Capitolo 38

1.7K 77 3
                                    

"Tesoro, è pronta la colazione." Mi avvertì mamma bussando lentamente alla porta della mia stanza.
Raccolsi i capelli in una coda di cavallo prima di rinunciare al tentativo di coprire le tremende occhiaie prodotte dalla totale assenza di sonno. Il brontolare del mio stomaco non alludeva affatto alla presenza di fame, bensì alla costante sensazione di disagio e smarrimento di cui non sapevo se sarei mai riuscita a liberarmi. Non potevo certo raccontare a mamma dell'espisodio vissuto con Edoardo la sera precedente ma, se la situazione non fosse cambiata, non avrei neppure avuto la forza di continuare a nascondere tutto dietro un finto sorriso com'ero solita fare. Sbloccai il cellulare e inviai il buongiorno a Tanc, consapevole che lui si trovasse ancora nel bel mezzo del mondo dei sogni: beato te che sei riuscito a chiudere occhio, pensai sbuffando, già enormemente esausta della situazione che stavo vivendo.
Aprii lentamente la porta prima di ispezionare ogni punto del corridoio; scesi le scale trascinando il mio corpo stanco e pesante fino a raggiungere il salotto dove, con la sua solita precisione, mamma aveva perfettamente allestito una colazione degna da film.
Tirai un sospiro di sollievo quando notai con grande gioia che le uniche presenze in quella stanza erano quelle di mamma e Cristian: non avevo idea di dove fosse Edoardo e speravo solo non arrivasse mai.

"Buongiorno, Sofi." Mi salutó cordialmente Cristian. Ricambiai con un sorriso più distrutto che veritiero prima di prendere posto davanti ai due neo-innamorati.
"Che faccia che hai, tesoro. Hai dormito bene?" Mi domandó mama facendomi quasi strozzare con il latte caldo che stavo tranquillamente sorseggiando.
Tossii battendo una mano sul petto prima di recuperare la mia compostezza e rispondere: "No, cioè si è che...".
Tentai di spiegarmi nel migliore dei modi ma le parole mi si incastrarono nelle corde vocali: non avevo minimamente pensato a una giustificazione che avrebbe potuto sembrare per lo meno plausibile per spiegare la mia parvenza da zombie assetato di vita.
"Non sono abituata a dormire in un letto che non sia quello di casa." Dissi poi velocemente e tutto d'un fiato.
Con un tempismo perfetto, giusto in quel momento Edoardo fece capolino dalla porta del salotto, unendosi alla colazione e prendendo posto accanto a me. Mi irrigidii e, dallo sguardo interrogativo di mamma, capii che se n'era evidentemente accorta.
Dannazione, pensai.

Per tutta la durata del pasto non accennai più ad aprire bocca, tentando di mantenere una certa naturalezza che, al fianco di Edoardo, non era per nulla facile fingere.
"Penso che andró a fare un giro per Roma." Informai mamma alzandomi dalla sedia e riponendo il piatto sporco nella lavastoviglie. Sgattaiolai velocemente al piano di sopra senza darle il tempo di rispondermi; chiusi la porta della camera alle mie spalle e mi immersi dentro la  cabina-armadio prima di passare in rassegna ogni indumento perfettamente piegato e impilato o rigorosamente appeso a una gruccia.

"Tesoro?" Mi richiamó mia madre, irrompendo nella mia stanza senza neppure bussare. Sobbalzai.
"Si?" Replicai facendo capolino.
"Sicura che vada tutto bene?".
No.
"Certo, mamma. Perché non dovrebbe?" Abbozzai un sorriso colmo di agitazione prima di focalizzarmi sulle felpe e scegliere quale indossare: non dovevo assolutamente permettere che, guardando il mio viso troppo a lungo, cogliesse l'espressione totalmente affranta che non sapevo ancora celare.
"Sei solo...strana.".
"No, mamma, va tutto bene. Sento la mancanza della mia città, tutto qua." Tentai di rassicurarla sperando che bastasse a farla sparire dalla mia stanza.
In quel momento sentivo solo il grande bisogno di allontanarmi da quella trappola e, ovviamente, da Edoardo che non accennava mai a smettere di studiarmi con quel suo sguardo freddo e penetrante.

"Io esco." Avvisai dirigendomi verso la porta d'ingresso e attirando su di me gli sguardi di mamma, Cristian ed Edoardo che conversavano, seduti sul divano, commentando la trasmissione che stavano guardando alla tv. Rabbrividii sotto i suoi occhi.
"Dato che non conosci bene la città, Edoardo potrebbe accompagnarti." Esordì Cristian.

Perchè non si morde la lingua prima di parlare?, pensai.

"No." Risposi istintivamente e, forse, in tono troppo duro e spaventato.
"Cioè, ecco...preferisco andare da sola. Grazie comunque." Aggiunsi prima di affrettarmi a uscire.

Tirai un sospiro di sollievo quando mi trovai sola, proiettata tra le diverse vie di una Roma che avevo sempre amato fin da bambina. Quella mattina visitai diverse piazze, tra cui Piazza Navona e Piazza di Spagna che furono in assoluto le mie preferite, senza nulla togliere a Piazza San Pietro e Piazza Venezia ovviamente, prendendomi qualche istante per sostare in ognuna di loro e godermi la suprema bellezza di ogni monumento che mi circondava.

Più si avvicinava l'ora di pranzo, a cui avrei ovviamente dovuto rincasare, più il mio cuore pareva saltare qualche battito, preso da una crisi di totale contrarietà. Non provavo nulla contro Edoardo, sapevo benissimo che la sua era stata solo una disgustosa reazione che non si sarebbe più ripetuta, ma avevo bisogno di mantenere le distanze per evitare di crollare come un vecchio muro distrutto dal peso del tempo.
Mi incamminai lentamente nella direzione della villa quando, a un tratto, un gruppo di ragazzi dai visi familiari presero a gridare diversi commenti totalmente inappropriati.
Quando presero ad avanzare nella mia direzione, riconobbi immediatamente il ragazzo dai capelli biondi, quello che il giorno precedente stava seduto accanto a Edoardo quando, dopo averlo salutato, finse di non sapere chi fossi.
Aumentai la velocità del mio passo quando sentii le loro voci incrementarsi, così come la volgarità dei loro commenti.

"Adesso basta!" Gridó poi una voce, roca e profonda, proveniente dalle mie spalle. Mi irrigidii; le mie gambe parvero diventare pesanti come macigni imponendo ai miei piedi di incollarsi quasi all'asfalto. Tenevo le spalle dritte e lo sguardo fisso sul terreno, quasi come avessi perduto le capacità di muovere e controllare il mio corpo.
In pochi istanti il gruppo di ragazzi si zittì, come intimorito da quel tono di voce duro e dittatoriale.
Mi voltai lentamente, non appena riacquisii in parte il movimento del mio busto, pienamente consapevole di chi mi sarei trovata davanti, ma totalmente ignara del motivo per cui si trovasse esattamente in quel posto, proprio in quel momento.
In tutta la sua bellezza, illuminato dalla luce di un Sole insolitamente brillante, Edoardo era vestito di un paio di jeans neri, skinny e strappati sulle ginocchia, e una felpa grigia oversize che riportava la marca della Nike.
Quasi faticai a credere ai miei occhi: dal fingere di non conoscermi, al difendermi davanti a quelli che supponevo fossero i suoi amici. Perché lo stava facendo? Si era forse pentito del brusco modo in cui mi aveva trattata? Ma, più di tutto, perché pareva aver timore di incontrare il mio sguardo?

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliWhere stories live. Discover now