Caos

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All'intervallo uscii dall'aula di nuovo boccheggiante e andai a sedermi sulle scale che portavano giù in palestra perché volevo starmene per conto mio. Acceso il mio I-Pod, ne approfittai per ascoltare un po' di musica.
L'odore ero sicura fosse rimasto in classe, eppure lo sentivo anche in mezzo alle scale.

Non è possibile! Pensai. Cos'è questo schifo? Mi alzai e scesi di un paio di rampe.
Arrivata davanti alla porta della palestra, avvertii uno strano strofinio vicino ai piedi. Nella semioscurità non vidi nulla, ma d'istinto, per lo spavento, saltai sul gradino più in alto: qualcosa si stava muovendo silenzioso nella penombra.
Un repentino lampo rosso mi fece trasalire e mi rammentò l'effetto che fanno gli occhi del gatto al buio.
«Ma che diavolo!», imprecai percorsa da una forte scossa di adrenalina.
Aguzzai la vista e scorsi l'essere che tanto mi spaventava. Era un grosso topo di fogna e si era alzato sulle zampe posteriori a guardarmi.
 I suoi occhi erano orridi. Rosso sangue. A quel punto spalancò le fauci mostrandomi i dentoni acuminati e per un attimo mi ricordò il cagnaccio che avevo sognato qualche notte prima.

«E no! Adesso anche tu? Ieri il pipistrello... Vattene via! Di pure ai tuoi padroni che non ho paura!» dissi determinata.

Strappai dalle orecchie le cuffie dell'I-Pod e risalii a grandi passi le rampe di scale. Arrivata quasi in cima, però, mi scontrai con un ragazzo che stava scendendo rapido proprio verso la palestra. L'I-Pod mi sfuggì dalle mani per l'impatto e volò dritto ai suoi piedi.
Il ragazzo si chinò per raccoglierlo.
«Scusa, non ti ho visto!» disse gentile porgendomi il lettore.

«No, scusami tu!» dissi frettolosa «Ti ho letteralmente investito!»

«Oh, non importa!»

«Be', scusa e grazie ancora.» Feci per andarmene, ma lui mi arrestò con un'altra domanda: «Tu sei Sarah DeLuca, vero?»
Mi bloccai all'istante.
Come faceva a conoscermi?
Mi girai e scesi di un gradino. Lo guardai interrogativa.
«Ehm, sì, scusa... Tu non mi conosci. Mi chiamo Andrea Sforza, frequento la quinta C... sono il figlio del collega di tuo padre» disse mentre mi porgeva la mano.

«Piacere», dissi stringendogliela appena.
Il contatto con la sua pelle fu stranissimo, percepii una lieve scossa seguita da una sensazione di freddo glaciale.

«Scusami, ma vado di fretta!» tagliai corto, lasciando rapida la sua stretta. Non avevo tempo per le presentazioni ufficiali.

«Certo, certo... vai pure... alla prossima» disse cortese, però, nella sua voce percepii delusione.

Per essere di quinta aveva l'espressione di un ragazzino imberbe e immaturo. Era meglio non dargli false speranze. A giudicare da come mi guardava, gli dovevo piacere molto.
Una cosa però mi parve subito strana: perché se era nella mia scuola da cinque anni, io non lo avevo mai incrociato prima?
O ero stata troppo distratta, o era troppo comune perché lo notassi. Ancora più strano fu il fatto che mio padre non me ne avesse mai parlato. Non mi persi troppo su quei particolari e rapida rientrai in aula.
Rimasi sul chi va là per il resto della mattinata.
Il tanfo fetido era finalmente sparito. Sicuramente era legato al mio incontro ravvicinato con l'essere malefico.
Finite le lezioni corsi a prendere il bus. Non volevo per nessun motivo fermarmi a parlare né con Alice né con chiunque altro, avevo fretta di rientrare a casa.

Arrivata da zia Eleonora, però, fui sorpresa da Daniel.
Lo trovai ad attendermi davanti al portone.
«Ciao!» esclamai felice, sprizzando gioia da tutti i pori.

«Ciao» rispose serio.
Subito mi raggelai nel vederlo così preoccupato.

«Che succede? Qualcosa non va? Le tue indagini?»

GUARDIANA DEL DESTINO - La pergamena del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora