Capitolo 34

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In accordo con mamma,  che fortunatamente si era mostrata totalmente comprensiva in relazione all'imprevista situazione che stavamo vivendo, Tanc aveva trascorso a casa nostra gli ultimi giorni che precedevano la mia partenza, accompagnando le mie notti insonni con baci e carezze dall'effetto incredibilmente calmante. Dormire tra le sue braccia non aveva prezzo e, nonostante avessi raggiunto il culmine della felicità con lui al mio fianco per quattro notti consecutive, sapevo che la mia partenza avrebbe assunto un peso estremamente maggiore dopo l'abituale presenza di Tanc nella mia stessa casa, a condividere ogni istante.
Anche Lele, Gian e Diego ci avevano raggiunti, fermandosi solamente in giornata, per avere il piacere di potermi salutare prima di convivere con l'incertezza di quando e se avrebbero mai potuto riabbracciarmi.

"Verremo presto a trovarti a Roma." Mi aveva detto Lele rivolgendomi un sorriso dolce.
"Sicuramente! Potremmo prendere una stanza in hotel vicino a te e fermarci per qualche giorno. Sarebbe stupendo!" Aveva aggiunto Diego, emozionato dall'idea di rivedere la sua bella Roma.
"Io ci sto, senza dubbio!" Aveva poi commentato Gian addentando una delle patatine sparse sul suo vassoio del Mc Donald's.

Ora mi trovavo lì, seduta inerme sullo scomodo sedile di quel dannato treno che mi stava portando così lontana da ogni cosa che avessi mai amato davvero. Mentre le lacrime cadevano, una dietro l'altra, sul mio viso pallido e privo di trucco, il Sole spento e offuscato da qualche nuvola rifletteva i suoi deboli raggi sul finestrino sporco e ingrigito del vagone.
"Tesoro, va tutto bene?" Domandó mamma pur conoscendo già la risposta. Scossi il capo in segno affermativo, riuscendo però a emanare solo emozioni totalmente opposte alla positività.
Mentre le parole di Torna da me di Luchè riempivano le mie orecchie, la mia mente prese a viaggiare esplorando futuri orizzonti in cui riponevo tutta la speranza presente in me.

"[...] Bagnarsi le labbra con baci che dicono «dammene ancora»,
sono passati dei mesi, ma sembra come fosse ora,
con te vicino la vita ogni giorno inizia un'altra volta,
eri speciale perché eri uguale a me.
Mi abbracciavi come se ti salvassi dalla solitudine
e stavi immobile come se fossi colpita da un fulmine,
mano nella mano per strada in un mondo che è pieno di ruggine,
ti ho dato me stesso perché il mio istinto non sbaglia mai[...]".

Quando la voce metallica dell'autoparlante annunció l'imminente arrivo alla stazione centrale di Roma, il mio cuore parve impazzire assumendo un battito irregolare e colmo d'agitazione.
"Ci siamo." Sussurró mamma muovendo appena le labbra, a dentri stretti e con un viso cupo. Neppure lei era gioiosa all'idea di lasciare Reggio Emilia, ma sapevo bene quanto amasse il suo lavoro perciò era chiaro che non avrebbe mai rifiutato un'offerta del genere.
Ci alzammo lentamente dai nostri posti a sedere, quasi come a rallentare il nostro reale sbarco in quella che, da quel giorno a un capolinea ancora indeterminato, sarebbe stata la nostra nuova città.

"Quanto dista il nostro hotel dalla stazione?" Domandai impaziente di strendermi su un letto e annegare il mio dolore in lacrime amare versate stringendo un morbido cuscino di stoffa.
"C'è una cosa che non ti ho detto.".
Mi irrigidii lanciandole uno sguardo fulmineo e preoccupato, ignara di cosa stesse per dirmi ed estremamente spaventata.
"Cosa?".
"Per ora staremo a casa del mio capo." Emise un sospiro di sconfitta, poi continuò: "Con suo figlio, Edoardo.".
Per poco la valigia non mi cadde dalla mano con cui la stavo svogliatamente trainando. Pregai fosse tutto un enorme scherzo di cattivo gusto, ma la sua espressione seria e dispiaciuta diceva tutto il contrario. Ripetei la sua affermazione varie volte nella mia testa prima di accorgermi che, tra le due persone citate con cui avremmo condiviso la casa, non vi era nessun accenno a una donna.

