Risveglio

44 12 14
                                    

Il sole penetrava dalla finestra e si rifletteva impetuoso nello specchio appeso sopra la piccola toilette, sistemata dinanzi al letto. Illuminava violentemente tutta la stanza.
Le persiane erano rimaste aperte e le tende sottili risultavano quindi inefficaci.
Mi svegliai per il troppo bagliore e mi resi conto di non essere a casa mia. Fu allora che ricordai tutto e che una lama, sottile e invisibile, mi trafisse nuovamente il cuore. Mi misi a sedere sul bordo del letto cercando le pantofole coi piedi, le infilai e barcollando mi diressi in bagno fermandomi dinanzi allo specchio.

Avevo proprio un pessimo aspetto: indossavo un vecchio pigiama della zia, che non ricordavo nemmeno di aver infilato, le guance erano smunte, gli occhi pesanti e spenti, quasi vitrei. Nonostante avessi pianto molto, però, non erano particolarmente arrossati o gonfi. 

Eleonora si affacciò sulla porta in quel momento: «Buon Giorno!» disse con un bel sorriso sulle labbra e prima che potessi risponderle, incalzò con le domande.
 «Vuoi dei cereali o del pane tostato con marmellata per colazione?»

«Pane e marmellata, grazie» risposi apatica, senza nemmeno guardarla in faccia.

Lei mi guardò un attimo senza commentare, ma dal suo sguardo riflesso nello specchio, capii che era preoccupata per me.
Senza rendermene conto andai a sedermi sullo sgabello in cucina e rimasi con lo sguardo perso nel vuoto davanti alla mia tazza di latte per più di dieci minuti prima di iniziare davvero a fare colazione. Eleonora mi lasciò tranquilla, non chiese nulla su come avessi passato la notte. Quasi sicuramente aveva sentito il mio incessante singhiozzare, quindi sapeva, e questo le era sufficiente per fare congetture.

Sgranocchiai le mie fette di pane quasi in maniera automatica. La mia testa era lontana anni luce dalla realtà che mi circondava, non so neanche in che modo riuscii a prepararmi per andare a scuola, ma alle sette e trentacinque ero alla fermata del bus.

Ero triste, amareggiata e dentro di me una vocina continuava a ripetere di non andare a lezione, ma quel briciolo d'orgoglio che mi era rimasto mi spinse a non fuggire... dovevo dimostrare d'essere superiore a tutte le cattiverie che mi erano state mosse contro dalla mia ex-amica.

La malinconia doveva essere stampata a chiare lettere sul mio volto, perché durante il tragitto nessun compagno di scuola si avvicinò, così rimasi nel mio torpore per lungo tempo.
Era come vivere in un film al rallentatore: tutto pareva strano, irreale... assurdo.

Ad un tratto il cellulare, che avevo in tasca, prese a suonare e  per un attimo mi ridestai. Guardai il display: era mio padre. Non risposi e mi limitai a mandargli un SMS, dove dicevo "Sto bene, sto andando a scuola". Lui rispose con "Ho capito. Bacio."
Povero papà chissà cosa gli stavo facendo passare in quel periodo... probabilmente pensava che stessi perdendo i lumi della ragione e forse non era molto lontano dalla verità...

Il telefonino ricominciò a squillare. Stavolta risposi scocciata senza guardare chi fosse.
«Pronto» risposi secca.

«Sarah? Ciao tesoro... come stai?» questa volta era mia madre. All'istante mi si formò un groppo in gola.

«Ciao mamma. Sto bene. Papà mi ha spiegato. Sono contenta» le parole mi uscirono così, in automatico, senza alcuna emozione.

«C'è qualcosa che non va?» chiese subito «Sei strana, lo sento dalla tua voce.»

«No, non è niente. Stamani sono solo un po' stanca, ecco tutto» mentii spudoratamente per tagliare corto.  Mia madre capì al volo che non avevo voglia di parlare, così rinunciò: «Va bene, ho capito. Ti chiamerò domani. Buona giornata.» Chiuse la comunicazione all'istante.
Quell'orrenda conversazione non produsse alcun cambiamento nel mio stato d'animo, anzi lo peggiorò ulteriormente. Impassibile tornai nel mio guscio

Quando arrivai a scuola, non feci caso agli sguardi accusatori delle mie compagne. L'unica cosa di cui mi accorsi fu che Silvia aveva cambiato posto e si era seduta vicino a un'altra compagna.
Alice, invece, mi salutò un po' esitante. Con molta probabilità aveva ricevuto pressioni affinché non mi rivolgesse più la parola.

Io andai al mio posto mostrando indifferenza e per tutta la mattinata non distolsi lo sguardo dai miei libri. Riuscii a estraniarmi totalmente da ciò che mi circondava, e fu un bene, perché così ebbi modo di far riposare il mio cervello già troppo stanco di riflettere.

All'intervallo rimasi seduta al banco a rileggere gli appunti della giornata e riuscii persino a trattenermi dall'andare in bagno... sapevo che in quel momento era un covo di serpi.
Verso la fine della giornata, però, notai una cosa molto importante: Daniel non c'era. Ecco spiegato tutto il malessere che pativo; la sua energia positiva era assente e questo non influiva solo su di me, ma anche sull'umore dell'intera classe.

All'uscita m'incamminai mestamente fino alla fermata del bus e solo lì rammentai che dovevo vedermi con Daniel... proprio là e proprio quel giorno, avevamo fissato un incontro... il nostro primo appuntamento.

Perché non è venuto? Forse ha saputo del mio litigio con Silvia? O ha ragione lei a dire che è un cascamorto? Pensavo addolorata.
Mille domande e nessuna risposta. Si era tirato indietro ancor prima di conoscermi ecco tutto. A quel punto non m'importava più, gettavo la spugna. Mi era venuta l'emicrania a furia di spremere le meningi per cercare di capirci qualcosa. La situazione era troppo complicata per me, ero stanca di combattere, avrei lasciato tutto al caso e al susseguirsi degli eventi. 

Le decisioni le passavo agli altri come avevo sempre fatto fino a tre giorni prima.


Nota autrice

Questo è un breve capitolo di passaggio, dove vediamo una Sarah dilaniata, svuotata...

E' successo anche a voi di vivere esperienze analoghe? Capite il suo stato d'animo o vi è indifferente?

😉

GUARDIANA DEL DESTINO - La pergamena del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora