Capitolo 58

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"Mamma!" Gridai gettandomi a capofitto tra le sue braccia aperte, pronte ad accogliermi come sempre aveva fatto, a proteggermi da tutto ciò che non andava.
"Ciao, tesoro! Come stai?" Domandó accarezzandomi lentamente i capelli e lasciandomi piccoli baci sulla testa. Deglutii a fatica mentre i miei occhi riacquisirono la lucidità di qualche piccola lacrima. Mamma era ancora totalmente ignara del motivo per cui avessi preso la decisione tanto affrettata di catapultarmi nuovamente a Roma, senza Tancredi, senza Edoardo. Non aveva idea di cosa fosse accaduto la sera precedente, e io non ero minimamente intenzionata a raccontarglielo, almeno non in quel momento.
Nonostante Tancredi mi avesse profondamente ferita, non avrei mai voluto screditarlo e sminuirlo davanti alla donna che si era affezionata così tanto a lui, tanto da permettermi di seguirlo a Milano fin dai primi tempi che diedero inizio alla nostra conoscenza.

"Sto bene. Tu?" Mentii forzando un sorriso storto, asciugando la lacrima sulla mia guancia prima che potesse vederla.
"Certo, va tutto a meraviglia!" Mi informó con lo sguardo che luccicava di gioia.
Mi fa piacere, almeno tu stai bene, pensai proiettando i miei occhi sul pavimento in parquet del salotto.
"Edoardo? e Tancredi? Dove sono? Come mai sei sola?". Mi irrigidii. Era sorprendente mia madre: tra tutte le possibili domande che avrebbe potuto pormi, sceglieva sempre esattamente quella che avrebbe dovuto evitare. Mi schiarii la voce prendendomi qualche istante per inventare una giustificazione che fosse plausibile e verosimile, che non le facesse sorgere alcun sospetto.
"Ehm...ecco...Edo è rimasto con Rosalba, sai, la sua fidanzata." La informai sorridendo. Lei annuì, spronandomi a proseguire. Certo, voleva bene a Edoardo, ma sapevo bene che l'argomento Tancredi la interessava maggiormente: non che non fossi abbastanza credibile, ma una mamma è sempre una mamma. Ci avrei messo la mano sul fuoco: nonostante il mio tentativo di mantenere una compostezza degna di chi non sta cercando di nascondere nulla, mamma aveva già pienamente compreso che la situazione non era proprio rose e fiori come volevo farle credere, bensì era un tale uragano che stava lentamente spazzando via ogni piccolo raggio di Sole rimasto ancora in vita.
"E Tancredi?".
"Tancredi, ecco....aveva un raduno! Sì, un...un raduno con le fan, perciò è dovuto restare a Milano." Improvvisai con voce chiaramente poco convinta.

Odiavo mentire a mia madre, era una cosa che non facevo mai. Sapevo bene che lei sarebbe riuscita a capirmi, ad aiutarmi e, magari, a sollevarmi il morale, ma in quel momento proprio non me la sentivo di parlare dell'accaduto. Ancora non ero riuscita ad accettarlo, avevo paura ad ammettere a me stessa che, purtroppo, era successo, che non si poteva cancellare o ignorare come se nulla fosse, figuriamoci se avrei potuto riuscire a parlarne!

"Vado a sistemare le mie cose, ok?" Dissi sentendo il magone comprimermi nuovamente la gola sull'orlo del pianto.
"Certo." Rispose lei, comprensiva come sempre. La guardai dritto negli occhi, uno sguardo fugace quasi impercettibile, ma mi bastó poco per capire che quella donna meravigliosa aveva già colto pienamente ciò che tormentava la mia mente.
"Ah, tesoro." Mi richiamó mentre ero intenta a trascinare il mio borsone sulle scale, diretta verso quella ch'era stata la mia camera da letto e che, dal quel giorno in poi, sarebbe tornata a esserlo.
"Si?" Mi voltai con il timore che stesse per formularmi altre domande riguardo a Tancredi.
"Stasera avremo dei colleghi a cena. Non ti dispiace, vero?".

Devo dire che nello stato confusionale ed estremamente distrutto in cui mi trovavo, il pensiero di essere circondata da persone, per giunta sconosciute, calzava a pennello come cornice del quadro della più profonda esasperazione. Ma come potevo rifiutare? In fin dei conti, non avrei nemmeno dovuto trovarmi in quella casa, io. Non in quel momento o, per lo meno, non da sola.
"No, certo che no. Va bene." Forzai un sorriso tirato prima di proseguire fino a terminare la rampa di scale.
Un brivido percorse tutta la mia schiena, scaturendo dal collo fino a morire all'altezza delle ginocchia, quando feci capolino dalla porta della mia vecchia stanza. Gettai svogliatamente il borsone a terra prima di lasciarmi scivolare sul letto a peso morto, schiacciando il viso sul morbido cuscino che ancora racchiudeva il dolce profumo di lavanda.
Istintivamente, ma senza alcuna particolare speranza, afferrai il cellulare con mani tremanti: non so esattamente cosa pensavo di trovarci, forse la presenza di una notifica contrassegnata dal suo nome, forse, invece, l'assenza di essa.

Scorrevo i vari messaggi lentamente, dandomi il tempo di poter leggere almeno i nomi delle persone che avevano sprecato una piccolissima parte del loro tempo per assicurarsi che io stessi bene e avessi raggiunto Roma sana, salva e, forse, mentalmente stabile.
Lele, Marta, Elisa e Ros avevano riempito lo schermo del mio cellulare di bellissime parole che, nonostante fossero solo tali, riuscirono meravigliosamente a strapparmi un sorriso sincero tra quelle lacrime ormai troppo opprimenti; mi avevano inviato anche alcuni vocali a cui presero parte anche Cecilia, Gian e Diego: risentire le loro voci era senza dubbio la cosa di cui avevo più bisogno in quel momento.
Dopo aver risposto, con il cuore un po' più pieno, ai loro messaggi, sentii la necessità di impiegare il mio tempo in qualcosa di utile che sarebbe servito anche a concentrarmi su qualcosa che non fosse Tancredi.
Riuscii nel mio intento? Ovviamente no.
L'idea che mi balzó in mente fu quella di sistemare la stanza che non vedevo ormai da tanto tempo e, totalmente ignara dell'inaspettata sopresa che avrei trovato al suo interno, iniziai proprio aprendo il borsone contenente i capi d'abbigliamento che mi avevano accompagnata a Milano.

Una fitta mi colpì il petto provocando un forte dolore lancinante troppo difficile da sopportare. Mi accasciai a terra portando una mano alla bocca, come se quel gesto servisse a imporre la cessazione dei singiozzi che, dalla sera precedente, ancora non accennavano ad andarsene.
Con l'altra mano afferrai la felpa che, rigorosamente piegata, ricopriva i miei vestiti: era nera e calda caratterizzata dall'immagine di Topolino, stampata al centro, con colori in stile Glitch. Amavo quella felpa. In realtà amavo qualsiasi cosa appartenesse a lui, per il semplice fatto ch'era sua, e amavo lui, per il semplice fatto ch'era lui.
L'avvicinai al viso socchiudendo gli occhi: il suo profumo, dolce e delicato, ancora impregnato nel tessuto scuro, rimpì le mie narici facendomi sentire, anche se solo per pochi istanti, di nuovo a casa. Perché, in fin dei conti, lui era la mia casa e, nonostante il dolore che mi aveva inflitto, non trovavo alcun modo per odiarlo. Mentre il mio subconscio elaborava milioni di pensieri a riguardo, vi erano solo due parole che mai accennavano a scomparire: ti amo.
Strinsi con più forza la felpa tra le mie braccia e solo in quel momento mi accorsi di qualcosa in più. Nella tasca vi era un biglietto, piegato più volte su se stesso, leggermente stropicciato. Lo estrassi con le mani tremanti e il cuore palpitante mentre nel mio stomaco si creó un enorme voragine di mancanza.

"Ho commesso tanti errori nella mia vita, ma il più grande è stato lasciarti andare via da me. Ora che non potranno più essere le mie braccia a scaldarti, indossa la mia felpa quando il freddo sarà troppo invadente; stringila a te quando penserai di non avere più motivi per andare avanti; prendila persino a pugni quando il dolore sarà troppo forte per essere tenuto nascosto. Ma ti prego, non dimenticarmi mai. Sono stato un coglione, non me lo perdonerò mai. Ti amo, Sofia.
Per sempre tuo, Tanc.".

Eravamo così, io e Tancredi. Eravamo troppo giusti nel momento sbagliato, troppo piccoli incastrati in un amore troppo grande. E, in fondo, lo sapevo: tra noi non sarebbe mai finita, neppure se avessimo smesso di parlarci, neppure se avessimo proseguito le nostre vite secondo strade diverse che ci avrebbero portato unicamente ad allontanarci maggiormente. Sapevo, per certo, che anche se lontani, i nostri cuori non avrebbero mai smesso di battere all'unisono.
Gettai il mio corpo all'indietro fino a sdraiarmi sul pavimento fresco, senza mai accennare a mollare la presa sulla sua felpa, chiusi gli occhi e aprii il cuore, lasciando libero sfogo all'ennesimo pianto senza fine.

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Buonasera cuiricini! Come state?
Mancano davvero pochi capitoli alla fine e devo dire che mi dipiace un sacco. Mi sono affezionata così tanto a questa storia che finirla mi mette tantissima tristezza😢

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliWhere stories live. Discover now