Capitolo 59

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"Cosa fai?".
Sobbalzai, colta alla sprovvista, nell'udire quella voce incredibilmente profonda e beffarda. Chiusi velocemente il diario che avevo tra le mani, quello su cui non avevo mai smesso di incidere i miei pensieri, da quelli più positivi agli altri enormemente negativi.
"Niente." Mi affrettai a dire.
"È da sfigati avere un diario segreto. Quanti anni hai? Undici?".

Dio, quel ragazzo era così schifosamente odioso! Era il classico esempio di persona vuota e ottusa, uno di quelli che per sentirsi all'altezza in un determinato contesto sente per forza il bisogno di screditare gli altri facendoli sentire vere e proprie nullità. Fortunatamente non ero solita a farmi condizionare dai giudizi altrui e, in più, la mia testa era impegnata a elaborare pensieri riguardo a tutt'altro, perciò dare un peso alle sue parole cariche di veleno non era minimamente nei miei piani.
"Cosa vuoi?" Domandai, scontrosa e irritata.
"Mi ha mandato tua madre.".
Impossibile.
"Per quale motivo?" Domandai inclinando leggermente il capo e aggrottando le sopracciglia: se mamma avesse avuto bisogno di me, sarebbe venuta lei stessa a chiamarmi. Certamente non avrebbe inviato quella sottospecie di piccione viaggiatore, che oltretutto neppure conoscevo, per riferirmi ciò di cui necessitava.
"Allora?" Domandai, spronandolo a darmi una risposta, data la sua aria incredibilmente strafottente.
Restó in silenzio senza mai accennare, nemmeno per un istante, a staccarmi gli occhi di dosso. Fece spallucce prima di varcare totalmente la porta della mia stanza e avanzare verso il mio letto, per poi accomodarsi accanto a me senza nemmeno la decenza di chiedere il permesso.

Chi si credeva di essere, quel tipo, per pensare di poter godere del privilegio di trattare gli altri come pezze da piedi? Credeva forse di essere l'essere umano migliore esistente su questo dannato pianeta? Beh, qualunque fosse la sua convinzione, era totalmente fuori strada!
"Cosa stai facendo?" Domandai scandendo lentamente le mie parole.
"Mi sono seduto." Rispose, divertito, aggrottando leggermente le sopracciglia.
Restai immobile per qualche secondo, come rapita da un infimo dettaglio: i suoi occhi. Erano grandi e profondi, davvero sensazionali, ma non fu questo che mi colpì. Erano verdi, decorati da qualche sfumatura di un colore più scuro e contrastante. Erano verdi, ma non come i suoi.
Per un istante mi parve di essere sprofondata in un dejà-vu: il mio cervello prese a lavorare per i fatti suoi, evitando qualsiasi tipo di normale comunicazione con il resto del mio corpo, lanciando segnali contrastanti che diedero vita a una vera e propria tempesta dentro me. Rabbrividii nell'esatto istante in cui una scossa mi trafisse dalla testa ai piedi, le mie mani presero a tremare così come le mie gambe. Scossi la testa nel tentativo di scacciare l'immagine di Tancredi che non aveva la minima intenzione di lasciarmi in pace.

"Perché piangi?" Domandó.
"Cosa?" Mi affrettai a rispondere, dando spettacolo con la mia ordinaria impacciataggine. Portai una mano a sfiorare la pelle delicata del mio viso, leggermente arrossata dal troppo Sole preso nei giorni precedenti: era bagnata, bagnata di altre lacrime che ormai non avevo nemmeno più la forza di nascondere. Le asciugai nervosamente, preparandomi alle stupide battutine derisorie a cui avrebbe sicuramente dato voce di lì a poco.
"Sei depressa." Affermó, seriamente convinto di ciò che aveva detto.
"La depressione è una malattia." Squittii, esasperata e infastidita, guardandolo di sottecchi.
"Sei malata?".
"No.".
"Allora cos'hai?".
Davvero pensava che io potessi credere che fosse sinceramente interessato alla mia risposta? Ridicolo.
"Puoi lasciarmi sola, per favore?" Domandai gentilmente richiamando in me tutte le forze possibili per mantenere un atteggiamento calmo e pacato. In quel momento mi sentii una vera e propria bomba a orologeria; se avesse detto anche una sola parola storta, sarei probabilmente esplosa, inaspettatamente, da un momento all'altro.

Sorprendentemente non replicó nulla: nessuna risata derisoria, nessuna battuta, niente di niente. Si limitó a guardarmi per qualche istante prima di alzarsi dal mio letto e dirigersi, sempre in silenzio, fuori dalla mia stanza chiudendosi lentamente la porta alle spalle.
Tirai un sospiro di sollievo quando, finalmente di nuovo sola con me stessa, potei sentirmi libera di bagnare di lacrime amare la felpa che Tancredi aveva deciso, solo lui sa in quale modo, di infilare nel mio borsone prima che partissi.

"Mi manchi così tanto." Sussurrai con le labbra che sfioravano il tessuto scuro, come se in quel modo avesse potuto sentirmi anche lui. E in fondo, nel profondo del mio cuore, ero certa che, nonostante la distanza, Tancredi poteva percepire l'irrequietezza del mio dannato cuore che non faceva altro che gridare a squarciagola il suo nome.

"Posso?" Domandó il ragazzo bussando tre volte alla porta della mia stanza. Alzai gli occhi al cielo asciugando frettolosamente le guance dove la pelle era ormai ruvida e raggrinzita. Cosa diavolo voleva ancora?
"No." Risposi in tono secco e duro, con la speranza che se ne andasse e la consapevolezza che non l'avrebbe mai fatto.
Come immaginato, la maniglia della porta si abbassó lentamente e un ciuffo di capelli ricci color nocciola fece nuovamente capolino nella mia stanza, ignorando totalmente la mia risposta negativa.
"Ti ho portato il gelato.".
Sgranai gli occhi, evidentemente sorpresa dal suo gesto così insolito e inaspettato. La mia reazione lo fece sorridere, e anche me.
"Perché?".
"Voleva portartelo tua madre. Ho pensato che non volessi farti vedere in queste condizioni." Mi spiegó, ancora impalato davanti alla porta.
Non avevo mai creduto negli eventi paranormali, ma per un momento pensai seriamente che qualcun altro avesse assunto le sembianze di quel ragazzo accompagnate da una personalità totalmente opposta alla sua. Insomma, aveva trascorso la maggior parte del tempo prendendosi gioco di me e ora mi stava aiutando nel nascondere a mia madre il mio pietoso stato psicologico? Non poteva certamente essere la stessa persona!
Dall'entrare senza alcun permesso nella mia stanza, era passato alla totale assenza di qualsiasi movimento che avrebbe potuto irritarmi. Non accennó a compiere alcun passo verso di me, almeno finchè mi spostai leggermente di lato rivolgendogli un sorriso, in segno di invito nel sedersi nuovamente accanto a me.
"Grazie." Dissi con voce tanto flebile da risultare quasi impossibile da udire.
"Non illuderti di starmi simpatica adesso." Squittì in tono divertito. Colsi un'estrema ironia nelle sue parole, come se avermi vista piangere avesse risvegliato qualcosa in lui, qualcosa che aveva ribaltato radicalmente il suo atteggiamento nei miei confronti. Sorrisi facendo spallucce.
"Anche tu sei antipatico." Affermai senza distogliere lo sguardo dal delizioso gelato che mi aveva gentilmente portato. Potevo sentire la pelle bruciare sotto i suoi occhi che mi scrutavano, convinti di passare inosservati. Anch'essi emanavano una luce differente: l'oscuro velo di beffa da cui erano precedentemente caratterizzati era mutato in una leggera scintilla di...compassione?
Lo vidi sorridere prima di scuotere leggermente il capo e riconcentrarsi sulla sua coppetta di gelato che gustava come fosse un'essenza divina, paradisiaca.
Restammo così, in silenzio, per un lasso di tempo che non seppi determinare, con solo il fruscio dei rami mossi dal fresco vento delle sere estive ad animare l'atmosfera che ci avvolgeva.
Poche volte lo sorpresi a guardarmi, per poi distogliere immediatamente gli occhi non appena aver incontrato i miei, come se il contatto visivo lo spaventasse, come se temesse che il suo sguardo avrebbe potuto dar voce a pensieri che facevano a cazzotti per riuscire a salire in superficie.

"Comunque sei noiosa." Esordì spezzando il meraviglioso silenzio che regnava stranamente da troppi minuti consecutivi. Sorrisi roteando gli occhi al cielo.
"E tu fastidioso!" Replicai, avendo il piacere di notare un sorriso anche sul suo viso, lo stesso sorriso che tentó, invano, di nascondere.
"Peró sei bellissima." Aggiunse in tono estremamente basso, quasi come fosse fatto apposta per  farsi sentire ma, allo stesso tempo, troppo timido per dirlo a voce troppo alta. Quasi mi strozzai con il gelato.
"Cosa?" Domandai fingendo di non aver capito.
"No, niente." Rispose evitando in ogni modo il mio sguardo.

Sorrisi tra me e me, attenta a non farmi notare mentre, di nuovo succube di un quieto silenzio, la mia mente prese a proiettare l'unica cosa di cui avevo bisogno per essere di nuovo felice: Tancredi.

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliOnde histórias criam vida. Descubra agora