrivato in stanza loro erano lì.>> fu un bisbiglio. Si vergognava tremendamente.
Poi decise, se tanto le avrebbe dovuto fare del male, lo avrebbe fatto bene. Lei l'avrebbe odiato. Se ne sarebbe andata con gioia da quella radura, non avrebbe aspettato un solo istante in più in sua compagnia e avrebbe provato felicità nel lasciarsi andare tra le braccia di una brava persona come il principe Luka. Si sarebbe sposata, convinta di non poter avere di meglio.
<< Erano entrambe nude sul mio letto e io potrei dare benissimo la colpa all'alcol, è vero, e magari voi potreste anche perdonarmi, ma non avevo bevuto tanto da non poter ragionare.>> Tenne la testa bassa.
<< Tutte...e...due?>> Era incredula.
Adrien strinse i pugni. La voce di lei era così triste. Si sentiva l'inganno, la realizzazione di un sogno infranto, il tradimento. Disillusa. Lui si sentiva solo un ignobile mostro.
Avrebbe dovuto fare un ultimo sforzo.
Alzò gli occhi verso di lei e sorrise ancora, con quel sorriso odioso.
Si stava odiando, vederla ridotta così, solo per causa sua.
<< Vi interessa sapere come si fa una cosa a tre, principessa?>>
Non fu poi molto sorpreso di ricevere uno schiaffo che gli fece di nuovo portare la testa inclinata di lato. La guardò con la coda dell'occhio.
<< Siete...mi fate schifo.>>
Le schegge di una voce rotta dal pianto gli trafissero il cuore.
La vide correre via e il suo istinto gli fece allungare la mano ma si bloccò per lasciarla andare. Strinse il pugno.
Era di nuovo tornata a parlargli formalmente.
<< Vi sto implorando di lasciarmi andare. Dovete uscire dalla mia testa, dalla mia vita.>> Sussurrò accasciandosi con la schiena al tronco.

Si sentivano legati, l'uno all'altra, stretti da delle catene d'acciaio che all'inizio non credevano potessero far male. Il problema era che, quando stavano insieme, le catene non stringevano tanto, stavano bene, ma appena si allontanavano la morsa aumentava, tanto da sembrare un boa pronto a divorarli.
Lei si sentiva mancare il fiato, la stretta al petto era tale, per via della lontananza dei suoi occhi da cui non poteva più rubare ossigeno, da non respirare. Si perdeva, lui si perdeva tra le pagine del suo dolore, si chiudeva in se stesso e non permetteva nemmeno a lei di venirne a capo. Allora cosa avrebbe dovuto fare? Lui si teneva tutto dentro e si sfogava bevendo e facendo sesso. Cosa poteva fare lei? Adrien aveva vissuto così per anni, come poteva cambiarlo lei? Come poteva sperare che lui fosse cambiato per lei?
Alla fine era sprofondata con lui.

Adrien invece avrebbe voluto ricominciare tutto da capo. Non rapirla, non corteggiarla su quella fontana dannata, non vederla tra i fiori colorati e tra le bancarelle rese belle solo dalla sua presenza. Niente più venerdì mattina.
Solo scopate e lenzuola bagnate.
Ma chiudeva gli occhi e vedeva il viso di lei che segnava la loro fine con quell'espressione infelice e gli sembrava di soffocare.
Si ricordò una vecchia storia raccontata da un mercante cinese, venuto a Parigi per far conoscere le sue stoffe, si ricordò di quella rossa che lo aveva attirato, un bellissimo punto di rosso. Allora il vecchio gli aveva detto che quel rosso era lo stesso rosso del filo del destino. Ovviamente lui aveva chiesto di più e rimase incantato da quella storia.
Il filo rosso del destino lega, fin dalla nascita, due persone destinate a stare insieme, "le anime gemelle" le aveva chiamate lui. Ma quel filo invece di essere legato al mignolo della mano sinistra, ora se lo sentiva stretto al collo, come se lei lo stesse strattonando per ricordargli che c'è, che esiste, che è lei la sua anima gemella e che stava andando via.

Si sentiva come quelle volte in cui aveva provato quella nuova droga, ne avevano parlato in molti, anche studiosi e neurologi e la chiamavano "sostanza miracolosa". A lui quella merda l'aveva solo mandato in paranoia. Proprio come adesso.
Era un purgatorio. Tutta la sua vita era un eterno e sciocco purgatorio.
Non sarebbe mai stato felice, ma non poteva nemmeno permettersi di essere triste e si chiedeva se non fosse questa la vera tristezza. La sua maledizione. Almeno una volta all'inferno potevi dirti morto, magari neanche il cuore avrebbe fatto più male, l'anima neanche a dannarsi l'avrebbe riscattata. Era costretto a vivere tra paradiso e inferno, a bruciare sperando di stare tra le sue braccia, ma annegando tra le sue lacrime. Il tempo gli passava così e perdeva ogni senso.
E lei poteva portarlo via? Poteva portarlo di nuovo in paradiso? Come un angelo, come la sua donna angelicata.

Marinette sapeva che nel suo cuore c'erano i cancelli, sapeva che si sarebbe dovuta fare trovare pronta per un offesa così grande come il tradimento, non doveva sorprendersi, anche lui l'aveva messa in guardia, tutte quelle notti passate a parlare di loro. Quante volte le aveva detto che il suo cuore era gelido e che sperava in lei per scaldarlo? Che si sentiva come quando nevicava a Parigi e lei, sciocca, lei aveva risposto che Parigi sotto la neve è uno spettacolo per pochi.
Si chiese perché bere tanto lo aiutava. Come poteva qualcosa di tanto vile far passare l'amore? L'avrebbe dimenticato anche lei bevendo? E il dolore? Passava anche quello?
L'amore...
L'aveva sempre visto come l'antidoto contro il veleno del dolore. E se fosse stato il contrario questa volta?
Se avesse saputo coltivare l'odio e il rancore verso di lui, poteva superarlo l'amore? Il dolore sarebbe divenuto antidoto.
Ma non lo avrebbe mai superato.
Ormai il suo cuore era in pezzi. Di vetro. Rispecchiava tutte le bugie e le faceva arrivare nella testa, rischiarandola dalle nubi di assuefazione.
Loro due non potevano stare insieme, erano troppo diversi ed entrambi avevano delle priorità al di sopra di loro. Si sentiva come chi arriva sempre in finale, ma non vince mai.
Si sarebbero pentiti delle loro scelte?
Insieme era il paradiso, separati era l'inferno. Lei sarebbe dovuta imparare a vivere in una via di mezzo, senza destare sospetti, senza far capire che le fiamme dell'inferno le conosceva adesso.

Chat NoirWhere stories live. Discover now