Capitolo 31

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A bordo del bus delle 13:40 che mi stava riportando verso quella che, ancora per poco, sarebbe stata la mia casa, pregavo che il tragitto non finisse mai: sapevo che avrei dovuto raccogliere in me tutto il coraggio necessario a confessare a Tancredi il mio imminente trasferimento temporaneo nella bella Roma.

Nonostante la mia grande ammirazione nei confronti dei resti dell'architettura di una Roma antica e il mio forte desiderio di rivisitarla da cima a fondo, ero enormemente spaventata dall'idea di allontanarmi dalla mia città, dalle persone, dai momenti impressi in ogni centimetro di cemento di quelle che, fino a quel momento, erano state le mie strade. Ma, con un'intensità ancora maggiore, mi terrorizzava la consapevolezza che, di lì a poco, mi sarei trovata a 346.6km di distanza dal mio grande sogno d'amore, iniziato da troppo poco tempo per essere già giunto a un'ipotetica fine.
Era forse affrettato e imprudente l'accenno della morte della nostra relazione ma, dopotutto, non sapevo nemmeno quanto tempo avrei dovuto trascorrere lontano da tutto ciò ch'era in grado di farmi battere il cuore; avrei potuto assentarmi per qualche giorno, settimana, mese o persino qualche anno: come avrei potuto pensare di riuscire a portare avanti una relazione stabile e duratura?

Mi strinsi nella felpa che avvolgeva il mio corpo quando, scendendo dall'autobus alla fermata più vicina a casa mia, una folata di vento penetró nel mio corpo fino a raggiungere le ossa, scompigliandomi i capelli in un tornado di ricci spettinati di uno chignon ormai distrutto.
Raggiunsi l'ingresso il più velocemente possibile, rallentata dalle mie gambe tremanti e indebolite dall'eccessiva bassa temperatura; girai la chiave all'interno della serratura e mi fiondai ad accendere la stufa dopo essermi chiusa la porta alle spalle.
Presi qualche istante per riscaldare la mia pelle, che aveva ormai assunto un colorito ancora più pallido di quanto già non fosse, mentre la mia mente tentava di incastrare le parole di un discorso troppo duro da ammettere a voce alta.

Ora o mai più, dissi tra me e me allo scopo di infondermi un coraggio che, tuttavia, sapevo di non avere: sarei sicuramente crollata sotto il suo udito nel pronunciare quelle parole, ma continuare a ritardare la chiamata non faceva altro che aumentare il mio senso di smarrimento e irrequietezza.

"Piccola! Come stai?" Rispose Tanc, con voce acuta e allegra, dopo un paio di squilli.
Sentirlo così felice e spensierato mi riempiva il cuore il gioia, graffiando la mia anima consapevole che le mie imminenti parole l'avrebbero distrutto quanto me.
"Hei! Sto...non lo so. Non credo bene, insomma. Ho bisogno di parlarti.".
"Piccola, che succede?" Domandó in tono preoccupato.
"Ascolta, Tanc, io..." Feci una pausa sentendo le parole bloccarsi in gola, incastrate tra corde vocali troppo deboli per ammettere una dichiarazione così grande.
"Devo trasferirmi per un po' di tempo a Roma." Dissi velocemente e tutto d'un fiato, come se minimizzare i tempi potesse infliggermi meno dolore.
Dall'altro capo del telefono non ricevetti alcuna risposta: un silenzio di meditazione regnava nella linea telefonica che ci univa in quel momento, aumentando maggiormente il mio senso di vuoto e pesantezza.
"Tanc..." Iniziai, ma venni interrotta dalla percezione di un singhiozzo soffocato proveniente dalle sue labbra.
"Avrei preferito parlartene di persona, ma non potevo aspettare il fine settimana. Sarebbe stato troppo tardi." Dissi debolmente.

La mia voce pareva scheggiarsi a ogni parola pronunciata, colpendo il mio cuore con cocci taglienti e dolorosi.
"Quando partirai?" Domandó tra le lacrime.
"Domenica mattina.".
"Ho bisogno di viverti finchè potró averti tra le mie braccia. Ti prego, piccola, vieni qui e stai da noi per qualche giorno." Mi supplicó.
"Non posso, Tanc. Ho la scuola e gli studi da portare avanti finchè ne ho la possibilità. Potrei perdere l'anno per le assenze che faró mentre saró a Roma, devo dare il meglio di me almeno in questi ultimi giorni.".
"Non posso pensare di perderti ora, Sof. Non voglio andare avanti senza nemmeno sapere se mai ti rivedró.".

Sentii il suo pianto incrementarsi dall'altro capo del telefono, mi si strinse il cuore. Portai una mano a coprirmi il viso mentre le lacrime disegnavano solchi di disperazione sulle mie guance colorate di mascara: nemmeno io riuscivo a credere che, dopo aver trovato la felicità, era già arrivato il momento di allontanarmi mandando tutto all'aria, ma cos'avrei potuto fare? Non potevo certo portarlo con me a Roma, e neppure restare lì, nella mia città, con il terrificante pensiero di mamma catapultata, da sola, in una città tutta nuova e lontana da me.
Ero davvero arrivata al punto più basso della mia vita e tutto ciò che mi restava da fare era impartirmi il coraggio di affrontare questo grande ostacolo che aveva deciso di rovinare l'unica cosa bella che mi fosse mai capitata; in fin dei conti, il sentimento che legava me e Tanc era qualcosa di forte e profondo ma soprattutto vero, perciò nonostante la situazione saremmo riusciti a restare uniti. O almeno era quello che speravo.

"Quanto tempo dovrai stare là?" La sua voce tremava.
"Non lo so. Potrebbero essere giorni, settimane, mesi, oppure...".
"Oppure anni, non è così?".
"Tanc...".
"No, Sofia. Non posso permetterti di fuggire lontano da me per una durata così dannatamente indeterminata e lunga. Non voglio stare senza di te, piccola. Ti prego.".
Restai in silenzio incerta sul da farsi: come avrei dovuto comportarmi? Cos'avrei potuto fare per tranquillizzarlo e tentare di fargli capire la situazione?

Non c'era alcuna soluzione che avrebbe potuto rendere le cose meno dolorose: nonostante la consapevolezza che non sarebbe mai stato un addio, l'allontanamento dalla persona che si era ormai guadagnata il posto più importante nel mio cuore faceva inevitabilmente male, affibiando a entrambi un forte senso di vuoto, di smarrimento.

"Ti prometto che torneró, che riusciremo a vederci, che non ci perderemo." Tentai di dire, ma la mia vice uscì quasi come un sussurro insicuro, dominato dal timore di non poter più essere abbastanza per lui data l'enorme lontananza.

Fu in quel momento che la mia mente venne pervasa dai pensieri più tetri e distruttivi di sempre: cosa ne sarebbe stato di noi? Come avrei potuto stringerlo e fargli capire che ci sarei sempre stata? Come avrei potuto farlo star bene, farlo sorridere per poi perdermi a guardarlo con l'aria incantata di chi ha già ben chiaro cosa vuole nella sua vita? Si, avremmo potuto vederci in videochiamata, sentirci per messaggio, guardare le stelle brillare nello stesso cielo e sognare lo stesso universo, ma saremmo riusciti a riscaldare i nostri cuori con la complicità di due anime vicine ma così lontane?

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Buongiorno! Come state? Spero bene!
Vedo che i commenti sotto i miei capitoli stanno aumentando e questo mi riempie davvero il cuore di gioia. Sono felice che le mie parole vi stiano piacendo così tanto. Un bacione😘

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliWhere stories live. Discover now