35 Gelosia

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Lei era lì, affacciata a quello che , probabilmente, era il balcone della sua stanza, l'aveva guardato salire sulla carrozza che lo stava portando nella sua nuova prigione.
Guardò fuori dalle sbarre, la luna era nelle ultime fasi del suo ciclo.
Erano notti che non si soffermava a guardarla, troppo perso nella bellezza della sua amata, ma ora che lei non c'era il buio era tornato a fargli paura e lui cercava di nuovo la flebile luce della luna. Un'assenza incurabile.
Anche la luna era fragile come loro, o lei se ne fregava delle lacrime e delle pupille pallide per le troppe ore passate a non dormire e a contare quelle che li avevano divisi?
Che poi a chi importava quanto distavano i suoi occhi se i loro sguardi, persi nel vento tra un balcone e la loggia, si erano uniti?
Poteva ancora chiedere aiuto alla luna? Dopo che l'aveva insultata in notti da innamorato solitario, ora era qui a chiederle di far sapere alla principessa che il suo sorriso era il suo stesso, a dirle di proteggerla, lei che poteva, perché sicuramente anche potendo Marinette non lo avrebbe più voluto al suo fianco, lei che brilla già da se, brilla più della luna stessa, candida come un vestito bianco.
La luna lo sapeva, non sarebbe mai stato capace di dirle addio, lui vestito di cupa tristezza, vestito di nero, troppo perso nelle sue poesie e nella sua vita da romanzo, troppo perso tra i suoi desideri che, dentro di sé, non lo lasciavano sereno mai. Ma, infondo, non erano i celi tormentati ad ospitare i migliori arcobaleni?
Per questo, almeno con la luna in quelle notti, non avrebbe dimostrato di essere forte, nessuna poesia l'avrebbe comunque salvato se la sua principessa non c'era. Avrebbe parlato con il firmamento raccontando le sue paure e le sue angoscie, avrebbe sprigionato la sofferenza che, agli occhi dei torturatori, non avrebbe mai fatto trapelare e avrebbe urlato il dolore che non avrebbe mai fatto udire ad alcune orecchie.
La luce sa essere oscura se ci si concentra solo sulle ombre che sprigiona. Forse era per questo che aveva vissuto sempre in maniera così cupa.
Lei poteva essere il suo sole, anche a mezzanotte.
Dirle addio era stato come strappare i fogli dove avevano scritto di loro in quei giorni felici, i ricordi lo divoravano, erano pensieri fissi.
Aveva solo perso tempo cercando di aiutare chi ne aveva bisogno, non aveva concluso nulla.
Era stato solo tempo perso perché ora aveva perso tutto e non ne trovava il senso.
Lei era diversa, era il suo riflesso e si chiedeva se quindi sentisse dentro il suo stesso vuoto immenso.
Forse però il suo vuoto era dissimile da quello della principessa, forse era più profondo, con radici ben ancorate alla sua anima di fanciullo.
Avrebbe voluto tanto avere per un'ultima volta la madre davanti agli occhi e chiederle se andare via sia servito ad andare via davvero, se pensava a ciò che aveva lasciato, se i pensieri si erano lasciati dividere dai chilometri, se la preoccupazione le aveva mai attanagliato lo stomaco impedendole di dormire.
Rose, anche lei era in quel vuoto, quando guardava il mondo intorno a lei con sguardo sincero, quando si asciugava le lacrime dopo aver udito lui dirle che non sarebbero mai stati troppo lontani dai genitori se alla stessa distanza dal cielo.
<< Siamo arrivati, fatelo scendere.>>
Sospirò preparandosi al suo nuovo domicilio. Ci sarebbe stata almeno una finestra?
Venne strattonato fuori dal mezzo e scortato con poca delicatezza all'interno della bastiglia.
Gli elmi dei soldati gli ricordavano la maschera di Marinette quando, su quella fontana, manteneva le distanze, con solo gli occhi scoperti, occhi che la tradivano, e lui che imparava a leggere i suoi sguardi attraverso gli effetti che gli facevano, conosceva anche il sapore dei suoi silenzi.
E anche se i fogli della loro storia erano stati strappati, lui ricordava a memoria ogni singola parola di quei maledetti versi.
Salì diversi gradini, i polsi dolevano a causa delle manette troppo strette, la ferita alla gamba ogni tanto gli ricordava con prepotenza di esserci e lo costringeva ad arrancare zoppicando.
I passaggi erano stretti e cupi, il mattonato ormai rovinato delle pareti si riversava a terra in polvere stantia.
Passava davanti alla celle e tutte emanavano un pessimo odore, pregava che nessuna di quelle fosse la sua, ma quando capì che non l'avrebbe scoperta a breve lo stomaco gli si riversò e la paura iniziò a mangiargli le pareti.
L'avrebbero fatto parlare subito.
No, non importa quello che gli avrebbero fatto, lui non avrebbe parlato mai.
<< E ora ci divertiamo, topo di fogna.>>
Li vide ghignare mentre lo sbattevano nella stanza piena solo di oggetti che potevano procurare dolore e pensò che, forse, aveva aiutato la loro famiglia senza saperlo, o magari nell'orfanotrofio c'era un bambino che non avevano potuto o voluto tenere.
Vada come vada. Si ripetè sospirando ad occhi chiusi mentre legavano mani e piedi su un tavolo in legno.

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Non si fermava un attimo, non riusciva a darsi pace. Camminava senza sosta da un angolo all'altro della sala dove erano soliti riunirsi per mangiare.
Com'era potuto accadere?
Due amici morti e Adrien chiuso chissà dove che aspettava di morire.
E tutto per colpa di un amore improbabile. Se lo avesse saputo prima non gli avrebbe mai concesso tutto questo tempo.
<< Nino, io...>>
<< Zitta Chloé, tu hai già fatto abbastanza.>> La rimproverò guardandola con rancore.
<< Che altro potevo fare? Ho avuto paura e...>> Cercò di giustificarsi.
<< Non ti credo Chloé, tu sei solo andata fuori di testa come una sciocca gallina perché hai saputo della conversazione tra tuo padre e Adrien! Ci hai condannati tutti, per la tua insensata gelosia.>> Il ragazzo alzò ancora di più il tono di voce.
La bionda abbassò la testa e con la mente tornò a quegli attimi. Un soldato tenevano il padre per il colletto della maglia mentre un altro teneva la madre per i capelli. Urlavano chiedendo dove fosse il ragazzo biondo che alloggiava nella stanza con il mantello nero, il signor Bourgeois aveva insistito dicendo che non sapeva nulla di quel giovane, fino a che un uomo in divisa non aveva minacciato di prendere la figlia più grande e svelando di aver saputo, "da fonti certe" , che quel ragazzo aveva un buon rapporto con tutta la famiglia e che aveva confessato al locandiere di essere andato a dichiarare il suo amore.
A quelle parole, la mente di Chloé aveva fatto un cambiamento radicale nei pensieri. Lui amava un'altra e, magari, mentre loro erano qui a rischiare la vita per lui, Adrien era in dolce compagnia a godersi il suo amore. E allora lei? Lui non era nemmeno qui per salvarli. Ingrato e stupido. Traditore. Lei non avrebbe rischiato di veder morire un genitore e la sorella, non avrebbe rischiato di subire violenza.
Così parlò del rifugio.
<< Non ha senso urlarle contro adesso. Dobbiamo concentrarci e decidere cosa fare. Adrien sarà sicuramente alla Bastiglia.>> Intervenne, mettendosi tra i due, Max.
La porta in legno si aprì facendo un rumoraccio che costrinse tutti a girarsi verso di essa, ma non appena Nino vide la ragazza si precipitò ad abbracciarla.
<< Alya! >> La strinse forte.
<< Oh Nino, come stai? >> Si allontanò di poco per guardarlo bene in viso.
<< Angosciato, mia cara, addolorato. Te come stai? Hai qualche nuova importante?>>
Alya si scostò dal ragazzo e si mise seduta su di una sedia vicino al gruppo intento a cercare una qualsiasi soluzione.
<< Questa notte l'hanno portato alla Bastiglia. Lo tortureranno per sapere se e quanti complici ha. Marinette è devastata, si sente tremendamente in colpa.>> Sospirò triste.
<< E deve. Le avevo detto di non impicciarsi, di non dare retta alle lusinghe di Adrien, l'avevo avvertita che sarebbero stati solo guai!>> si portò le mani tra i capelli e li scompigliò.
<< Non essere così cattivo, Nino. Quando l'amore arriva ti colpisce e basta. Come puoi resistervi?>> Lo ammonì ma con sguardo tenero.
<< Ma lui aveva già il cuore impegnato! Questo non mi spiego io.>> Sbuffò.
<< Era lei, Nino, la donna del mercato era lei.>>
Tutti rimasero stupiti ed il silenzio fu interrotto solamente da un ennesima entrata. Questa volta era il locandiere.
<< Mi dispiace interrompervi, questo posto non è più sicuro per voi, non potete trattenervi a lungo.>>

~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~

Lila era seduta sulla poltrona che aveva in camera da letto, poltrona che ne aveva viste di belle quando era in compagnia di Adrien.
Sospirò prima di ricominciare a torturarsi l'unghia del pollice.
Non lo vedeva da giorni, ne aveva sentito la mancanza e l'assenza opprimente, poi aveva visto i corpi dei due ragazzi che erano soliti operare con lui. Ma lui dov'era?
Così era corsa nella locanda dei Bourgeois a chiedere spiegazioni e si sentì dire ciò che proprio non avrebbe mai voluto udire.
E tutta questa malinconia ora cos'era? Era forse solo nostalgia di sere passate che, probabilmente, non sarebbero più tornate, di attimi ormai scomparsi.
Ricordava la gelosia di quando lui le diceva di quanto Chloé fosse cresciuta e diventata carina, quando la sua paura di non poter mai essere l'unica si era fatta più prepotente.
Che emozioni assurde, la sensazione di fastidio nel doverlo condividere e la paura nel scoprire che lui già da un pezzo l'aveva abbandonata.
Cercò nei ricordi un gesto, una parola, un solo istante in cui lui era stato suo, suo davvero. Ma era solo un illusione, era solo passione che l'aveva portata fuori dalla ragione.
No, non era amore, era solo la nostalgia di attimi belli e spensierati, era la malinconia di una compagnia insostituibile, quella che la attanagliava tutte le sere, era la gelosia di un qualcosa che le apparteneva, quello a cui lei voleva o aveva bisogno di appartenere.
Lui non era mai stato suo.
Sbuffò e si alzò velocemente dalla seduta.
Si diede una sistemata al vestito e ai capelli guardandosi allo specchio ed uscì dalla stanza.
Come avrebbe detto alla sorella che il suo amato principe Adrien non sarebbe più andato a trovarla?

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