Capitolo 32

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"Roma?! Ma cosa ti salta in mente? Non puoi andartene!" Strilló Jasmine gesticolando nervosamente, seguita dall'assenso di Andrea che mi guardava sbigottito.

Il viale che costeggiava casa mia era illuminato solo dalla luce della Luna mentre un'aria tagliente sfregiava i nostri visi e una sigaretta accesa bruciava tra le nostre dita. Aspirai scacciando una lacrima per poi buttare fuori il fumo in una nuvola grigia.
Accarezzai con un dito l'incisione sullo schienale della panchina su cui eravamo seduti: S+J. Avevamo appena undici anni, Jasmine e io, quando decidemmo che quella panchina sarebbe stata il nostro posto preferito per condividere le nostre paure, preoccupazioni e debolezze. Successivamente divenne il luogo d'incontro nelle sere estive per fumare qualche sigaretta nascoste dai nostri genitori che, altrimenti, ci avrebbero tagliato le mani.
Spostai lo sguardo nel campo che affiancava la via, rivivendo gli anni della mia tenera infanzia e parte della mia disastrosa adolescenza, dalle cadute dallo slittino, in mezzo alla neve, su una discesa troppo ripida, alle giornate estive a prendere il Sole su un telo abbastanza spazioso per due persone; dai picnic primaverili, con il cibo contenuto in quel cestino colorato da noi di cui andavamo così fiere, ai freschi pomeriggi autunnali a raccogliere le castagne dal grande albero al centro del campo.

"Sofia, dimmi che è tutto uno scherzo, per favore. Scoppia a ridere e dimmi che non te ne andrai davvero da qui." Mi supplicó Andrea con voce tremante. Poche volte l'avevo visto piangere, nonostante fossero passati anni dal giorno in cui lo conobbi, e guardare il suo viso così afflitto mi provocò una forte fitta al petto. Avrei voluto farlo, avrei voluto dirgli ch'era tutto frutto della mia fantasia, che non mi sarei mai immaginata di lasciare la mia città, i miei amici, i miei ricordi più belli. Avrei voluto ridere, abbracciarlo e rassicurarlo che mai me ne sarei andata così lontano. Avrei voluto dire tante cose, cose che non rispecchiavano l'orrenda realtà in cui stavo vivendo.

"Prometto che torneró a trovarvi, e..." Iniziai ma venni interrotta dalle grida isteriche della mia amica.
"Tornare a trovarci? E quando? Una volta al mese? Per chissà quanto tempo, poi! Io ho bisogno di averti qua, Sof!" Sfogó le sue lacrime con le mani nei capelli prima di saltarmi al collo stringendomi forte, presa dall'esasperazione.

Perchè? , era l'unica domanda che mi ronzava in testa in quel momento. Perchè proprio a me? Tra tutte le persone a cui sarebbe potuto succede, tra tutte le cose che avrebbero potuto capitare nella mia vita, perché questo? Perchè a me?
Come potevo pensare di riuscire a resistere conducendo una vita totalmente diversa da quella, in un'altra città, lontana da Jas, Andrea, Camilla e Tanc? E la piccola e fragile Alice, dannazione! Il mio pensiero di aiutarla a uscire dalle tenebre in cui si era rinchiusa era andato totalmente in fiamme e ora, quella che necessitava di una qualsiasi via di fuga, ero proprio io.

"Jasmine, cerca di calmarti. La situazione è brutta per tutti, ma la colpa non è di Sofia." Disse Andrea, tentando di mantenere un tono calmo e trasparente, prendendo le mie difese. Abbozzai un sorriso di ringraziamento prima di estrarre un'altra sigaretta dal pacchetto.

Non ero solita a fumare: non mi piaceva particolarmente il gusto reciso e amaro del tabacco ma, nei momenti intrisi di stess e tensione, qualche tiro aveva la capacità di alleggerirmi l'anima nonostante, allo stesso tempo, appesantisse i miei polmoni lasciandomi quasi senza respiro e con la gola tremendamente secca.
Guardavo le nuvole di fumo grigio, che uscivano dalla mia bocca, disperdersi nell'aria, innalzarsi fino a sparire completamente fondendosi con il vento gelido protagonista di una serata ancor più agghiacciante. Quella nuvola di fumo, di lì a poco, sarei stata io, la personificazione più accidentale e coesa: dispersa tra le strade di un posto tutto nuovo, svanita nel nulla con la progressiva perdita di ogni tassello fondamentale che, fino a quel momento, aveva composto e accompagnato la mia vita.

"Mi dispiace." Sussurró la mia amica con voce quasi soffocata.
"Sai, tu sei stata l'unica vera amica che io abbia mai avuto; non hai mai esitato nell'ascoltare i miei problemi e trovarne prontamente una soluzione, nonostante quella con il maggior peso sulle spalle fossi sempre stata tu. Hai sempre preferito farti del male da sola piuttosto che correre il rischio di ferire chi ti stava attorno, sbagliando, si, ma senza mai accennare alcun segno di resa. Tu, Sofia, sei la persona più forte e coraggiosa che io abbia mai conosciuto e fin da subito ti ho sempre vista come un punto di riferimento, un esempio da seguire, un obiettivo da raggiungere. Abbiamo passato tanti anni insieme, tante esperienze; abbiamo condiviso pianti e risate, momenti belli e brutti, amore e odio, dolori e passioni. E in tutto questo tempo, mai e poi mai ho pensato nemmeno per un istante di poter vivere senza di te." Fece una pausa deglutendo la saliva e prendendo un grande respiro, poi continuó: "Ora pensarti così lontana mi distrugge. Dovrei starti accanto, godermi questi ultimi attimi in tua compagnia, ma tutto ciò che sono in grado di fare è urlarti addosso, rendendoti colpevole di una decisione che tu stessa non avresti mai pensato di dover accettare. Ti voglio un bene, Sofia, che nemmeno puoi immaginare, nonostante io sia un vero disastro con le parole e spesso non riesca a trasmetterti ciò che davvero vorrei ti arrivasse al cuore. Ti chiedo solo di farmi una promessa: non dimenticarti di me.".

Solo quando si zittì mi resi conto che stavamo piangendo entrambe, mentre le nostre mani erano strette tra loro, accarezzandosi leggermente la pelle fredda. Dal tempo in cui la conoscevo, mai avevo sentito Jasmine dare voce ai suoi pensieri in quel modo e, per la sua gioia, era appena riuscita nel suo intento: con quelle semplici parole aveva fatto breccia dritta nel mio cuore, squarciandolo più di quanto già non lo fosse.

"Non potrei mai dimenticarmi di te, Jas." Fu l'unica cosa che riuscii a dire prima che la mia voce si bloccó incastrandosi nelle corde vocali e provocandomi un forte dolore alla gola.
In certi momenti non era importante saper trovare le parole giuste quanto saper trasmettere le emozioni tramite il silenzio, il respiro, il battito di un cuore irrequieto che gridava aiuto, rinchiuso in una cella blindata la cui chiave era andata persa nel fiume della disillusione. Avvicinai rapidamente il mio corpo al suo, fino a poter allacciare le braccia attorno al suo collo e stringerla a me come fosse l'unica possibilità di restare in vita, come se i pochi centimetri che ci dividevano implicassero la perdita progressiva di ossigeno. Restammo in quella posizione per un tempo che non seppi misurare, ma quanto bastó per impregnare di lacrime il tessuto delle nostre felpe all'altezza delle spalle, fino a calmare i nostri animi con profondi respiri coordinati.
Nonostante il mio dovere di allontanarmi fisicamente da tutto ciò che aveva costituito la mia vita fino a quel giorno, il mio cuore sarebbe rimasto incatenato ai ricordi migliori di sempre, in quella città che, pur non essendo granchè, aveva contribuito alla mia crescita regalandomi le emozioni migliori mai provate.

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Ciao a tutti! Manca poco al trasferimento di Sofia, cosa ne pensate? Cosa pensate che succederà quando lei si troverà sola, con la madre, a Roma? Spero vi piaccia, un bacio😘

TI GUARDO FISSO E TREMO - Tancredi GalliWhere stories live. Discover now