Capitolo 37

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"Oh, scusami." Dissi dopo aver fatto il mio ingresso in giardino e aver notato che qualcuno mi aveva preceduta. Comodamente steso sulla sdraio, Edoardo teneva lo sguardo fisso sul cielo stellato che si estendeva dinnanzi ai suoi occhi chiari.
Convinta di non essere stata ascoltata, mi voltai per rientrare in casa, con l'intento di appostarmi sul balcone che sporgeva dalla mia stanza, in modo da lasciare Edoardo solo e indisturbato.

"Resta." Disse, poi, con voce scura e profonda. Un brivido corse lungo la mia schiena mentre il mio corpo era immobilizzato, appoggiato allo stipite della porta-finestra.
Presi coraggio e raggiunsi la sedia poco distante da lui; la spostai velocemente aumentando le distanze e mi sedetti incrociando le gambe e stringendomi nelle spalle. Puntai lo sguardo sul cielo, così meravigliosamente infinito e colmo di aneddoti da scoprire. Delineai immediatamente la costellazione dell'Orsa Maggiore, seguita dall'Orsa Minore poco più distante, mi focalizzai poi sulla stella più luminosa che spiccava nell'oscurità.

Quanto vorrei che tu fossi qui, pensai mentre la mia mente correva veloce verso l'estrema voglia di riabbracciare il mio piccolo grande amore.

In giardino regnava un silenzio a dir poco imbarazzante ma nè io nè Edoardo accennammo un minimo tentativo di spezzarlo: era così rilassante e riappacificante che sarebbe stato un grande peccato riempirlo con parole di disprezzo.

"Sofia, giusto?" Domandó a un tratto mantenendo costantemente quel suo tono di voce tetro e, oserei dire, leggermente sinistro. Qualcosa nella sua voce impastata mi fece rabbrividire.
"Si." Risposi sorpresa dal suo reale tentativo di rivolgermi la parola.
"Tua madre..." Disse prima che la voce gli si bloccasse in gola.
"Mia madre, cosa?" Domandai spronandolo a terminare la frase appena iniziata.
"Deve stare lontano da mio padre." Concluse tutto d'un fiato in tono severo.
La sua voce emanava qualcosa di diverso: non che avessi avuto il beneficio di sentirla spesso, ma era comunque abbastanza per accorgermi che qualcosa in lui non andava, quella sera.
Ne ebbi la certezza quando, tentando di alzarzi barcollando, ricadde a peso morto sulla sdraio su cui giaceva inerme.
"Attento!" Dissi precipitandomi accanto a lui e avendo pienamente compreso la situazione in cui si trovava. Una fitta mi colpì il cuore pensando di vivere un déjà-vu: ricordai che da bambina accorrevo, allarmata, accanto a papà quando, la sera, rientrava a casa ubriaco e senza il minimo senso dell'equilibrio. Sentii nuovamente il dolore degli schiaffi sulle mie gambe, il bruciore della mia pelle arrossata dopo essere stata toccata violentemente dalle sue mani forti e pesanti. Fu questo il motivo della separazione dei miei genitori: papà non era una persona cattiva, anzi. Il bene che mi voleva andava oltre ogni possibile confine ma, sotto effetto dell'alcool, non era più la stessa persona che chiamavo papà: diventata un tale estraneo che mai mi era sembrato di conoscere davvero e ciò assunse un peso troppo doloroso per una bambina di appena sette anni che necessitava solo dell'affetto dei suoi cari per poter crescere in condizioni almeno decenti.

Edoardo, quella sera, era ubriaco e l'alcool gli aveva sottratto quel briciolo di lucidità che pensavo avesse fino all'ora di cena.
"Lasciami stare!" Gridó spintonandomi con violenza e facendomi cadere all'indietro.
I miei occhi si riempirono di lacrime che faticai a trattenere, mentre il mio corpo era come immobilizzato, con lo sguardo spaventato fisso sul suo cupo.
Quando finalmente presi coraggio, mi alzai lentamente e sparii dentro casa, salendo velocemente le scale per poi chiudere la porta della mia stanza alle mie spalle e poggiarci la schiena fino a scivolare seduta sul pavimento. Strinsi le ginocchia al petto lasciando libero sfogo a un pianto terrorizzato e soffocato.

Cos'avevo fatto di così sbagliato per meritarmi tutto questo? Perché pareva sempre che fossi il bersaglio facile di chiunque volesse commettere atti violenti e privi di umanità?

Raccolsi in me tutte le forze possibili e, non appena riuscii a calmarmi, chiamai Tanc. Non avevo intenzione di informarlo dell'accaduto: si sarebbe sicuramente precipitato qui a Roma per riempire di pugni Edoardo. Nonostante il suo orrendo comportamento nei miei confronti, l'immagine del suo viso sfregiato dalle mani di Tanc mi diede i brividi: non avrei mai permesso che il mio ragazzo facesse del male a qualcuno in mia presenza, mai.
Parlammo del più e del meno restando al telefono per diversi minuti prima di passare a una videochiamata che duró ore. Ebbi il piacere di salutare anche Lele, Gian e Diego, i quali mi assicurarono che ben presto avrebbero fatto un bel giro per le strade di Roma. Sorrisi nel tentativo di nascondere il mio grande timore: se Tanc, in qualche modo, fosse mai venuto a conoscenza del comportamento di Edoardo, ucciderlo sarebbe sicuramente stato il suo primo obiettivo dopo essere sceso dal treno alla stazione di Roma. Non sapevo in quale modo, nè se ci sarei davvero riuscita, ma dovevo assolutamente impedire che Tancredi ed Edoardo si incontrassero.

Mi trovavo comodamente stesa sul letto, con gli occhi rivolti verso il soffitto e la mente colma di pensieri lontani, quando un forte tonfo mi fece sobbalzare imponendomi di rannicchiarmi stringendo forte il cuscino contro il petto. Doveva essere caduto un piatto, non sapevo se accidentalmente o volutamente, ma il fastidioso suono che avevo sentito era proprio quello della porcellana che si infrange sul parquet. Il mio corpo prese a tremare quando sentii dei passi pesanti sulle scale e capii che non poteva trattarsi di qualcun altro se non Edoardo. Il timore che piombasse nella mia stanza senza un valido motivo e potesse farmi del male, cresceva ad ogni suo passo verso il piano superiore; giacevo immobile sul letto, faticando anche a respirare, e il mio corpo, in quel momento, era troppo pesante per avere la prontezza di fiondarmi a chiudere la porta della stanza a chiave.
Sapevo che Edoardo non era una cattiva persona, sapevo che quello non era altro che il suo alter-ego scaturito solo da un'eccessiva dose di alcool ingerita, ma ero anche certa del fatto che io, debole e gracile com'ero, non sarei mai riuscita ad affrontarlo.

Emanai un sospiro di sollievo quando la sua porta si chiuse con un sonoro rumore e le molle del suo letto emanarono uno strudulo cigolio: ero salva, ma lo sarei stata per tutta la notte?
Colsi l'occasione per fiondarmi sulla chiave inserita nella serratura della mia porta e la ruotai facendole compiere due giri: così sarebbe stato impossibile per lui entrare.
Mi distesi nuovamente sul letto con la consapevolezza che quella notte, la prima di chissà quante trascorsa in quella dannata casa, sarebbe stata insonne e colma di agitazione.

Domani andrá meglio, domani sarà diverso, mi ripetevo tentando di autoconvincermi, ma nulla funzionó a togliermi dalla testa le orribili immagini dei ricordi più dolorosi della mia infanzia.

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Ciao cuoricini! Scusate se sono poco attiva ma sono abbastanza piena di interrogazioni e verifiche quindi posto appena ho un po' di tempo per scrivere. Spero vi piaccia, un bacio😘

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliWhere stories live. Discover now