"Perché?" Domandai lentamente in tono incerto, temendo di aver già compreso a pieno la situazione, ma sperando solo di sbagliarmi.
Mamma aveva deciso di traferirsi a Roma perché aveva una storia con questo suo presunto capo? E sarebbe stato davvero a tempo ideterminato come mi aveva detto, oppure era solo una maschera per celare l'effettivo e definitivo trasferimento?
"Allora? Mi rispondi?" Insistetti visibilmente alterata davanti al viso autocommiserativo di mamma che pareva non accennare minimamente a darmi un responso.
Inspiró una quantità d'aria tale da poter riempire una mongolfiera prima di decidersi finalmente ad aprire bocca: "Tesoro, io..." Si interruppe nuovamente.
"Tu e quel tipo avete una storia, vero?" La accusai puntandole il dito contro. Non rispose; si limitò ad abbassare lo sguardo mortificata.
"Non è propriamente una storia. Ci stiamo solo conoscendo meglio, ecco. Fuori dall'ambiente lavorativo. Ma questo non ha niente a che fare con la nostra presenza qui." Disse poi, tentando di lasciar trasparire un tono abbastanza sicuro.
"Promettimi che questo non porterà a un trasferimento definitivo." La pregai, calcando maggiormente il tono di voce sull'ultima parola.
"Te lo prometto.".

Non era la verità, non c'era alcuna ombra di certezza nelle sue parole ma decisi comunque di lasciar perdere per evitare di inaugurare il nostro arrivo a Roma con un litigio da cui non sarebbe uscito assolutamente nulla di buono.
Continuai a camminare seguendo mamma, con il sospetto che non sarebbe stato un autobus a condurci a casa di quest'uomo misterioso.
Come avevo immaginato, mamma si fermó davanti a una Bugatti Chiron Super Sport. Sgranai gli occhi.
Non che non mi piacesse, anzi, era senza dubbio una delle auto più belle che avessi mai visto, nonchè una delle più costose al mondo ma, date le piccole dimensioni, la prima domanda che mi balzó in mente fu dove avremmo incastrato le valige.
La risposta arrivó istantanea quando, seguendo lo sguardo dell'uomo al volante, scorsi una seconda auto in cui, al posto del guidatore, vi era un tizio con il viso parzialmente coperto dalla visiera di un cappellino nero d'autista.
Non conoscevo quella famiglia, non sapevo neppure il loro cognome, ma di una cosa ero certa: non erano umili e non si facevano alcun problema a esibire la loro grande ricchezza.

"Ciao, tu devi essere Sofia." Disse l'uomo dopo aver terminato di scambiare qualche parola con mia madre. "Io sono Cristian." Aggiunse tendendomi la mano, che io strinsi saldamente tentando di mostrare una certa sicurezza che proprio non avevo.
"Piacere". Abbozzai un sorriso storto prima di porgere la mia valigia al gentile uomo che mi rivolse un lieve inchino prima di afferrarla e caricarla nel baule dell'auto.
Mi guardai intorno spaesata, saettando lo sguardo confuso in ogni punto del luogo in cui mi trovavo, analizzando ogni persona che usciva dalla stazione tornando da un viaggio o che vi entrava partendo per diversi orizzonti.

Salii in auto accomodandomi sul sedile perfettamente rivestito di un tessuto in pelle color beige, chiusi la portiera appena in tempo prima che Cristian premesse il pedale sfrecciando a tutto gas.
Mentre Roma scorreva veloce al di fuori del finestrino della vettura, l'unico pensiero che continuava a dominare la mia mente era il mio piccolo Tanc.

Ripetei mentalmente le parole di Lele: Verremo presto a trovarti a Roma, e sperai che quel «presto» fosse davvero prima del previsto.

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A mio malincuore, Sofia ha raggiunto Roma. Cosa succederà? Come andranno le cose con Tanc? Spero vi piaccia. Un bacio!😘

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora